In cinque anni perso un decimo del potere d’acquisto. Salari nominali, su del 10,1%, inflazione del 21,6%. Il risultato: salari reali, potere d’acquisto giù del 10,5%. Questo la verità del rapporto annuale dell’Istat. L’Italia le cui imprese conquistano il mondo con le esportazioni è anche l’Italia delle disuguaglianze tra Nord e Sud e soprattutto il Paese che deve risolvere l’annosa questione salariale. Senza menzogne elettorali.
L’Istat e la credibilità
L’Istat nel sua rapporto annuale concede la giustificazione della pandemia di Covid e della crisi energetica di fine 2021, diventata tempesta dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Colpe nostre, «la dimensione delle imprese, la specializzazione in settori tradizionali, il limitato contenuto tecnologico/innovativo dei prodotti». Oltre alla contraddizione di un record molto relativo di occupazione, con la produttività del lavoro calata del 2%. In sostanza, l’Italia ha visto l’aumento dell’occupazione in settori a ridotto valore aggiunto in cui la crescita del numero di contratti, specie a tempo indeterminato, che non ha portato ad un aumento delle competenze dei lavoratori o del loro contributo complessivo al sistema, e l’incapacità dei salari di inseguire l’inflazione.
Cultura sotto occupata
«Nel periodo 2019-2023 la crescita del valore aggiunto in Italia, come nelle altre principali economie dell’UE, è stata più sostenuta nelle attività industriali ad alta tecnologia e nei servizi intensi in conoscenza rispetto agli altri settori», scrive l’Istat, ma i comparti ad alta tecnologia e alta innovazione pesano per solo l’8% del valore e il 4,5% degli occupati e «l’incidenza degli occupati con un titolo universitario e/o che lavorano come professionisti e tecnici, e occupati in professioni in ambito scientifico e tecnologico – pari a quasi il 40 per cento degli occupati nel 2023 – è inferiore di circa 10 punti percentuali rispetto a Germania e Spagna e 17 rispetto alla Francia».
Scarso ‘Capitale umano’
Capitale umano per far correre il capitale materiale: innovazione, digitalizzazione e ricerca di quote più pregiate della catena del valore. In un mondo che vede la Cina sfornare ogni anno 4,5 milioni di laureati, e l’India ulteriori 2,5, questo è il vero segreto della competitività. Ma il rapporto Istat ci ricorda che le basi della nostra prosperità sono friabili e perennemente a rischio di erosione. Di fatto l’Istat smonta i record di Meloni: il lavoro è povero e i salari arrancano.L’aumento dell’occupazione, un «record» per il governo Meloni, è trainato dagli occupati over 50 ed è basato sul lavoro povero. Giovani e donne i più penalizzati. Aumenta la povertà tra chi è in attività, crollo del potere d’acquisto del 10% negli ultimi cinque anni
Strategia dell’Opossum
«La strategia del governo è quella dell’opossum: fingersi morti in attesa che i problemi scompaiano, senza però sapere quando», denuncia con efficacia Roberto Ciccarelli. Tranne qualche uscita estemporanea sulla crisi delle nascite in Italia, Meloni e il suo governo ieri hanno rispettato la consegna del silenzio mentre il presidente dell’Istat snocciolava i dati sulla profonda crisi sociale, economica e lavorativa. Commentare solo i dati che attestano l’aumento quantitativo dell’occupazione, «governo dei record dal tempo di Garibaldi», mai il contesto socio-economico e produttivo che dimostra come quel ‘record’ non è riuscito nemmeno a riportare il tasso di occupazione a livelli accettabili. Il più basso d’Europa tra i 15 e i 64 anni, soprattutto a causa dei livelli inferiori di partecipazione e occupazione dei giovani e delle donne. Tra l’altro va letto insieme al tasso di inattività che in Italia è il più elevato dell’Europa a 27 (33,4% contro una media del 24,6%).
Donne e presidente donna
La prima presidente del Consiglio donna in Italia non dice nulla di significativo alle donne che non riescono a lavorare, se non per «part-time involontari» e altri contratti intermittenti: siamo al 42,4%, oltre 13 punti sopra alla media europea. Salvo promesse di punizioni esemplari -insiste il manifesto- il governo ieri ha incassato un altro «record», quello dei giovani tra i 15 e 29 anni definiti dalla triste statistica come «Neet, cioè non inseriti in percorsi scolastici o formativi né impegnati in un’attività lavorativa. L’Italia, nonostante il calo di 7 punti percentuali dal 2019, è seconda dopo la Romania, con il 15,2%».
Leggere dietro i numeri
L’occupazione è cresciuta, ma trainata da settori a bassa produttività e con bassi salari. L’incremento dei contratti è stato trainato da quelli a tempo indeterminato, mentre si sono ridotti quelli a termine (-6,8%). L’80% della crescita (285mila unità in più) è stata dovuta all’aumento degli occupati con 50 anni e oltre. Dato legato alla ‘riforme pensionistiche’ (Dini, Fornero) che hanno trattenuto più a lungo al lavoro e alle tendenze demografiche. I «baby boomers» e i nati nei primi anni 70, sono più numerosi di chi è nato dopo, e oggi si trovano a lavorare sempre peggio e pagati male. E non è l’esito di una sciagura, come di solito viene fatto credere, ma di un’idea economica e di società.
«Lavoratori poveri»
Nel 2023, il 21 per cento di tutti i lavoratori in Italia risultava a basso reddito, una condizione più frequente tra le donne (26,6 per cento), i giovani con meno di 35 anni (29,5) e i cittadini stranieri (35,2 ). Un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di «esclusione sociale» (11 milioni). In povertà «assoluta» ci sono oltre 5 milioni 700 mila persone. Un altro «record» raggiunto di nuovo sotto il governo Meloni che tra l’altro ha tagliato, ridimensionato e peggiorato il cosiddetto «reddito di cittadinanza».
Istruzione
Aumentano i giovani 25-34enni espatriati con una laurea: «21 mila nel 2023, un record storico; il risultato è una perdita netta di 97 mila giovani laureati in 10 anni» ha detto Chelli dell’Istat. E il governo si prepara a 700 milioni di tagli agli atenei nel prossimo triennio. Altra benzina nel motore di chi fugge. Il problema non è l’immigrazione, ma semmai l’aumento dell’emigrazione dei giovani, con o senza laurea.
22/05/2025
da Remocontro