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La Striscia nodo irrisolto del crudele souk geopolitico

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A fine gennaio tre compagnie di sicurezza privata – due americane e una egiziana – hanno preso in consegna dalle truppe israeliane la gestione del check-point tra il Netzarim Corridor e la strada Salah al-Din nella Striscia di Gaza. La Casa Bianca, la Oval Office, i salotti bene (e nemmeno tanto bene) di Washington assomigliano ormai a un grande souk mediorientale. Tutti parlano, tutti commentano. Gaza come un tappeto conteso: chi può davvero venderlo?

Souk mediorientale: a chi appartiene Gaza?

Per gli storici o i narratori ovunque siano, le botteghe degli ebrei non sono mai state diverse da quelle degli arabi. Non conta né la religione né il colore della pelle. Il caffè, garantito per tutti, è addolcito allo stesso modo. La prima vera domanda che forse mette in difficoltà, quando venditori e possibili acquirenti si siedono a parlare è: “Dove hai trovato questo tappeto?”. “A chi appartiene Gaza?”. A Israele? Al popolo palestinese?

Ma dopo l’ultimo scambio di ostaggi?

Sabato, se tutto va bene, ci sarà l’ultimo scambio di ostaggi previsto dalla prima fase degli accordi raggiunti dal governo israeliano e la leadership di Hamas. Teoricamente dovrebbe cominciare subito il negoziato sulla fase successiva, che include un discorso più o meno chiaro sul futuro della Striscia. E dei suoi abitanti. A parlare, a trattare, saranno i capi di un movimento che non rappresenta l’insieme del popolo palestinese e il premier di un governo che rivendica il territorio dei palestinesi ma non rappresenta il popolo che abita né a Gaza né in Cisgiordania né a Gerusalemme Est.

Mediatori al mercato

Come spesso avviene nei dialoghi più o meno lunghi, tra i mercanti salta fuori un mediatore. Qualche volta disinteressato, altre volte impegnato a consolidare vecchie o nuove amicizie.

Seconda guerra mondiale in Sicilia

Verso la fine della Seconda guerra mondiale, qualcuno in Sicilia aveva suggerito di far diventare l’isola una nuova stella sulla bandiera americana. Nella relativamente breve storia di Israele, molti, dentro e fuori quel Paese, avevano suggerito di far aggiungere anche quel pezzo conteso di Medio Oriente agli Usa. Anni fa, un giovane amico israeliano non riusciva a capire perché arabi ed ebrei non potessero vivere in pace sulla stessa Terrasanta.

Arabi ed ebrei perché non assieme?

«Con la globalizzazione – sosteneva – le frontiere scompariranno e saremo pieni di cinesi”». La direzione del mondo cambia, ma resta ancora un problema fondamentale quando due mercanti si incontrano: se quel tappeto non è tuo, come fai a vendermelo? O a regalarmelo?

Tentativi e compromessi

Ariel Sharon, quando era primo ministro di Israele, come molti prima e dopo di lui, era pieno di idee e incertezze. Quando decise di ritirare le truppe israeliane da Gaza e chiudere gli insediamenti degli ebrei, pensava a un primo passaggio verso un compromesso. Vedeva la Striscia come pezzo, l’inizio, di uno Stato palestinese.

Trump e Bin Salman nel souk mediorientale

I due più ricchi mercanti all’opera nel souk mediorientale – Trump e il principe ereditario saudita Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd – con l’aiuto della diplomazia europea hanno la capacità economica e politica di trasformare l’idea di Sharon in realtà. Devono ‘comprare’ la terra dei palestinesi. E restituirla ai palestinesi.

18/02/2025

da Remocontro

Eric Salerno

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