09/12/2025
da Remocontro
La Cina, che l’Occidente doveva mettere in ginocchio con i dazi doganali, sfonda tutti i record dell’export nel 2025. Contemporaneamente, il Ministro degli Esteri tedesco si reca in pellegrinaggio a Pechino, per cercare di salvare il salvabile. Nel frattempo, mentre Berlino fa marcia indietro, a Washington si parla sempre più apertamente di neo-isolazionismo.

E Pechino batte tutti i record
Certo, il primo a essere quasi stupefatto della performance manifestata dal colosso asiatico è stato lo stesso Wall Street Journal, che ha sparato la notizia “di testa”. in prima pagina, accompagnandola con grafici più che eloquenti. E il motivo è semplice: gli Stati Uniti e l’Europa hanno fatto una vera e propria guerra commerciale contro la Cina per tutto il 2025. È il risultato è stato quello (quasi simmetrico) che si può riscontrare anche nella sfera geopolitica: Pechino si è rifatta con gli interessi, puntando su rinnovate alleanze con i Paesi del Sud del mondo e con i cosiddetti “non allineati”. Anche se poi, a leggere con attenzione i dati, si scoprono verità insospettabili. Come quella di un’Europa che a parole sproloquia di sacri principi e poi nei fatti, vigliaccamente, corre in Cina a trattare dietro le quinte i sordidi interessi di bottega nazionali. Questo tanto per ricordare di chi stiamo parlando. Dunque il WSJ titola eloquentemente: “Il surplus commerciale della Cina supera i mille miliardi di dollari, sottolineando il suo predominio nelle esportazioni”. Per poi aggiungere nell’incipit che quest’anno ha superato per la prima volta “un traguardo che sottolinea il predominio raggiunto dal Paese in ogni settore, dai veicoli elettrici di fascia alta alle magliette di fascia bassa. Nei primi 11 mesi dell’anno – prosegue il Journal – le esportazioni cinesi sono aumentate del 5,4% rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 3,4 trilioni di dollari, mentre le importazioni sono diminuite dello 0,6% nello stesso periodo, attestandosi a 2,3 trilioni di dollari. Ciò ha portato il surplus commerciale del Paese quest’anno a 1,08 trilioni di dollari, ha dichiarato lunedì l’Amministrazione generale delle dogane cinese”.
Dalle mutande ai microchip
L’analisi che fanno i giornalisti americani è tra l’ammirato e il profondamente preoccupato. In effetti, la traiettoria di sviluppo del sistema economico cinese è caratterizzata dalla sua crescita esponenziale nell’unità di tempo. Insomma, il Pil aumenta di anno in anno come se la popolazione lavorativa fosse parte di un gigantesco formicaio, in cui ognuno sembra avere il suo posto e la sua funzione. Almeno questo dicono le cifre. Poi la “qualità” del sistema è un altro discorso. Ma non fermiamoci solo ai formidabili incrementi produttivi e parliamo anche della diversificazione strategica dei prodotti. La filosofia commerciale cinese non è stata solo quella di abbassare un poco la qualità dei loro prodotti rispetto a quelli occidentali, per poterli poi vendere a prezzi stracciati. No, dove possibile, hanno pensato di puntare al monopolio di alcune materie prime e semilavorati indispensabili per la tecnologia industriale contemporanea. Così hanno cominciato a produrre padelle e mutande negli anni ’70, per arrivare oggi ai semiconduttori di fascia alta e al commercio oligopolistico delle preziose “terre rare”. Che stanno persino cominciando a usare come arma politica.
Negli Usa è allarme rosso
Zitti zitti, dunque, i cinesi si sono inseriti con astuzia nelle catene di approvvigionamento occidentali più sensibili. Quelle relative a materiali indispensabili per la produzione di beni durevoli che usano tecnologie d’avanguardia. Scatenare contro di loro una guerra commerciale senza prima averne ben valutato le conseguenze e le eventuali ritorsioni, quindi, può rivelarsi una scelta sbagliata e autolesionistica. “Le catene di approvvigionamento statunitensi sono considerate vulnerabili allo sfruttamento cinese” si preoccupa di avvisare il WSJ, spiegando che “un rapporto al Congresso afferma che Pechino ha la capacità di causare interruzioni nella produzione di farmaci e chip”. Questo tanto per citare alcuni settori “sensibili” che potrebbero essere colpiti pesantemente dagli umori delle autorità cinesi, ma il problema appare più vasto. Nel corso del 2025, la Cina ha impedito l’export di terre rare verso gli Stati Uniti, bloccando produzioni fondamentali: dalle automobili ai motori a reazione. Messo alle strette, Trump ha dovuto rivedere la sua aggressiva politica tariffaria contro Pechino.
La Germania fa marcia indietro
Anche la Germania ha recentemente sofferto per la mancanza di speciali magneti, utilizzati nell’industria avanzata, che arrivano dalla Cina. Ma si sa che se anche il Cancelliere Merz straparla, di fronte agli interessi tedeschi è disposto comunque a cambiare idea. Così, mentre le linee strategiche dell’Unione (firmate da tutti) definiscono la Cina come un “nostro avversario”, un vero e proprio nemico, il Ministro degli Esteri tedesco Johan, Wadepuhl, viene invece spedito nella Città Celeste, col ramoscello d’ulivo in mano e (forse) tanti contratti. Berlino quando ci sono in ballo i suoi denari, la politica estera se la fa da sola e se ne frega di Bruxelles: “In un rapporto di Bloomberg – scrive il South China Morning Post di Hong Kong – si legge che Wadephul ha detto al Ministro del Commercio che la Cina era il ‘partner commerciale più importante’ della Germania e che Berlino voleva restare fedele a questa posizione e ampliarla’. Si prevede che la visita aprirà la strada al primo viaggio del Cancelliere tedesco Friedrich Merz in Cina all’inizio del prossimo anno. Il Ministro degli Esteri tedesco ha dato il tono prima del suo viaggio. In una dichiarazione ha affermato: ‘Le restrizioni commerciali, in particolare per quanto riguarda le terre rare, sono una delle principali preoccupazioni per le nostre aziende, così come le sovraccapacità nei settori dell’elettromobilità e dell’acciaio. Germania e Cina hanno molto da offrirsi a vicenda: i prodotti tedeschi sono richiesti in Cina. D’altra parte, il mercato cinese e la sua forza innovativa sono attraenti per molte aziende tedesche”.
- No, qualcosa non torna più. Questa melensa dichiarazione d’amore “internazionale” è tutto il contrario del documento che i tedeschi hanno firmato a Bruxelles. Ma che credibilità ha la Commissione?

