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Le mire di immobiliaristi e politici sull’isola Palmaria: da qui è nato il terremoto in Liguria

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Lo scandalo che ha scosso la Liguria trae le sue origini dal “sacco” dell’isola Palmaria, denunciato già da anni dagli ambientalisti.

Lo scandalo che ha scosso il sistema politico ed economico ligure trae le sue origini dal “sacco” dell’isola Palmaria, denunciato già da anni dagli ambientalisti. L’inchiesta della procura spezzina ha chiesto infatti la custodia cautelare dell’ex sindaco di Porto Venere Matteo Cozzani (eletto nel 2013 e poi rieletto per un secondo mandato fino al 2023), capo di gabinetto della Regione, e degli imprenditori Mirko e Raffaele Paletti, accusati di scambio di favori per ottenere concessioni edilizie sulla Palmaria e non solo. Dal filone spezzino è poi scaturita l’inchiesta più grande della procura genovese che ha scoperchiato un altro vaso di Pandora, fatto di presunte mazzette e regalie, portando ai domiciliari il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti e l’ex capo dell’Autorità di sistema portuale del mar Ligure occidentale Paolo Emilio Signorini.

Su Matteo Cozzani, in questo secondo filone di inchiesta genovese, pende anche un’altra pesante accusa. Secondo il Gip di Genova, quando era ancora sindaco di Porto Venere, in occasione delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre 2020, avrebbe promesso posti di lavoro e nuovi alloggi alla comunità riesina di Genova, vicina al clan Cammarata del mandamento di Riesi, in cambio dei voti per la lista di Toti. Per questo gli viene contestato anche il reato di corruzione elettorale al fine di agevolare Cosa Nostra.

Le mire di immobiliaristi e politici sull’isola di Palmaria

Ma torniamo a questa piccola isola, Palmaria, di appena due chilometri quadrati, che con gli isolotti Tino e Tinetto costituisce un arcipelago all’imboccatura del golfo della Spezia. Isola ancora selvaggia, bellissima, con sentieri percorribili solo a piedi, meta di gite fuori porta degli spezzini e di un turismo locale poco impattante. Si trova all’interno del Parco naturale regionale di Porto Venere, Zona speciale di conservazione della Rete Natura 2000 e Sito Unesco. Storicamente, anche per la sua posizione, è stata un avamposto della Marina Militare. Tra la macchia mediterranea, le falesie e splendide grotte sul mare, emergono ruderi di forti e batterie militari.

L’isola Palmaria è un passaggio obbligato per molte specie di uccelli migratori e per trent’anni è stata sede di una delle stazioni di inanellamento più importanti d’Italia. La presenza del vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e successive modificazioni) e degli altri vincoli ambientali (parco naturale, sito di importanza comunitaria, ecc.) però non hanno sopito gli appetiti degli immobiliaristi e dei politici che li favorivano.

Il sacco della Palmaria

Nel 2017 si decise per il trasferimento dei beni immobili dal ministero della Difesa all’Agenzia del demanio e, infine, al Comune di Porto Venere. Le associazioni chiedevano che si conservasse intatta l’isola, e che la sua vocazione rimanesse unicamente naturalistica e la libera fruizione. Ma così non fu. Nel 2017 la giunta regionale aveva dichiarato l’isola Area strategica e nel 2019 aveva approvato il masterplan sulla Palmaria. Toti dichiarava pubblicamente che avrebbe trasformato Palmaria nella Capri della Liguria.

«Assicurava che non ci sarebbe stato consumo di suolo perché si sarebbero utilizzate le volumetrie esistenti delle ex strutture militari, ma avrebbe comunque stravolto il volto dell’isola, perché tutte quelle strutture militari erano ormai ricoperte di vegetazione o sotterranee. Farle riemergere, creare strade di accesso, accorpare volumi, voleva dire una colata di cemento di lusso e inquinamento luminoso su un’isola ancora intatta», spiega Fabio Giacomazzi, attivista di Legambiente La Spezia. «Senza contare le ampie porzioni di terreni messe in vendita e di fatto privatizzate, quando ora l’isola è in massima parte pubblica e fruibile da tutti».

Uno stabilimento balneare con piscine in un ecosistema delicato e protetto

fratelli Paletti, proprietari del Grand Hotel di Porto Venere, intanto avevano acquistato il terreno dell’ex cava Carlo Alberto nell’isola. E presentato un progetto, con la loro società Palmaria Experience, per farci uno stabilimento balneare con due piscine. Come si legge dal dispositivo del Gip, «il sindaco, in un quadro di costante contatto, informazione e consiglio con gli imprenditori Paletti Raffaele e Mirko, si impegnava ad agevolare in ogni modo la realizzazione di uno stabilimento balneare nell’area dell’ex Cava Carlo Alberto, nell’isola Palmaria, anche mediante atti contrari a legge».

«Fu allora che iniziò il sacco dell’isola di Palmaria», ricorda Giacomazzi, uno dei primi a denunciarlo. «Il piano urbanistico del Comune non veniva rispettato, così come il piano del parco, che non prevedeva piscine. Anzi, diceva che l’area della Cava Carlo Alberto doveva essere messa in sicurezza e doveva essere di libero accesso. Entrambi questi piani furono letteralmente e velocemente piegati ai desideri dei costruttori».

Palmaria, le presunte irregolarità denunciate da Legambiente

Nel frattempo il Comune, gestore del Parco naturale, aveva rinunciato a esercitare il diritto di prelazione nell’acquisto della ex Cava perché non la riteneva di interesse pubblico. Dalle intercettazioni emergono infatti i dialoghi tra Cozzani e Paletti durante i quali i due si sembrano accordarsi sulla delibera di giunta necessaria. Legambiente fece ricorso al Presidente della Repubblica, perché questa decisione era stata presa non dal Consiglio comunale, come vorrebbe la norma, ma dalla Giunta comunale.

