26/09/2025
da Left
In sala il 25 settembre il film della regista tunisina Cherien Dabis (Leone d'argento a Venezia) che racconta la storia bambina palestinese uccisa dall’esercito israeliano insieme alla sua famiglia e ai soccorritori, nell'agghiacciante quadro dello sterminio commesso da Israele a Gaza
Sullo schermo nero una traiettoria luminosa modula la riproduzione di una traccia audio che sembra rievocare le sonorità di un mare calmo e accogliente, per poi trasformarsi nello straziante grido di dolore di una bambina, e di un intero popolo, che chiedono disperatamente di essere salvati.
È il 29 gennaio 2024, quando l’ordine di evacuazione a Tel al-Hawa, nell’area ovest di Gaza, costringe uomini, donne e bambini, a lasciare le loro case. Durante la fuga, l’auto della famiglia Hamada viene crivellata di colpi dall’esercito israeliano: verranno contati 355 proiettili. La piccola Hind Rajab, 5 anni, unica sopravvissuta all’attacco all’interno dell’abitacolo dove si trova insieme agli zii e ai quattro cugini, viene rintracciata dalla sede operativa della Mezzaluna Rossa grazie alla richiesta di aiuto di un altro zio della bambina, che vive in Germania. Per tre lunghe ore gli operatori cercano di rassicurarla in attesa dell’arrivo dei soccorritori: Hind ha paura, implora Omar (Motaz Malhees) e Rana (Saja Kilani) di raggiungerla, mentre i carri armati nemici accerchiano l’automobile. È attorno a questa drammatica storia vera che Kaouther Ben Hania realizza La voce di Hind Rajab, mescolando il piano della finzione con quello della realtà e definendone i confini mediante un intenso impianto drammaturgico.
Insieme a quelle di Rana e di Omar, anche le parole di Nisreen (Clara Khoury) tentano di dare conforto a Hind – e probabilmente anche allo stesso angoscioso sgomento che pervade lo spettatore -, rappresentando un momento di de-tensione necessario: annusare un fiore, intrappolarne il profumo, soffiare piano sulla fiammella di una candela, restituiscono quel senso dell’umano che sembra essere inesorabilmente perduto. In un romanzo del 1987, Nel paese delle ultime cose (Einaudi), lo scrittore statunitense Paul Auster racconta di un mondo distopico dove sembra non esserci più via di scampo: un luogo senza tempo dove le città dilaniate dalle esplosioni, le case, le strade, lentamente scompaiono. Eppure la protagonista, Anna Blume, si aggrappa con tenacia a un’irriducibile resistenza per sopravvivere e conservare tracce di umanità.
Vincitore del Leone d’Argento all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il film della regista tunisina utilizza le registrazioni delle vere telefonate intercorse tra gli operatori e Hind, delegando allo spettatore una tensione intrisa della stessa impotenza vissuta dai protagonisti della vicenda. La voce della bambina si inserisce in un raggelante fuoricampo – scenario di uno stato di assedio costante connotato da una spietata e incalzante disumanizzazione -, così come quello evocato, grazie alle straordinarie composizioni sonore, nel film La zona d’interesse (2023) di Jonathan Glazer (tra i produttori esecutivi del film di Kaouther Ben Hania), tratto dall’omonimo romanzo di Martin Amis
«Non posso accettare un mondo in cui un bambino chiede aiuto e nessuno accorre», dichiara la regista di La voce di Hind Rajab. «Quel dolore, quel fallimento, appartiene a tutti noi. Questa storia non riguarda solo Gaza. Parla di un dolore universale. E credo che la finzione (soprattutto quando attinge a eventi verificati, dolorosi, reali) sia lo strumento più potente del cinema. Più potente del rumore delle ultime notizie o dell’oblio dello scorrimento. Il cinema può conservare una memoria. Il cinema può resistere all’amnesia».
