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L'escalation Usa-Venezuela potrebbe sfociare a breve in raid aerei

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Politica estera

31/10/2025

da Avvenire

Estefano Tamburrini

Porti, aeroporti e basi militari sono finiti nel mirino dell'amministrazione Trump, pronta a bombardarli in quanto rappresentano "punti di collegamento tra le bande del narcotraffico e il regime di Maduro".

Porti, aeroporti e basi militari del Venezuela sono finiti nel mirino dell'amministrazione Trump, pronta a bombardarli in quanto rappresentano "punti di collegamento tra le bande del narcotraffico e il regime di Maduro". Così lo rende noto il Wall Street Journal dopo aver interpellato alcune fonti del Pentagono, secondo le quali i raid aerei - attraverso i B-1 bombers e F-35 già dispiegati nei Caraibi - potrebbero precedere le operazioni di terra, già annunciate dal leader della Casa Bianca Donald Trump, ma sulle quali non è stata presa una decisione ultima. Fonti di Caracas confermano ad Avvenire i timori per attacchi alla base militare dell'Isola dell'Orchila, già sorvolata dai B-52 statunitensi, alla zona costiera dello Stato Sucre - la più vicina all'Isola di Trinidad & Tobago -, le basi militari aeree Francisco de Miranda (Maracaibo) e Rafael Urdaneta (Zulia) e altri punti chiave.

Funzionari statunitensi assicurano che l’eventuale attacco costituirebbe "un monito chiaro al leader venezuelano Nicolás Maduro", spingendolo alla rinuncia. Le reali intenzioni della Casa Bianca rimangono sotto una coltre di mistero là dove ai Dem è stato impedito, ieri, l'accesso a un'informativa classificata sul Venezuela, tenutasi nel Senato e i soldati dispiegati nei Caraibi sono stati chiamati a sottoscrivere un accordo di riservatezza e non divulgazione sulle operazioni in corso nei Caraibi e nel Pacifico.

Si intensificano nel frattempo le esercitazioni di tiro reale sulla USS Iwo Jima, sempre più vicino alle coste del Paese sudamericano e sono almeno dodici le imbarcazioni affondate dagli Usa, con oltre 43 vittime. Il massiccio dispiegamento Usa al largo del Paese sudamericano inasprisce il clima politico di Caracas, che nei giorni scorsi ha annunciato la detenzione di agenti vincolati alla Cia intenti a eseguire operazioni False flag contro i soldati Usa in Trinidad & Tobago. È in corso una nuova caccia al nemico interno, che porta a quota 1.067 il numero di persone detenute per ragioni politiche di cui oltre 172 desaparecidos, cioè persone di cui si sono perse le tracce. La stima è stata diffusa dall'Ong "Justicia, encuentro y perdón", la quale avverte che "il numero di arresti a sfondo politico potrebbe essere ben più alto". Il clima è teso e la sorveglianza aumenta e Caracas minaccia la revoca della cittadinanza a 25 dissidenti, compresa la premio Nobel María Corina Machado. Secondo l'ex-ambasciatore Usa a Caracas, James B. Story, l'escalation, che vede la presenza di oltre 10mila soldati nei Caraibi, non si limita a Maduro ma punta a mettere in discussione l'egemonia cinese sul continente. "Potrebbe succedere qualcosa nei prossimi 30 giorni", ha assicurato il diplomatico a Univisión. Pechino ha già condannato le operazioni Usa nell'area caraibica, definendola una "zona di pace", mentre Mosca corre a ratificare l'accordo di cooperazione strategica con Caracas al fine di "assicurare la resilienza di entrambi" i Paesi di fronte alle sanzioni Usa e "promuovere un ordine internazionale multipolare". Il messaggio del Cremlino a Washington, esplicitato dalla portavoce Maria Zarakhova: “Siamo pronti a intervenire, se gli Usa attaccano”.

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