Politica estera
Dai droni kamikaze ai missili balistici. L’export di armi sofisticate, dall’Iran verso la Russia, è aumentato in modo esponenziale e l’Occidente minaccia. Ieri, il Coordinamento del G7 ha annunciato nuove sanzioni per Teheran.
Si dice Ucraina e si pensa Medio Oriente e alla somma di molte aree di crisi. Nemici volontari o costretti?
Solo ‘rapporti di intelligence’
Alti funzionari del G7, pur ammettendo di non avere ‘prove conclusive’, dichiarano che diversi rapporti di Intelligence denunciano la vendita di missili iraniani di ultima generazione a Mosca. Si tratta di armi di precisione, che le forze di Putin usano massicciamente per colpire bersagli ucraini di tutti i tipi, molto oltre la linea del fronte. Nei fatti, il Paese degli ayatollah è già sotto sanzioni occidentali (oltre quelle Usa sul nucleare), adottate dopo il trasferimento in Russia di droni e della loro relativa tecnologia. Ma adesso si prospetta un ulteriore giro di vite. Mentre le stesse ‘fonti’ del G7, ribadiscono che nelle Cancellerie occidentali c’è la consapevolezza di una collaborazione militare russo-iraniana ormai consolidata.
Il ministro di Mosca a Teheran
A settembre, il Ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu, ha visitato il quartier generale della Forza aerospaziale delle Guardie rivoluzionarie, a Teheran. Mentre, a dicembre, Putin ha mandato in Iran una delegazione di alti ufficiali, ricevuta in un poligono di lancio per missili balistici. Secondo Al-Monitor, un think-tank specialista in geopolitica del Medio Oriente e del Golfo Persico, «il Ministero della Difesa iraniano ha affermato che le vendite di armi, fatte a Stati stranieri, sono cresciute del 40% negli ultimi 11 mesi. E questo anche perché il Paese ha trasferito centinaia di missili balistici alla Russia». Anche se, aggiungiamo noi, nonostante le ricorrenti voci spionistiche, le autorità iraniane continuano a negare un tale tipo di export verso Mosca. Dove, peraltro, hanno fatto la parte del leone, finora, soprattutto i droni.
Si dice Ucraina e si pensa Medio Oriente e somma di aree di crisi
«La guerra in Ucraina non ha influito sulle nostre relazioni di difesa con la Russia», dichiara il portavoce del Ministero della Difesa di Teheran. «Relazioni per garantire sicurezza alla regione». Si cerca di salvare le forme, ma un rapporto della Reuters dice altro. L’agenzia di stampa ha valutato in circa 400, i missili balistici ceduti dagli ayatollah a Putin nell’arco di solo un paio di mesi. La stima di fonte britannica coincide con le elaborazioni di Intelligence arrivate alla Casa Bianca, dove crescono le preoccupazioni per il fenomeno della ‘saldatura tra le aree di crisi’.
Con l’Iran che – analisi di intelligence Usa -, starebbe diventando «il perno di collegamento di un asse di instabilità, che dall’Indo-Pacifico, attraverso il Golfo Persico e il Medio Oriente, arriva fino all’Ucraina e al cuore dell’Europa».
Nemici volontari o costretti?
Sul terreno operativo, per l’Iran da lungo tempo bersaglio, privilegiato di casa statunitense e israeliana, significa la necessità di ‘coordinamento geopolitico’ con alleati o ‘partner commerciali’, e sviluppo di attività militari condivise. Che non sono soltanto ‘esercitazioni’ comunemente intese, ma qualcosa di più significativo. Una rivendicazione di ‘appartenenza’ o quanto meno, di ‘presenza territoriale’. In questo senso, le grandi manovre congiunte in svolgimento tra le Marine da guerra russa, iraniana e cinese nel golfo di Oman danno forse una risposta, all’Occidente, ma aprono altre cento domande.
La flotta russa ora ha scalo nei mari caldi
La più importante nave russa, l’incrociatore Varyag, assieme alla fregata Shaposhnikov, fanno scalo nel porto persiano di Chabahar. Se dovesse diventare una base permanente, a Putin riuscirebbe ciò che non è riuscito a Stalin: l’accesso russo ai mari caldi. D’altro canto, Xi Jinping, inviando il caccia lanciamissili Urumqi e la fregata Linyi (oltre al resto) sta certificando il ruolo della Cina come potenza globale. E le Guardie rivoluzionarie di Khamenei, esibendo assieme agli alleati le loro migliori navi, fanno capire che per il controllo degli Stretti, da Hormuz a Bab-el-Mandeb, bisogna comunque confrontarsi con gli ayatollah.
‘Osservatori’ non troppo neutrali
A seguire le manovre militari (e anche questa è una notizia che va interpretata) c’erano Paesi variamente ‘interessati’: Oman, Azerbaijan, Sudafrica, Pakistan e Kazakistan. Il segnale, forse, di nuovi scenari geopolitici. In cui, però, le diversità non dovrebbero portare a rovinosi ‘scontri tra civiltà’, ma solo alla reciproca accettazione di interessi legittimi.
La politica estera, insomma, non può essere sempre fatta a colpi di bombarda, ma deve lasciare strada alla diplomazia e al dialogo. Perché, alla fine, bisogna sempre mettersi d’accordo. Anche dopo la guerra più sanguinosa.
16/03/2024
da Remocontro