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Le vuote promesse USA sulla creazione di uno Stato palestinese

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Anche Biden, come già Obama, lo Stato Palestinese lo auspicano a parole. ‘Lip service’, promesse che nei fatti rimangono parole al vento. Eric Salerno, oltre che prezioso collega e grande amico, ebreo-russo-americano-calabrese e non cos’altro aggiungere (nato a New York da un’ebrea russa sfuggita alle guardie bianche zariste e da un comunista calabrese scampato dal fascismo, ed espulso nel 1950 dal maccartismo), è anche ‘Voce di New York’, il primo quotidiano digitale italiano inglese negli Stati Uniti dove certe parole non serve spiegarle. Per Noi, meglio di sì

Demonstration in support of the Palestinian people on Republic Square in Paris

‘Lip service’, il ‘prendere in giro’ italiano

‘Lip service’, un termine comune negli Stati Uniti. Un dizionario on-line fornisce un esempio per l’uso delle due parole: Obama ha adempiuto formalmente alla chiusura di Guantánamo, ma poi non ha preso i provvedimenti necessari per attuarlo. La prigione di massima sicurezza creata dagli Usa su un lembo dell’isola di Cuba per poter fare ai prigionieri cose proibite dalle leggi americane è sempre in piedi. Obama, presidente delle buone intenzioni, premio Nobel per la pace in Medio Oriente che non ha mai prodotto, è in pensione. Al suo posto c’è Biden. C’è chi dice anche a Washington e tra i suoi, che lui dovrebbe andare in pensione anticipata: lui per ora non molla la poltrona. Lo vorrebbe per se o almeno tenerla calda per qualcuno del suo partito democratico quando tra un anno gli americani andranno a votare.

Medio Oriente, Hamas e le elezioni Usa

La guerra in Medio Oriente, le atrocità di Hamas nei confronti della popolazione civile israeliana e il massiccio assalto di Israele alla striscia di Gaza sono solo uno dei problemi dell’anziano presidente e cresce il sospetto che per evitare l’allargamento del conflitto tra Hamas e Israele e per salvare in qualche modo il futuro del partito democratico sta ora facendo a parole all’idea di uno stato palestinese accanto a Israele. «La soluzione di due stati deve venire subito dopo» avrebbe detto al premier israeliano Netanyahu, il politico più screditato di Israele e l’uomo che oltre a pensare – lo dicono gli israeliani – a se stesso, alla sua famiglia, al proprio ruolo politico (e al suo rischio di galera per corruzione Ndr) – è da sempre impegnato per impedire ai palestinesi di vivere in uno stato indipendente accanto a Israele.

Forcaiolo ‘Bibi’ senza tregua

‘Bibi’ (Netanyahu) è da sempre un sostenitore della vecchia piattaforma del Likud, il partito di centro che lo portò alla guida del paese: Israele deve essere riconosciuto come stato ebraico entro confini che vanno dal Mediterraneo al fiume Giordano. Anche in questi giorni i partner di Netanyahu nella coalizione di governo stanno allargando e potenziando gli insediamenti e le colonie in Cisgiordania ea Gerusalemme Est, la zona araba della città, che secondo gli accordi firmati sul prato della Casa bianca dovrebbe ospitare la sede della capitale di uno stato palestinese.

Inciampo Biden a destra e a manca

Nelle sue osservazioni di ieri sul conflitto in rapida escalation, Biden ha espresso una «mancanza di fiducia nel bilancio delle vittime auto-riferite dai palestinesi a Gaza» e ha poi criticato aspramente i coloni «estremisti della Cisgiordania per lancio di benzina sul fuoco nei loro attacchi contro i locali palestinesi». E’ possibile, forse probabile, che le autorità sanitarie di Gaza, vicine ad Hamas o condizionate dalle forze integraliste, stiano esagerando il numero delle vittime ma le parole del presidente americano sono apparse inutilmente sbilanciate a favore di Israele di fronte alle immagini della distruzione di interi quartieri di Gaza da parte dei missili e dei bombardieri israeliani.

Il futuro di un triste passato

Torniamo al futuro perché è la chiave anche del presente. Biden e gli europei, nell’immediato, sperano di contenere la guerra. La flotta americana, i missili Usa in arrivo nella zona, i consiglieri militari americani cercano di gestire, in qualche modo, la rappresaglia israeliana per l’eccidio compiuto da Hamas e allo stesso tempo di scoraggiare l’Iran ei suoi alleati da ogni tentazione di allargare il conflitto. Ieri due docenti di ‘Bar Ilan’, fino a poco tempo fa, considerato il più religioso e politicamente estremista ateneo di Israele, con il suo campus in una città-colonia (Cisgiordania occupata), da dove è uscito l’assassino di Itzhak Rabin hanno abbozzato un progetto. Credibile? Forse.

Contro Hamas, ma la questione palestinese?

«Gli israeliani – spiega un riassunto – si sono uniti intorno all’obiettivo di rovesciare il regime di Hamas, ma poco è stato detto su ciò che sarebbe venuto dopo. Questo problema è fondamentale per la sicurezza di Israele e deve essere affrontato. Gli interessi israeliani sono meglio serviti stabilendo a Gaza un’amministrazione legata all’Anp palestinese insieme a un massiccio programma di ricostruzione sostenuto dagli Stati Uniti e da altri attori internazionali e regionali. La dichiarazione di sostegno di Israele per stabilire un tale regime a Gaza il prima possibile, fornirebbe una direzione politica all’operazione militare e ne migliorerebbe la legittimità internazionale. Sconfiggere Hamas deve in definitiva significare non solo la sua distruzione militare, ma l’empowerment (la valorizzazione) di un’alternativa palestinese moderata».

Ora, solo ‘Due Stati’

Nelle conclusioni, leggiamo: «Per troppo tempo, Israele non è riuscito ad articolare un orizzonte diplomatico che potrebbe dare potere ai moderati palestinesi in opposizione ad Hamas e ad altri estremisti, credendo che questi ultimi potessero essere contenuti. Ora è chiaro che non solo la legittimità di Israele come stato ebraico e democratico dipende in definitiva da un accordo a due stati, ma la sua sicurezza dipende dal potenziamento della politica palestinese non jihadista».

Analisi a cui poter credere?

Analisi quasi perfetta. Progetto forse ancora possibile nel quasi immediato futuro ma c’è da chiedere se il progetto-idea-convinzione di due studiosi possa essere seguito dalla leadership israeliana che uscirà dalle macerie anche politiche del conflitto. C’è da chiedersi, innanzitutto, se la maggioranza degli israeliani accetterà l’idea stessa di uno stato palestinese accanto a Israele e soprattutto se è pronta ad affrontare realisticamente la non facile situazione sul terreno in Cisgiordania dove alcune delle colonie degli occupanti sono ormai metropoli e la popolazione è quattro, forse cinque volte quella che era quando Rabin, Peres e Arafat firmarono il loro fallito accordo trenta anni fa.

La dannazione delle Colonie

E c’è da chiedersi – non è da poco – se il prossimo inquilino della Casa bianca – Biden, un suo erede democratico od oppositore repubblicano – avrà voglia di affrontare, senza esitazioni e con decisione, il lungo conflitto tra Israele e il popolo palestinese.

È una domanda più che legittima in un mondo che per quasi due anni si è concentrata sulla guerra Russia-Ucraina, oggi sembra messa in pausa, senza dedicare spazio al costante deterioramento della situazione – o meglio, delle varie situazioni potenzialmente esplosive, mediorientali.

27/10/2023

da Remocontro

Eric Salerno