27/08/2025
da il Manifesto
La minaccia. L’ammissione dell’esercito israeliano, che si giustifica: «Era di Hamas». Ma era della Reuters: una diretta da Gaza vista in tutto il mondo.
È stata la Brigata israeliana Golani a colpire la telecamera del giornalista della Reuters, Hussam al-Masri. L’agenzia di stampa britannica ha confermato di gestire la trasmissione in diretta che partiva dalla telecamera di al-Masri, un flusso di immagini usato da diversi media in giro per il mondo.
La postazione presa di mira dai militari di Tel Aviv all’ospedale Nasser è la stessa da cui la Reuters ha fornito collegamenti giornalieri nelle ultime settimane. E la diretta era attiva anche lunedì, puntata sui tetti delle case bombardate di Gaza, almeno fino a quando i soldati non l’hanno interrotta, ponendo fine anche alla vita di Hussam. Ieri l’esercito israeliano ha comunicato i primi risultati dell’auto-indagine sull’attacco, dichiarando che la videocamera «rappresentava una minaccia immediata». E di averla quindi distrutta con la granata di un carro armato.
NONOSTANTE LA DIRETTA mondiale a dimostrare il contrario, Tel Aviv afferma che è stata posizionata da Hamas e utilizzata per osservare l’attività delle truppe. Alcuni alti funzionari militari avevano messo in discussione questa versione già poche ore dopo l’attacco, spiegando al quotidiano Haaretz che l’area del Nasser è piena di videocamere. Ci sono decine di giornalisti a Khan Younis, che riprendono in postazione fissa e in diretta i bombardamenti e le strutture sanitarie. Perché, quindi, colpire proprio quella? E chi ha dato l’ordine? Per bombardare un ospedale è necessaria l’autorizzazione di un alto ufficiale.
Il capo di stato maggiore ha chiesto «un esame del processo decisionale sul campo» e delle munizioni usate (non di precisione). Ha concluso la propria dichiarazione con quella che sembrerebbe essere un’anticipazione dell’esito delle indagini appena ordinate: Hamas condurrebbe «una vasta e segreta raccolta di informazioni visive» e insieme utilizzerebbe le strutture civili per «attività terroristiche contro le truppe». Sono giustificazioni che si ripetono uguali da quasi due anni, senza il supporto di prove o di testimonianze. In ogni caso, la ricostruzione non spiega il secondo colpo, quello che ha causato la strage. Il «double tap» è utilizzato dall’esercito per assicurarsi che il bersaglio muoia e che nessuno possa riuscire a salvarlo. È una pratica che ha causato morti e feriti tra medici e membri della protezione civile. I due attacchi di ieri hanno ucciso ventuno persone, tra cui cinque giornalisti e quattro operatori sanitari che hanno tentato di soccorrere il reporter della Reuters.
DURANTE i suoi funerali, il fratello, Ezz al-Masri, indossava un giubbotto con la scritta Press e ha urlato tra la folla che la telecamera di Hussam non verrà spenta con la sua morte. «Anche se ci bombardano tutti, uno dopo l’altro, Hussam, Mohammad, Moaz, Mariam, le telecamere non saranno spente. Rimarremo tutti sui tetti, nelle piazze. Inseguiremo le immagini ovunque. Continueremo a raccontare la verità. Non importa a quale prezzo».
I FUNERALI di Hussam si sono tenuti dinanzi al Nasser, insieme a quelli dei suoi colleghi uccisi lunedì, Mariam Abu Daqqa (Associated Press), Ahmed Abu Aziz (Quds Network), Mohammed Salama (Al Jazeera), Moaz Abu Taha (Reuters). Altri giornalisti sono rimasti feriti, alcuni in maniera grave, come Mohammed Fayeq, parzialmente paralizzato o Jamal Badah, a cui è stata amputata una gamba.
CONTINUANO, intanto, senza sosta i bombardamenti a Gaza City. I carri armati avanzano, livellando qualsiasi struttura si trovi lungo la via. La notte tra lunedì e martedì è stata particolarmente complicata e ieri molte famiglie hanno lasciato la città in direzione sud, dove però Israele continua a colpire le tende dei profughi. Cinque membri della famiglia Kawara, tra cui tre bambini, sono stati ammazzati in una tenda di Khan Younis; sette membri della famiglia Dashan sono stati uccisi nel nord. In 24 ore 75 palestinesi morti per le bombe e almeno tre per la fame.
I PIANI FINALI per l’occupazione di Gaza City e la deportazione della popolazione non sono ancora stati definiti. I ministri avrebbero dovuto discuterne ieri sera durante la riunione del gabinetto di sicurezza. Ma non si è giunti a una conclusione né si è parlato dell’accordo di cessate il fuoco accettato da Hamas. Non c’è stato il tempo: il premier Benyamin Netanyahu ha chiuso l’incontro in anticipo, per partecipare a una cena di gala in un ristorante di Gerusalemme, su invito di Israel Gantz, presidente del cosiddetto consiglio regionale di Binyamin, che comprende ben 47 colonie israeliane illegali, in terra palestinese.
LO HANNO RAGGIUNTO, mentre cenava, gli israeliani che ieri, dalla mattina, hanno manifestato in tutto il Paese. Chiedevano di bloccare il progetto di occupazione di Gaza City e di giungere a un accordo con Hamas, per liberare gli ostaggi israeliani. «Il giorno dell’interruzione», l’hanno battezzato i promotori. E in effetti i cortei hanno bloccato l’autostrada principale, dove i vigili del fuoco hanno dovuto spegnere i copertoni dati alle fiamme per interrompere il flusso stradale. A centinaia hanno protestato davanti alle case dei ministri e, in serata, a decine di migliaia si sono ritrovati in piazza Habima, ribattezzata «piazza degli ostaggi», accusando Netanyahu di continuare la guerra per la sua salvezza politica, mettendo a rischio la vita degli ostaggi.