1/12/2025
da Il Manifesto
Smania da negoziato Pur di prendere in contropiede gli europei, gli americani hanno raggiunto ieri un accordo con il capo della Bielorussia e alleato del Cremlino. Ma è solo l'inizio
È una presunzione del mondo moderno, scriveva Solženicyn, che la storia sia governata dalla ragione. La storia, sosteneva, è un albero contorto agitato da venti e tempeste improvvise. Né Zelensky né gli europei si aspettavano nel gennaio 2022 l’invasione russa.
E forse per evitare la guerra sarebbe bastata allora una dichiarazione di neutralità di Kiev. Ma dopo le delusioni dei negoziati di Minsk per risolvere il conflitto nel Donbass, stabilendo un cessate il fuoco, il ritiro delle armi pesanti e un percorso politico per le regioni russofone separatiste, nessuno sembrava volere intavolare un vera trattativa con Mosca.
Adesso invece siamo in piena smania da negoziato e come nel cerchio di un tragico girotondo diplomatico si riparte da Minsk. Pur di prendere in contropiede gli europei, gli americani hanno raggiunto ieri un accordo con il capo della Bielorussia e alleato del Cremlino: Trump ha tolto le sanzioni all’industria del potassio e sono stati liberati cambio oltre 140 detenuti (tra loro Ales Bialiatski, vincitore del Nobel per la pace 2022, e Maria Kolesnikova, una delle figure centrali dell’opposizione), la gran parte, nell’ambito di un’intesa con Kiev, trasferiti in Ucraina. Ma è solo l’inizio.
La diplomazia per Trump è anche una partita dove, insiste sempre il presidente americano, «devi avere le carte». E così Washington ieri ha calato l’asso, quello che secondo le non troppe velate intenzioni di Trump dovrebbe spingere Zelensky e gli europei a un accordo (quale non si sa ancora) con Putin. L’amministrazione Trump, secondo Axios, sarebbe pronta a fornire all’Ucraina garanzie di sicurezza giuridicamente vincolanti basate sull’articolo 5 del Trattato Nato sulla difesa collettiva degli stati membri: «Vogliamo offrire agli ucraini una garanzia di sicurezza che non sia un assegno in bianco da un lato, ma che sia sufficientemente solida dall’altro e siamo disposti a inviarla al Congresso per votarla», ha affermato un funzionario americano. In sintesi secondo questa proposta (se verrà confermata) la Nato continuerà ad «abbaiare», come diceva Papa Bergoglio, ai confini di Mosca, un’Alleanza atlantica che intanto ha inglobato due nuovi membri (Svezia e Finlandia) e che farebbe dell’Ucraina non uno stato membro della Nato ma certamente non neutrale. C’è da dubitare che a Mosca possa piacere ingoiare il rospo. Ma è anche vero che potrebbe essere una mossa tattica degli Stati uniti per smuovere le acque europee e atlantiche per negoziare qualche cosa d’altro.
L’Europa deve stare ben attenta perché Trump gioca molto sulle nostre paure e porta avanti con Putin una sorta di guerra di civiltà. Il presidente americano ci disprezza fortemente. Trump, spiegava l’altro ieri il New York Times, non si preoccupa della democrazia, delle alleanze o della Nato, vede Putin come un difensore del nazionalismo cristiano bianco e dei valori tradizionali rispetto alle nazioni dell’Unione europea che secondo lui non difendono «la razza bianca e la fede giudaico-cristiana». L’idea trumpiana e Maga è l’espulsione dei musulmani dall’Europa, il modello, già in atto, è quello dell’espulsione dei palestinesi dalla Palestina e dei migranti dagli Usa.
Non solo. Con la guerra in Ucraina è riemersa in Europa la paura del nemico, anche in maniera incontrollata, e tutto questo fa il gioco di Trump. Noi vediamo in Putin una sorta di nemico perfetto perché è tutto quello che non vorremmo essere, un dittatore che vìola (come del resto Netanyahu) il diritto internazionale e qualunque regola umanitaria, e contro di lui siamo pronti a mettere in bilancio programmi di riarmo senza precedenti. L’Europa preda dei suoi timori fa sorridere Trump perché lui ci vende oltre il 60% dei nostri armamenti.
Quando si parla di affari Trump è ipersensibile. È stato assai contrariato dal congelamento a tempo indefinito degli asset russi in Europa votato dalla Ue per utilizzarli a sostegno dell’ Ucraina: secondo i suoi piani dovevano diventare un fondo di investimento comune fra Washington e Mosca destinato alle imprese americane. Lui intende massimizzare i profitti e senza rischi, per questo fa acquistare a noi le armi americane per l’Ucraina. In realtà l’Europa, chiamata in tribunale dalla Banca centrale russa per i fondi congelati, ha in mano alcune carte (oltre a una montagna di debito americano come faceva notare ieri sul manifesto Fabrizio Tonello) ma se vuole essere protagonista della ricostruzione dell’Ucraina deve prevedere anche il suo ingresso nell’Unione europea (nel 2027 secondo fonti di Bruxelles).
Di tutto questo avremo un saggio in queste ore a Berlino dove sta per arrivare l’inviato americano Steve Witkoff per incontrare i leader europei e Zelensky. La decisione della Casa bianca di mandare l’immobiliarista-negoziatore indica, secondo i media, un’accelerazione della spinta degli Stati uniti per un accordo di prima della fine dell’anno. La smania da negoziato sta diventando quasi febbrile: vedremo se la storia sarà governata questa volta dalla ragione o farà altri scherzi.

