C’è molto che non funziona nella politica statunitense e nella società divaricata e confusa che la esprime. All’indomani del voto per tornare a finanziare le guerre, i siti Dem si applaudono rivendicando una molto discutibile vittoria dell’amministrazione Biden, mentre i ‘Maga’, gli ultras trumpiani del partito repubblicano esplodono di rabbia per i miliardi a Kiev senza poter applaudire apertamente quelli per Israele.
Confusione politica sull’orlo dell’isteria, con Trump che costretto a passare le giornate muto in tribunale dove si discute della sua passione per le pornostar a pagamento, alla fine deve dare l’avallo ai miliardi a Kiev per non rischiare di far perdere la guerra all’Ucraina prima delle presidenziali.
Voto bipartisan per doppia guerra
Il voto sul «pacchetto guerre» ha scompaginato gli schieramenti e messo in luce alleanze trasversali. Lo speaker conservatore ha infatti avuto l’appoggio dei democratici per approvare il decreto. La destra trumpista ribolle perché aveva posto il veto perentorio alla ripresa dell’assistenza a Kiev. Marjorie Taylor Greene, mastina del gruppo è tornata a chiedere la testa dello ‘speaker traditore’ Mike Johnson. Mentre sull’Ucraina i Dem hanno votato compatti per sostenere Kiev, la destra si è spaccata in due fra una esile maggioranza a favore, e irriducibili contrari.
Ma su Israele-Gaza, mal di pancia rovesciati
Su Israele la situazione è capovolta: tutti uniti a destra, ‘alleata naturale di Netanyahu’, mentre i Dem sono spaccati -circa un quinto di voti contrari a ripristinare le forniture di bombe-, ma in realtà molti di più nelle viscere del Partito. Ed ecco che l’amministrazione Biden, nel momento in cui ripristina un presunto ‘ordine naturale’ della proiezione geopolitica Usa su Israele, si trova sempre più isolato a livello internazionale e sul fronte interno, sotto il tiro di una contestazione che rischia di scardinare antiche tradizioni di consenso.
Vittoria di Pirro
Mentre sull’Ucraina Biden si propone facilmente agli Americani come «dalla parte giusta del storia» (o almeno nella maggioranza Onu) -rileva Luca Celada sul Manifesto-, nel caso di Israele, gli Usa sono ancora una volta soli davanti al mondo (come evidenziato dall’ennesimo veto al riconoscimento della Palestina al Consiglio di sicurezza Onu). E le nuove forniture di bombe sono state approvate dal Congresso Usa mentre a Gaza si consumava l’ennesima strage. Con lo stillicidio mascherato della pulizia etnica che nei territori palestinesi occupati ha già fatto 500 morti nascosti.
Movimento giovanile post Vietnam
Contro lo scempio senza fine, negli Stat Uniti sta sorgendo un movimento di protesta giovanile e studentesco oggetto di una arrabbiata repressione bipartisan, ma sempre più difficile da ignorare e soffocare. Fronte chiave dello scontro, le università, dove le autorità cercano di imbavagliare il dissenso con l’accusa strumentale di antisemitismo. Con i vertici universitari chiamati a giustificarsi in un rigurgito di ‘neo maccartismo’. La rettrice della Columbia University passata sulla graticola dell’inquisizione. E la polizia nel campus per arrestare cento studenti che ora rischiano la sospensione.
‘Nao maccartismo’ a perdere presidenza e Paese
Sempre Celada, da Los Angeles, segnala che «la crisi morale è profonda e le dilaganti contestazioni giovanili e studentesche contro l’insostenibile strage segnalano una fessura dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche per la possibile rielezione di Biden». Il dramma per il Paese e per il mondo è che l’alternativa sia la catastrofe Trump. Ed ecco riemergete tra i ricordi, un ’68 americano segnato dalla guerra in Vietnam, che alla convention d’agosto di Chicago degenerò in disordini e violenza per l’ottusa repressione di un establishment che non aveva capito.
«Di lì a pochi mesi avrebbe stravinto Nixon. Anche oggi il partito non sembra in sintonia con parti cruciali del suo elettorato che insorge contro una guerra oltremare».
23/04/2024
da Remocontro
Ennio Remondino