«Poi c’erano altre irregolarità. Avevamo fatto un esposto all’inizio dei lavori, essendo quella una zona speciale di conservazione, in quanto i progetti devono essere sottoposti a valutazione di incidenza. Ma, ad esempio, l’utilizzo di un pontone con gru in stretta prossimità della prateria di posidonia non era stato valutato», continua Giacomazzi.

Sempre secondo il Gip, «a detta dello stesso Cozzani, con il permesso di costruire in mano, l’area valeva tre volte il suo prezzo di acquisto». Il sindaco poi sollecitava il parere favorevole della soprintendenza: «La soprintendenza adesso dà un parere positivo, perché sennò io chiamo la soprintendente adesso e la spettino», diceva furioso il sindaco agli uffici comunali.

Come ricorda infatti l’attivista di Legambiente, «tutta la Conferenza dei servizi si svolse all’oscuro dal pubblico, senza darne la comunicazione sui siti istituzionali. Ci siamo dovuti rivolgere al difensore civico che è intervenuto ricordando al Comune di Porto Venere i propri doveri in merito all’informazione al pubblico».

Le accuse del Gip: favori e bandi confezionati ad hoc

Secondo l’accusa, il sindaco Cozzani avrebbe favorito i Paletti anche per altri affari: dai campi da padel all’ex scuola Ravecca trasformata in dependance del Grand Hotel, con un bando confezionato su misura per loro. Sempre come riportato nel dispositivo del Gip, in cambio i Paletti avrebbero offerto cene, pernotti, biglietti del Gran Premio di Formula Uno agli amici del sindaco.

Promettevano anche di aiutare l’espansione commerciale dell’azienda del fratello del sindaco, Filippo Cozzani, imprenditore dell’acqua in brick. Quest’ultimo veniva addirittura invitato a far parte del progetto per la realizzazione e gestione dello stabilimento balneare alla Palmaria. Tra gli indagati anche Michele Denegri, imprenditore torinese che bramava di costruire piscine nell’isolotto. L’accusa per lui è quella di turbativa d’asta: si sarebbe messo d’accordo con il sindaco per aggiudicarsi i terreni.   

Il posidonieto sacrificato tra le proteste degli ambientalisti

Il Parco naturale regionale di Porto Venere, di gestione comunale, con la sua Area di tutela marina che comprende anche un posidonieto proprio di fronte alla ex Cava Carlo Alberto, veniva progressivamente impoverito e deprivato.

«Le visite organizzate dalle associazioni del posto, i percorsi botanici, nonostante il buon riscontro di pubblico, furono tutte interrotte per decisione dell’amministrazione di Porto Venere», spiega Gabriella Reboa dell’Associazione Posidonia. «Veniva favorito il degrado dell’isola per poter poi invocare l’intervento salvifico del privato. Nonostante le nostre numerose proteste, si giunse alla messa all’asta di due lotti del valore iniziale complessivo di 12 milioni di euro. Ma le due aste andarono deserte. Nel 2023 è subentrata un’amministrazione in continuità con l’operato di Cozzani e nel febbraio 2024 il Consiglio comunale, per facilitare la vendita, ha preso quasi all’unanimità la decisione dello spacchettamento dei beni», precisa Reboa. «In questi anni abbiamo più volte denunciato i vizi di fondo, le assenze e la visione puramente imprenditoriale, economica e finanziaria sulla gestione del territorio. Ma non credevamo a una collusione così ampia».

Giacomazzi incalza: «Ad aprile 2023 facemmo una manifestazione con 300 persone, una catena umana, per protestare contro la realizzazione dello stabilimento con piscine, con varie associazioni tra cui Legambiente, Posidonia, Psmn, (Palmaria sì, masterplan no). Quel giorno, con nostra sorpresa, arrivò il primo sequestro del cantiere dell’ex cava di Carlo Alberto. Era il 15 aprile 2023 e festeggiammo. Dopo qualche mese arrivò il dissequestro: eravamo al lumicino delle nostre speranze, c’era scoramento, ci stavamo disperdendo. Credevamo che nulla potesse bloccare il sacco dell’isola. Ora torniamo a sperare. Sappiamo che, anche grazie ai nostri esposti, hanno iniziato a indagare».

Quando i controllori coincidono con i controllati

La questione penale però non risolve tutto, secondo gli attivisti. Questa vicenda assume un valore che va ben oltre la Palmaria. «È emblematica perché indica un vulnus generale sulla tutela del territorio: i controllori che coincidono con i controllati», attacca Giacomazzi. «Nei momenti decisivi dei passaggi amministrativi sul Masterplan, Cozzani era Sindaco di Porto Venere. Di conseguenza era “controllore” del Parco Regionale (a gestione comunale), site manager del Sito Unesco, Commissario per l’Area strategica della Palmaria. Per cui, di fatto, si consumava un conflitto di interessi enorme e sollevato solo da noi attivisti».

«Forse si può anche capire perché l’Unesco, cui abbiamo denunciato gli interessi in gioco, non si sia mai espressa», conclude Giacomazzi. «Il Piano del parco, che si dice sovraordinato agli altri proprio per le sue funzioni di tutela, è stato sottoposto a un processo di revisione per adeguarsi al Masterplan. Anche il Piano di gestione della Zona speciale di conservazione della Palmaria (che tutela e gestisce habitat e specie di interesse conservazionistico a livello europeo), pronto dal 2021, è stato tenuto nel cassetto e solo nel 2023 reso pubblico e adottato. Ma se tutto questo è successo qui da noi, da quante altre parti accade senza che nessuno lo scopra?».

21/05/2024

da Valori

Linda Maggiori

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