Nello scorso anno 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi per le liste d’attesa infinite e per motivi economici
I dati ci sono. Bisogna avere la volontà di leggerli fino in fondo. L’ultimo rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat confrontando i principali indicatori dell’Italia con quelli degli altri paesi europei ci dice ben altro rispetto alla narrazione del governo Meloni. Emergono non soltanto i bubboni del nostro Paese per quanto riguarda la sanità, l’ambiente, l’istruzione e il welfare in generale, ma il raffronto con l’Europa ci invita a ridimensionare gli entusiasmi per miracoli che esistono sono sulla carta, come quello della crescita dell’occupazione. Dei 152 indicatori Bes, 38 sono confrontabili a livello europeo. La maggior parte degli indicatori considerati mostra una situazione peggiore per l’Italia. I due indicatori che presentano la distanza più accentuata, in termini relativi, sono del dominio “Lavoro e conciliazione dei tempi di vita”.
ALTRO CHE MIRACOLO DELL’OCCUPAZIONE
Il tasso di mancata partecipazione al lavoro, che misura l’offerta effettiva e potenziale di lavoro che non viene soddisfatta, nel 2023 è pari al 14,8%, rispetto all’8,7% della media Ue27; la percentuale di persone in part time involontario è del 10,2%, contro una media dei 27 Paesi dell’Unione del 3,6% nel 2022. Anche il tasso di occupazione italiano è di 9,1 punti percentuali più basso di quello medio europeo (75,4%), con una distanza particolarmente accentuata per le donne: il tasso di occupazione femminile è pari al 56,5% nel nostro Paese, mentre supera il 70% per la media Ue27.
IL BUBBONE DELL’ISTRUZIONE OLTRE ALL’OCCUPAZIONE
Altri indicatori per cui il gap con la media dell’Unione europea è consistente fanno parte del dominio “Istruzione e formazione”: la quota di giovani di 15-29 anni che si trovano al di fuori del contesto di istruzione e sono non occupati (Neet) è più elevata in Italia e, nonostante il divario si sia leggermente ridotto nel 2023, il valore è pari al 16,1%, rispetto all’11,2% della media dei 27 Paesi dell’Unione europea. Nell’Ue27 hanno raggiunto un livello di istruzione terziario il 43,1% delle persone di 25-34 anni, in Italia sono ancora solo il 30,6%; anche la percentuale di persone di 25-64 anni che hanno conseguito almeno il diploma è significativamente più bassa di quella media europea (65,5% in Italia, -14,3 punti rispetto al 79,8% dei Paesi dell’Ue27).
Sul fronte delle competenze digitali in Italia tra le persone di 16-74 anni che hanno usato Internet negli ultimi 3 mesi, il 45,9% ha competenze digitali almeno di base, mentre nella media Ue27 tale quota supera il 55%. Uno svantaggio dell’Italia, seppur meno accentuato, si osserva anche per la maggiore quota di giovani di 18-24 anni che escono precocemente dal sistema di istruzione e formazione (circa 2 punti percentuali in più in Italia nel 2022 del valore medio europeo, pari al 9,6%).
Diffusi ritardi rispetto all’Europa si ravvisano anche nel dominio “Innovazione, ricerca e creatività”. La quota di Pil investito in R&S in Italia (1,43% nel 2021) è decisamente più bassa della media Ue27 (2,27%). L’incidenza dei lavoratori della conoscenza sull’occupazione totale mostra un gap di -7,6 punti percentuali rispetto alla media Ue27 (25,4% nel 2022). Nonostante il consistente incremento nell’uso regolare di Internet, osservato anche in Italia nel post-pandemia, il nostro Paese rimane su livelli più bassi rispetto a quanto si osserva nella media dei 27 paesi.
Notevoli passi in avanti sono stati fatti dall’Italia anche in termini di copertura della connessione Internet di nuova generazione ad altissima capacità, ma anche in questo caso gli sforzi sono ancora insufficienti a colmare la distanza dall’Europa, che è di quasi 20 punti percentuali nel 2021. Lo svantaggio dell’Italia nel contesto dell’Ue27 si rileva, inoltre, in alcuni indicatori di Benessere economico aggiornati al 2022, tra cui il rischio di povertà, o al 2021, come la disuguaglianza del reddito netto.
PERSISTE IL GENDER GAP
Per quanto riguarda la presenza femminile nelle posizioni di rappresentanza politica e nelle posizioni apicali, l’indicatore relativo alle donne elette nei Consigli regionali anche nel 2023 colloca il nostro Paese ben al di sotto della media dell’Unione europea, con uno stacco di oltre 12 punti percentuali. Laddove sono intervenute delle leggi di riequilibrio, come ad esempio l’obbligo di quote di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in borsa, al contrario, l’Italia si colloca su livelli più favorevoli rispetto alla media degli altri paesi europei (con circa 9 punti percentuali in più).
MALE AMBIENTE E SANITÀ
Bocciata su tutta la linea è l’Italia per la Sanità e l’Ambiente. Le molteplici azioni messe in campo nel nostro Paese per avviare la transizione – dice l’Istat – non hanno prodotto ancora i risultati auspicati. In particolare nel 2022, rispetto all’anno precedente, peggiora la qualità dell’aria (76,2% di superamenti della soglia di riferimento, contro il 71,7% del 2021), dopo un periodo di costante miglioramento; aumentano le emissioni di CO2, che tornano ai livelli del 2019 (7,3 tonnellate per abitante in entrambi gli anni); cresce il consumo di materiale interno (516 milioni di tonnellate, contro 505 del 2021 e 499,5 del 2019) e diminuisce la produzione di energia da fonti rinnovabili (30,7% di energia consumata da fonti rinnovabili, contro il 35,1% del 2021 e il 34,9% del 2019). Inoltre non migliorano il consumo di suolo (7,14% della superficie complessiva, contro il 7,11% nel 2021 e 7,07% nel 2019) e la dispersione di acqua potabile dalle reti comunali di distribuzione, il cui alto livello rimane stabile in tutto il periodo (42,4% dell’acqua immessa in rete).
Sono stati circa 4,5 milioni nel 2023, primo anno vero del governo Meloni, i cittadini che hanno dovuto rinunciare a visite mediche o accertamenti diagnostici per problemi economici, di lista di attesa o difficoltà di accesso, il 7,6% della popolazione, in aumento rispetto al 7,0% del 2022 e al 6,3% del 2019. Secondo i dati c’è un raddoppio della quota di chi ha rinunciato per problemi di lista di attesa (da 2,8% nel 2019 a 4,5% nel 2023), stabile la rinuncia per motivi economici (da 4,3% nel 2019 a 4,2% nel 2023), ma comunque in aumento rispetto al 2022: +1,3 punti percentuali in un solo anno. Torna inoltre ai livelli pre-Covid l’emigrazione ospedaliera extra-regione. Altro che miracolo del governo Meloni.
18/04/2024
da La Notizia