Cina. Nel secondo trimestre il prodotto interno lordo aumenta del 5.2%. Ma rallentano i consumi
La Cina cresce lo stesso. La guerra commerciale con gli Usa, ora in fase di armistizio, non basta a compromettere gli obiettivi economici di Pechino. Quantomeno per ora. Il prodotto interno lordo è infatti cresciuto del 5,2% su base annua nel secondo trimestre, sopra le previsioni del 5%, che è anche l’obiettivo fissato dal governo per il 2025. Il risultato è inferiore solo dello 0,2% al 5,4% dei primi tre mesi dell’anno, quando però non erano ancora entrati in vigore i dazi stellari imposti da Trump a inizio aprile e poi congelati a metà maggio. L’economia «ha resistito alle pressioni e ha raccolto le sfide, con risultati economici complessivamente stabili e in miglioramento», ha affermato l’Ufficio nazionale di statistica, coi media statali che celebrano il secondo segnale di «resilienza commerciale» dopo i dati positivi sull’export di due giorni fa. Sono proprio le vendite all’estero ad aver sostenuto la crescita, con un aumento del 5,8%.
LA CRESCITA della produzione industriale è balzata al 6,8% a giugno rispetto all’anno precedente, accelerando dal 5,8% di maggio, il che suggerisce che i produttori si sono affrettati a evadere gli ordini durante la finestra di opportunità creata dalla tregua sui dazi concordata con Washington. Sull’andamento del pil hanno inciso anche i sussidi a sostegno del settore manifatturiero. Nei mesi scorsi, sono stati infatti stanziati 41,8 miliardi di dollari per ampliare la gamma di beni sovvenzionati per includere smartphone e tablet. Alcune città hanno sospeso il programma dopo l’esaurimento dei fondi, ma il governo centrale si è impegnato a lanciare una nuova serie di sussidi. Non mancano però gli indicatori negativi. A partire dai consumi, il nodo principale da sciogliere per l’economia cinese.
La crescita delle vendite al dettaglio ha subito un forte rallentamento, passando dal 6,4% di maggio al 4,8% di giugno su base annua. Il settore immobiliare continua a zoppicare, mentre si tenta faticosamente di uscire da una lunga fase di deflazione che pesa sui profitti delle imprese e sulla crescita dei salari.
ALL’ORIZZONTE si staglia l’incognita dazi: senza un vero accordo con Washington, il 13 agosto scade la tregua. Ieri, però, sono arrivati segnali di distensione. Il colosso statunitense Nvidia ha annunciato che ha presentato domanda per riprendere le vendite in Cina del chip per l’intelligenza artificiale H20, bloccate dalla Casa bianca ad aprile. Dopo un incontro con Trump, l’amministratore delegato Jensen Huang avrebbe ottenuto il via libera. E ieri il super manager è arrivato a Pechino, dove oggi partecipa all’apertura dell’International Supply Chain Expo.
Nel frattempo, però, la Cina si prepara a nuove burrasche. Ospitando la ministeriale esteri dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), la potenza asiatica auspica un maggiore coordinamento e un «miglioramento dei meccanismi» del gruppo per «rispondere alle sfide sulla sicurezza», sia quella in senso stretto che quella economica. Nonostante le cicliche voci su «sparizioni» o commissariamenti, Xi Jinping ha ricevuto tutti i capi delegazione presenti alla ministeriale. Per alcuni di loro, c’è stato spazio anche per colloqui bilaterali. È il caso del russo Sergei Lavrov, con cui sono stati discussi gli ultimi dettagli dell’attesa visita di Vladimir Putin in agenda a fine agosto. Lavrov ha poi attaccato Unione europea e Nato, che metterebbero «sotto pressione indecente» Trump per trascinarlo «in un vortice di sanzioni».
ASSAI RILEVANTE il colloquio tra Xi e il ministro indiano Subrahmanyam Jaishankar, che comunica una volontà di disgelo dopo che la questione della successione del Dalai Lama si è aggiunta a una relazione già turbolenta. Wang Yi, capo della diplomazia cinese, punta a un compromesso con l’inviato di Nuova Delhi per un documento congiunto, saltato alla recente ministeriale difesa per le rimostranze indiane sulla vicinanza tra Cina e Pakistan. Presente anche l’iraniano Abbas Araghchi, che ha definito l’attacco di Israele e Stati uniti ai suoi impianti nucleari «un atto terroristico», definizione che difficilmente troverà posto nel possibile comunicato finale.
IERI, XI ha ricevuto anche il premier australiano Anthony Albanese, a cui ha detto che le relazioni tra Pechino e Canberra sono «uscite dal punto più basso» e che «grazie agli sforzi congiunti» hanno «ripreso slancio». Albanese, reduce da una vittoria elettorale costruita anche grazie a una presa di distanza da Trump, ha sollevato rimostranze per le esercitazioni navali cinesi tenutesi a febbraio al largo della Tasmania. Allo stesso tempo, ha garantito che non persegue un disaccoppiamento economico con la Cina, che spinge per un aggiornamento dell’accordo di libero scambio del 2015 e la cooperazione sull’intelligenza artificiale.
16/07/2025
da Il Manifesto
Lorenzo Lamperti TAIPEI