La follia di quei morti drusi in un campo di calcio e dei profughi palestinesi nell’ennesima strage in una scuola colpita, ma peggio è vedere un mondo impotente di fronte alla minaccia di una azione di guerra senza che nessuno abbia la forza di evitarla. Diplomazia balbettante e voli per Beirut sospesi.
Intanto la cittadina Majd al Shams chiede rispetto. «Siamo in Siria, non in Israele». Il premier Netanyahu contestato mentre visita la città drusa in quella parte di Golan occupato che sta offrendo l’occasione per l’escalation contro Hezbollah libanesi filo iraniani da tanti sollecitata.
Fermare un nuovo, più feroce conflitto
Dubbi ed impotenza. Il quando, il dove e il quanto dell’attacco di Israele sul Libano che nessuno sembra in grado di evitare. Quando? Da un momento all’altro dopo che il gabinetto di guerra israeliano avrà deciso se sarà solo attacco aereo e anche di terra. Quanto? Ma è il quanto e il dove della violenza che si scatenerà a fare più paura e a definire le stragi che verranno e le potenziali ulteriori conseguenze. Furia israeliana sino a Beirut e sui centri più importanti del paese, o un attacco agli obiettivi militari sensibili di Hezbollah portata in casa loro, una sorta di bis della tentata invasione del 2006? L’assurdo di dover sperare nel meno peggio ad evitare una guerra totale che potrebbe vedere coinvolto, oltre al Libano, l’Iran, la Turchia e altre potenze dell’area. Oltre al folto contingente italiano di caschi blu che su quel confine rubato, sono chiamati a vigilare.
Terra siriana e popolo druso
Inopportuno e provocatore, nel suo stile di sempre. «Abbracciamo le famiglie che stanno affrontando questo indescrivibile dolore. Lo stato di Israele non può ignorare quello che è successo e non lo farà. La nostra risposta arriverà e sarà durissima», ha detto Netanyahu ieri a Majd el Sham ai funerali dei 12 ragazzi, dove si è recato con il ministro dell’economia di estrema destra Smotrich. L’Afp ha diffuso i video delle contestazioni da parte della comunità drusa (vedi a fondo pagina), che ha accolto il premier e i ministri del Paese occupante con «Andate via da qui criminali. Non vi vogliamo nel Golan. Non sfruttate il noswtro sangue a scopo politico e mettete fine al massacro contro i palestinesi di Gaza». Quando Netanyahu se n’è andato, alcuni hanno rimosso la corona appena deposta. «Sono venuti qui allo scopo di affermare il controllo israeliano del Golan e non per un sincero cordoglio per i ragazzi morti».
Politica internazionale e immemori
Il Golan occupato dal 1967, sottratto alla Siria, e la cui annessione a Israele è stata dichiarata illegale e nulla dall’Onu, è abitato in maggioranza da popolazione drusa. Quindi gli appelli anche dalla comunità drusa libanese e dal suo leader storico Jumblatt a non strumentalizzare la tragedia. Hezbollah ha da subito negato ogni coinvolgimento. Bersaglio predestinato, il movimento sciita ha ripetuto ieri che in caso di necessità ha già posizionato missili di precisione pronti all’utilizzo. «Hezbollah non vuole una guerra totale, ma se dovesse accadere si batterà senza limiti». Ma Israele e Stati Uniti hanno deciso per la loro colpevolezza. Con il portavoce statunitense Kirby che prima sostiene il diritto di Israele a replicare all’attacco a Majdal Shams, ma poi -senza molta logica- «ciò non si deve trasformare in una guerra totale». Ammazzate ma senza esagerare? E la risposta dei colpiti e altri protagonisti nell’aerea esasperati?
Voli per il Libano cancellati
Appelli e mediazioni da parte del segretario delle Lega Araba Aboulgheith, dei ministri degli esteri marocchino, egiziano, e persino olandese e dalla assente Ue. Intanto all’aeroporto di Beirut moltissime compagnie hanno sospeso i voli, e la stessa compagnia di bandiera Mea ha eliminato 30 su 35 voli tra ieri e oggi. «Il Libano è in un clima di sospensione: la guerra si combatte sul piano militare, politico e psicologico», denuncia da Beirut Pasquale Porciello sul Manifesto. Berlino ha invitato i suoi cittadini a lasciare il paese «finché c’è ancora tempo». Stessa linea per il governo italiano, con il ministro degli esteri Tajani che ha dichiarato: «Invitiamo gli italiani che sono in Libano alla massima prudenza. Chi può rientrare lo faccia. Sconsigliamo nella maniera più ferma di andare in quel Paese fin quando la situazione è così complicata».
L’allarme dell’impotenza
Decisamente a rischio i circa 1.200 i militari impegnati nella missione Unifil lungo la Linea Blu, la zona cuscinetto tra Libano e Israele controllata dai caschi blu, presenti dal 2000. Nel 2006, con l’invasione israeliana del Libano nella guerra dei 33 giorni, la risoluzione 1701 che prevede il totale ritiro delle truppe israeliane da un lato e da quelle di Hezbollah. Altra risoluzione Onu di fatto inadempiuta.
Andrea Tenenti, portavoce del contingente Unifil nella ‘Linea Blu’, di fatto ‘prima linea’ segnala con un barlume di speranza, «i fattori politici interni a entrambi gli stati e una guerra totale sarebbe in questo momento scomoda per il Libano, ma anche per Israele. Si potrebbe arrivare a un livello di devastazione da entrambi i lati catastrofico». Ma l’attuale governo di Israele ha ancora spazi di ragionevolezza politica al suo interno?
https://www.youtube.com/watch?v=4Qyuftk6kI0
(Residents of Majdal Shams gather to demonstrate against the arrival of Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu at the site of a strike in the Israel-annexed Golan Heights. Twelve youths aged between 10 and 16 were killed when a rocket fired from Lebanon struck a football pitch, triggering renewed fears of an escalation in the conflict between Israel and Lebanese Hezbollah armed group accused of firing the projectile).
30/07/2024
da Remocontro