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Leoncavallo, il bosco orizzontale di Milano

Leoncavallo, il bosco orizzontale di Milano

Politica italiana

07/09/2025

da Il Manifesto

Giuliano Santoro

Quando ci vuole. Almeno 50 mila persone hanno preso parte al corteo per la difesa degli spazi sociali, dopo lo sgombero del mese scorso. «Occupare non ha mai tolto nulla a nessuno. I soli a rimetterci sono gli speculatori»

Non è stato il funerale del Leoncavallo, è stata al contrario una dimostrazione di vitalità e potenza. In piazza non c’era soltanto chi vuole difendere il Leoncavallo o chi si riconosce nella sua lunga e articolata storia lunga mezzo secolo. C’erano tutti quelli che considerano l’attacco al centro sociale più antico di Milano una minaccia a loro stessi, alle loro esperienze politiche, alle loro forme di vita, alla possibilità stessa di immaginare insieme un’esistenza il più possibile lontana dalla miseria e dalla solitudine. I numeri dimostrano che a questa categoria appartengono moltissime persone, di generazioni, culture e anche ceti sociali differenti.

LA GIORNATA è partita presto, fin dal mattino, quando qualche centinaio di attivisti, alcuni giovanissimi, degli spazi sociali milanesi si è presentato davanti alla sede del Leoncavallo di via Watteau, quella sgomberata lo scorso 21 agosto e tutt’ora sorvegliata a vista da molti uomini in divisa.

C’è da scommettere che questo posto di polizia permanente durerà a lungo, anche perché dentro le mura del Leo ci sono opere d’arte e documenti storici tutelati dalla soprintendenza: difficile che si possano chiamare le ruspe in fretta e furia per fare strada a nuovi torracchioni in cortile.

SI PROSEGUE per l’aperitivo di mezzogiorno, appuntamento davanti alla Stazione centrale, cioè una delle zone rosse con meno diritti per i poveri individuate dalle disposizioni del governo. Da qui i centri sociali partono in forma autonoma alla volta del distretto di City life. Con loro c’è anche la Rete dei comitati della città metropolitana che da tempi non sospetti denuncia le operazioni edilizie troppo allegre, si fa per dire, della rigenerazione milanese. «Occupare non ha mai tolto nulla a nessuno – dicono dal camion – Ma ha dato tanto a chi non aveva spazi o un tetto sulla testa. Gli unici che ci rimettono sono gli speculatori». E ancora: «Il Leoncavallo è un simbolo ma di simboli vuoti non ce ne facciamo nulla. Per questo serve che resti simbolo di resistenza». E allora il corteo passa davanti al Pirellino, uno dei grattacieli incompiuti.

Quando la nuvola rossa dei fumogeni si solleva è il segnale: salta il cancello che delimita il cantiere di uno dei progetti di Manfredi Catella bloccati dall’inchiesta sulle speculazioni. «Quanti zeri devono avere i nostri stipendi per vivere in questi scheletri di cemento e vetro?», dicono dal megafono. «Change is good» recita la scritta gigantesca che pubblicizza una finanziaria proprio nei luoghi dei grattacieli costruiti dai fondi. Viene letteralmente ricoperta dal grande striscione che recita »Contro la città dei padroni”.

E ALLORA IL PRE-CORTEO si ingrossa man mano fino a raggiungere la partenza ufficiale, a Porta Venezia. Qui la manifestazione si fa oceanica, oltre le più rosee previsioni. Soltanto la ragionevolezza meneghina fa sì che dal corteo l’annuncio dei numeri sia prudente eppure entusiasta «Siamo più di 50 mila!».

C’È IL TRATTORE dei vignaioli de La terra trema, appuntamento enogastronomico ospitato dal Leo che distribuisce vino rosso e buone vibrazioni. Ci sono Paolo Rossi, Bebo Storti, Antonio Catania, Gigio Alberti e Claudio Bisio che reggono lo striscione «comedians» in memoria delle loro prove sul palco del Leo. Ci sono Arci e Anpi, il Pd e Avs. «In questo momento il partito ha il ruolo di dover dare anche delle risposte a quello che questa piazza chiede e pensiamo che non ci sia nessun imbarazzo e nessuna contraddizione», dice il segretario dem milanese Alessandro Capelli. Ci sono i centri sociali del nord-est e quelli di Bologna e dell’Emilia Romagna.

SONO VENUTI IN TANTI da Brescia e Bergamo, città della Lombardia profonda in cui da tempo le sinistre sociali e i movimenti si battono metro dopo metro per fermare la reazione. I romani sono sparsi in corteo a centinaia. Lo striscione del Forte prenestino, il centro sociale più grande d’Europa, è un piccolo capolavoro di ironia e mitopoiesi, cita lo storico slogan dello sgombero del Leo del 1989 in chiave latina: «Ubi necesse est necesse est».

E quando, cosa niente affatto scontata, la manifestazione conquista piazza Duomo, si capisce che il Leoncavallo nomade si è davvero preso la città. C’è un tempo dell’urgenza, del movimento veloce di fronte agli imprevisti ma c’è anche il tempo di chi cura le relazioni e si occupa delle future generazioni. Il corteo cerca di esprimerli tutti e due: «Milano, dischiudi gli artigli e difendili gli spazi sociali – dicono dal camion di apertura – C’eravamo molto prima di voi al governo della città e del paese e ci saremo quando sarete andati tutti a casa».

Non è affatto detto che tutto ciò rappresenti una nuova forma di alleanza dal basso, un ombrello ecumenico sotto al quale far ripartire un processo unitario. Tuttavia, di sicuro è un fatto politico che la paziente tessitura dei giorni scorsi ha fatto in modo che tutte queste persone si ritrovino insieme in larga parte riconoscendosi legittimità reciproca. E che si possa pensare, almeno per un giorno, che questo sia davvero il “modello Milano”: la città orizzontale contro quella verticale.

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