Dopo paradossali e incredibili mediazioni burocratiche, portate faticosamente avanti da Mahdi (Amer Hlehel), il coordinatore delle operazioni di soccorso della Mezzaluna Rossa, viene finalmente consentita l’apertura di un corridoio umanitario affinché i soccorritori, a bordo di un’ambulanza che si trova a soli otto minuti di distanza dall’automobile, possano raggiungerla per trarre in salvo la piccola Hind. Tentativo che risulterà fallimentare: a pochi metri dalla méta, i paramedici Yusuf al-Zeino e Ahmed al-Madhoun vengono assassinati dall’esercito israeliano. Hind è di nuovo sola, circondata dai corpi senza vita dei suoi familiari. Sono tutti morti. Poco dopo, alle 19.30, la voce di Hind non si sente più. Resta incerta, per dodici giorni, la sorte delle vittime, fino al ritiro dell’esercito israeliano avvenuto il 10 febbraio 2024. Indelebile, riecheggia il disperato grido di aiuto e la feroce e innaturale consapevolezza di una bambina di quasi 6 anni, certa della sua fine: «Morirò presto» è quanto confida, esausta, all’operatrice al telefono.
Cos’è l’infanzia in Palestina? È quanto si chiede Francesca Albanese nel primo capitolo, dedicato a Hind Rajab, del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina (Rizzoli): «La storia di Hind è diventata simbolo della brutalità dell’assalto israeliano contro la popolazione di Gaza all’indomani del 7 ottobre 2023. Ma la piccola è stata uccisa oltre tre mesi dopo il 7 ottobre, quando Israele aveva già ammazzato più di ventiseimila persone, tra cui almeno diecimila bambini. Come si è potuto tollerare tutto questo?». In quanto relatrice speciale Onu sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato, Albanese sceglie la tematica dell’infanzia per il suo terzo rapporto, e una parola della lingua inglese, in particolare, per descrivere in maniera efficace, a riguardo, la realtà palestinese: ‘unchilding’, ossia ‘privare dell’infanzia’. Lavorando alla creazione di focus group e avendo la possibilità di intervistare bambini palestinesi online, Francesca Albanese si trova al cospetto di «un autentico miracolo di vita, vitalità e dolcezza, una cornice in cui l’energia e la speranza sembravano resistere nonostante le avversità. […] i bambini che ho conosciuto quell’estate dimostravano una straordinaria capacità di preservare valori fondamentali, in primis l’amore per la scuola. […] quelle voci mi parlavano di una grande sete di conoscenza e di un ardente desiderio di futuro».
Il fuoricampo diviene, infine, un’immagine reale: la regista di La voce di Hind Rajab, dal 25 settembre in sala (a pochi giorni dall’uscita del film Tutto quello che resta di te diretto dalla regista palestinese-americana Cherien Dabis), decide di rendere visibile lo scenario di devastazione seguito all’atroce attacco. Un genocidio perpetrato ai danni di una popolazione a cui viene negato il diritto ad esistere, e che è doveroso restituire alla memoria collettiva.
«Un giorno la popolazione della Terra sarà costretta a lasciare il nostro pianeta e dovrà cercare un altro posto dove vivere e lavorare. Saranno trascorsi cento anni e tante saranno le astronavi in volo cariche di gente, di animali e di piante. Quando non sapranno più dove andare, vedranno un punto bianco che le porterà in salvo»: nel 1982 Michelangelo Antonioni e Tonino Guerra scrivono L’Aquilone. Una favola per il terzo millennio (Editoriale Delfi), un racconto che sembra descrivere con efficace e poetica lungimiranza il destino della Terra. Rintracciare, allora, l’aquilone – divenuto ormai un lontanissimo puntino bianco che continua a librarsi in alto nonostante tutto – vuol dire ri-conquistare la speranza, l’umanità che si pensava perduta. Tutto ruota intorno alla questione del vedere, ma non con gli occhi: per recuperare l’umanità e l’affettività necessarie per tornare a quella prima immagine, quando è il rumore del mare a sovrastare qualsiasi altro suono.
Come ritrovare l’umanità? Come porre rimedio alla catastrofe interna che alimenta il genocidio? Come riuscire a sentire, e a restituire, la voce gioiosa dell’infanzia?
Hind avrebbe compiuto sei anni il 3 maggio 2024, qualche mese dopo il suo brutale assassinio. Hind frequentava la classe delle Farfalle presso la scuola materna “La felicità dell’infanzia”. Hind era una bambina e amava il mare: non vedeva l’ora che la guerra finisse per tornare in spiaggia a giocare. Per tornare a quel suono caldo e rassicurante dove l’acqua del mare diviene culla, protezione, ritorno a una affettività necessaria, imprescindibile.
Hind è la ferita straziante inferta alla Palestina, alle migliaia di vittime che hanno perso la vita a causa della violenza devastante del genocidio.