11/11/2025
da Il Fatto Quotidiano
Il viceministro contesta la valutazione secondo cui l’85% dei vantaggi va alle famiglie dei due quinti più alti nella distribuzione del reddito: "Non è aderente all’impianto dell’Irpef", dice, "la valutazione redistributiva deve essere condotta sui redditi individuali, non su quelli familiari". Ma è la metodologia standard adottata da tutti i principali modelli di microsimulazione, compreso quello del dipartimento Finanze
L’analisi dell’Istat stando alla quale l’85% dei 2,9 miliardi destinati al taglio della seconda aliquota Irpef previsto dalla legge di Bilancio 2026 finisce alle famiglie dei due quinti più alti nella distribuzione del reddito? “Non è un’analisi metodologicamente aderente all’impianto dell’Irpef” perché “fotografa la dimensione familiare” mentre l’imposta sul reddito è “personale” e “la valutazione redistributiva deve essere condotta sui redditi individuali, non su quelli familiari”. Parola del viceministro con delega al fisco Maurizio Leo, che in un’intervista al Sole 24 Ore derubrica i calcoli dell’istituto di statistica sull’impatto dell’intervento. Sostenendo che “il riferimento al reddito equivalente“, una misura del reddito disponibile delle famiglie corretta per la dimensione e la composizione del nucleo, “è inconferente“. Cioè non pertinente.
L’istituto presieduto dallo statistico Francesco Maria Chelli non commenta. Ma, come vedremo, la contestazione del viceministro fa acqua. Se l’obiettivo è stimare la platea dei beneficiari fiscali occorre ovviamente un’analisi individuale, ma quando – come nel caso dell’audizione dell’Istat – si punta a capire chi beneficia davvero del taglio in termini di benessere economico complessivo guardare alla dimensione familiare è la metodologia standard adottata da tutti i principali modelli di microsimulazione, da quello dell’Ufficio parlamentare di Bilancio a quello della Commissione europea Euromod. Che impiegano come indicatore proprio il reddito familiare equivalente, cioè quello che ogni individuo dovrebbe avere – se vivesse da solo – per raggiungere lo stesso tenore di vita che ha in famiglia. Quel dato, ricavabile dalle indagini italiane ed europee sulle condizioni di vita, consente di confrontare i livelli di reddito di famiglie di dimensione diversa. E di capire, dopo aver ordinato i nuclei in senso crescente sulla base del reddito, come si ripartiscono i benefici generati da una certa misura.
Sostenere che non possa essere impiegato per valutare le conseguenze di un ritocco sull’Irpef è in netto contrasto col fatto che lo stesso Dipartimento Finanze del ministero dell’Economia, nella nota del gennaio 2022 sugli “effetti redistributivi della riforma Irpef e assegno unico” varata dal governo Draghi, ha calcolato gli impatti per decimi di reddito familiare equivalente utilizzando il proprio modello TaxBen-DF. “Gli effetti redistributivi complessivi sono calcolati per differenti raggruppamenti di famiglie in termini di beneficio medio e di incidenza del beneficio sul reddito”, spiegava il documento della Direzione studi e ricerche economico fiscali.
Il viceministro di FdI parlando col Sole cerca poi di ribaltare la narrazione sulla manovra spiegando su 13,6 milioni di contribuenti interessati dal mini ritocco Irpef “circa tre quarti di loro dichiara redditi inferiori a 50.000 euro“, per cui “si tratta di un intervento calibrato sul blocco centrale della distribuzione del reddito”. Poco importa se, come calcolato dall’Istat, i benefici si fermeranno a 102 euro per le famiglie del primo quinto e saranno di 411 euro annui per quelle che dichiarano di più. “Per i contribuenti con redditi superiori a 200mila euro – circa lo 0,1% del totale – la misura è compensata dalla rimodulazione delle detrazioni, che sterilizza parzialmente il beneficio preservando la progressività dell’imposta”, argomenta il viceministro. Che però ignora le analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio secondo cui quell’intervento riguarda in realtà solo il 32% di coloro che stanno in quella fascia di reddito (gli altri non hanno detrazioni da ridurre, o se le sono già viste azzerare dalle precedenti manovre). Con il risultato che “il beneficio medio netto per i contribuenti con reddito superiore a 200.000 euro si attesta quindi a 379 euro, valore prossimo al massimo teorico di 440 euro”.

