Il primo papa statunitense di nascita, ma il più universale del possibile nella sua missione in America latina -decenni vescovo in Perù-, e le origini di famiglia che lo fa nascere a Chicago con cognome e genitori francesi ed avi italiani e spagnoli, recita la sua scheda tra quelle dei 130 cardinali e sino a ieri sera, neppure tra i più ‘papabili’. Se credenti, opera dello Spirito Santo, o laicamente sorpresi, ‘Conclave batte pseudo analisti vaticani’. Un KO ricco di promesse, su cui ragionare dopo la cronaca.
Il papa più universale di sempre
«La missione, il servizio, la Chiesa: tanti i fronti d’impegno di Leone XIV», su cui ragiona Riccardo Maccioni, sul giornale dei vescovi Avvenire.
«In Conclave era entrato con la nomea del meno statunitense tra i cardinali Usa. Una definizione quasi paradossale ma che fa capire bene come Robert Francis Prevost sia lontano dalle divisioni, alimentate dai media, tra conservatori e progressisti o, meglio, oggi tra avversari e sostenitori del presidente Donald Trump. Il nuovo Pontefice, infatti è comunemente conosciuto come uomo del dialogo, capace di ascolto e di mediazione».
Papa Robert Prevost
«Fumata bianca. Papa Robert Prevost, Leone XIV. Prego per pace disarmata e disarmante». Eletto al quarto scrutinio dopo un brevissimo Conclave. Prefetto del Dicastero per i Vescovi, vescovo emerito di Chiclayo, è nato il 14 settembre 1955 a Chicago. ‘La pace sia con voi’, le prime parole.
I cardinali hanno scelto il cardinale Robert Francis Prevost, che si chiamerà Leone XIV (un nome che rimanda al Papa della Rerum Novarum e della dottrina sociale della Chiesa, Leone XIII). Ed è soprattutto è il primo Papa statunitense. E questa è già una sorpresa dato l’attuale scenario geopolitico. Ma il nome di Prevost era circolato tra i papabili, anche se non nelle primissime posizioni. Tutto fa pensare quindi a una scelta che va nel senso di un messaggio di pace, anzi a una richiesta di pace, lanciata al mondo e ai potenti soprattutto. A cominciare dal più potente di tutti: l’inquilino della Casa Bianca, connazionale del nuovo Pontefice.
La pace al primo posto
E pace è stata di fatto la prima parola pronunciata da Leone XIV affacciandosi alla Loggia Centrale. Emozionato, ma anche capace di controllarla questa inevitabile emozione. «Già con il suo primo saluto, dunque, papa Prevost ha dimostrato la propria continuità creativa, dimostrata tra l’altro anche nell’abbigliamento: mozzetta e stola come nella tradizione, ma con accenti nel discorso chiaramente bergogliani. Non è stato il suo un saluto a braccio, ma un vero e proprio discorso scritto (è la prima volta che accade), a suo modo programmatico, in cui ha toccato i temi che potrebbero diventare quelli portanti del suo pontificato».
Una prima analisi di Alberto Bobbio
Non sapremo mai come sono andate le cose nella Cappella Sistina, dopo due fumate nere, quindi tre scrutini andati a vuoto, fino alla fumata bianca con l’elezione di Leone XIV al quarto scrutinio come per Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI nel 2005. Ma se l’elezione di Ratzinger fu ampiamente prevista quella di Robert Francis Prevost è stata una sorpresa, così come il nome che evoca il Papa delle 86 encicliche, tra cui una delle più famose della storia della Chiesa quella Rerum Novarum che diede una svolta all’impegno sociale dei cattolici in un’epoca non facile, anch’esso una sorta di cambiamento d’epoca, la prima enciclica sociale, promulgata nel 1891.
E’ un religioso, Ordine degli Agostiniani e gli agostiniani sono i titolari dell’unica parrocchia che c’è in Vaticano, intitolata a Sant’Anna. Dunque un altro religioso al soglio di Pietro dopo il gesuita Bergoglio. Ha esperienza pastorale e di governo. E’ stato Priore degli Agostiniani per anni, ha viaggiato in America latina visitando le comunità dei suoi confratelli e conobbe Bergoglio in Argentina 25 anni fa. Da allora tra i due si era stretto un rapporto anche personale importante. Francesco lo nominò prima amministratore apostolico e poi vescovo della diocesi peruviana di Chiclayo, nonostante fosse americano, perché in Perù aveva passato molti anni nelle missioni agostiniane ed era stato anche parroco.
Nel 2023 Bergoglio lo chiamò in Vaticano a presiedere la Congregazione dei vescovi, un dicastero chiave che delinea la geografia dell’episcopato mondiale dove è necessaria una collaborazione più che stretta tra il Prefetto e il Papa. Probabilmente è stata la sua figura, dove s’intreccia capacità di governo in un grande Ordine religioso, ma anche ampia esperienza pastorale in luoghi non facili e ancora governo di un dicastero strategico e cruciale per ogni Pontificato, ad orientare la scelta dei cardinali nella Cappella Sistina. Insomma il profilo di Prevost ha messo d’accordo due sensibilità che si erano manifestate in modo abbastanza evidente nelle discussioni nelle Congregazioni Generali che hanno preceduto il Conclave.
Dalle informazioni ufficiali quotidianamente diramate dalla Sala Stampa della Santa Sede con i briefing del direttore Matteo Bruni e nei bollettini successivi si era notata una certa polarizzazione nel dibattito tra chi insisteva sul profilo del Pastore e chi invece sottolineava anche la necessità di un certo riordino nel governo anche della Curia. Ma insistere solo su un aspetto era visto da una parte come una sorta di tradimento della linea bergogliana e dall’altra come un passo ancora più in là della “rivoluzione” di Bergoglio, che non è un mistero a qualcuno non ha mai soddisfatto fino in fondo.
La discussione nelle Congregazioni Generali ha assunto in alcune occasioni il carattere di un vero e proprio contrappunto, anche se qualcuno ha cercato di evitarla e trovare una mediazione su un profilo più condiviso. Probabilmente con questa divisione non del tutto risolta i cardinali sono entrati in Conclave. Le analisi indicavano nel Segretario di Stato Pietro Parolin l’uomo che avrebbe potuto mettere d’accordo tutti, pur mancando di esperienza pastorale, essendo la sua figura quella di un eminente diplomatico. Nella prima omelia dei Novendiali Parolin aveva indicato nella “misericordia” il punto centrale attorno a cui costruire tutto dalla diplomazia alla cura pastorale.
Ma Parolin per qualcuno era troppo diplomatico, per altri più conservatori doveva scontare l’accordo sulla Cina, di cui è stato il grande tessitore e la provenienza dalla scuola dei cardinali Agostino Casaroli e Achille Silvestrini, gli artefici del dialogo a tutto campo e con tutti i regimi come soluzioni ai problemi dei popoli e della Chiesa. Sull’altro lato la scelta piegava verso un “pastore puro”, che avesse poco a che fare con la Curia romana. Il rischio era quello di bloccare per giorni il Conclave. Non sappiamo cosa è capitato nei quattro scrutini, né le discussioni che ci sono state tra i cardinali durante solo una cena e un pranzo. Né sappiamo se qualcuno abbia fatto un passo indietro. E non lo sapremo mai. Sappiamo solo che la scelta del 267esimo successore di Pietro è caduta su uomo saggio con un profilo perfetto.
09/05/2025
da Remocontro