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Libano, rifugio di profughi siriani e palestinesi e bersaglio di Israele

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Ieri, assieme alla notizia della probabile incriminazione dei vertici israeliani per crimini di guerra da parte della Corte penale internazionale, un dettaglio dal Libano. «Beitut accetta la giurisdizione della Corte internazionale (Icc) per crimini commessi sul suo territorio dopo il 7 ottobre 2023. Premessa certa a una richiesta di giustizia per le oltre 70 vittime civili -inclusi bambini, soccorritori e giornalisti- provocate dai bombardamenti israeliani». E non è notizia di poco conto.      

 

Libano, coacervo di crisi sovrapposte tra loro

Il Libano è uno degli esempi più convincenti di come le crisi, in Medio Oriente, s’incrocino e si sovrappongano, come in un gioco di scatole cinesi. Ai problemi che hanno, in diversa misura, tutti i Paesi della regione, qui si aggiunge quello di ritrovarsi in casa quasi un terzo della popolazione composto da rifugiati. Due milioni di profughi siriani, tutti scappati dalla guerra civile. Oltre agli ormai antichi ‘campi profughi palestinesi’ dalla ‘Makba’, la tragedia del 1948. Considerando che i libanesi sono circa cinque milioni, diventa evidente la drammatica sfida che si ritrova ad affrontare la nazione che, ai tempi belli, era definita la ‘Svizzera del Levante’.

Rifugiati, sfollati, profughi: nomi diversi stessa disperazione

Il numero ufficiale di rifugiati, che il governo di Beirut qualifica semplicemente come ‘sfollati’, è di poco più di 800 mila persone. Sono questi quelli registrati dall’UNHCR dell’Onu. E il resto? C’è e si arrangia. Nel senso che sopravvive in condizioni spesso pietose e in campi improvvisati. Nel 2017, vinta la guerra contro l’Isis e raggiunta un accordo di compromesso tra le forze che si combattevano in Siria, è stata firmata un’intesa tra Beirut e Damasco. Dando vita al cosiddetto «Programma di rimpatrio volontario», il Libano ha cominciato a rispedire indietro migliaia di profughi. L’iniziativa ha raccolto l’approvazione dei due governi, ma non quella delle organizzazioni umanitarie.

Rientri ‘volontari a spinta’

In particolare, è stata contestata la ‘volontarietà’ dei trasferimenti, così come non sono sembrate sufficienti le garanzie per il rispetto dei diritti della persona. Ma l’aggravarsi della situazione economica nazionale, ha portato molti libanesi a giudicare insostenibile lo sforzo di accoglienza fatto verso i rifugiati siriani.

Il ‘nemico sottopagato’ in casa

Come tutte le crisi, si finisce per convincersi che, sul lavoro, le colpe sono degli stranieri, che si accontentano di paghe più basse. Ecco cosa scrive Al-Monitor, un think-tank specializzato in analisi sul Medio Oriente: «La Federazione generale dei sindacati libanesi ha annunciato una campagna nazionale per liberare il Libano dall’occupazione demografica siriana. Invitando le autorità a organizzare il loro ritorno in patria. Nel governatorato di Baalbeck, nel Libano orientale, è stato chiesto alle Sicurezza dello Stato di reprimere quei negozi che impiegano siriani privi di documenti, imponendo loro di liberarsene».

Israele e la guerra di Gaza

La «tempesta perfetta» creata dalla guerra di Gaza, dalle tensioni Israele-Iran e da una stagnazione economica, si sta rivelando una sfida ardua per un Paese piccolo e politicamente e socialmente ‘frastagliato’ come il Libano. Stretto tra vicini potenti e dal grilletto facile, il Libano è diventato un amplificatore geopolitico di tutto quello che succede nel Medio Oriente.

Le cose in Libano girano male da un pezzo

Dopo la guerra civile degli Anni ’70, il Paese è stato occupato dalla Siria, che l’ha controllato fino al 2005. Poi, con una sorta di posticcia architettura istituzionale, si è creato uno Stato multiconfessionale, che metteva dentro tutti, indistintamente: sunniti, sciiti, drusi, cristiani. Ognuno con i suoi ‘patrons’. Governi di «tolleranza nazionale», hanno sempre avuto un ‘socio’ da prendere con le molle (Hezbollah) e un ‘convitato di pietra’ (la Siria di Assad). Con Israele ha sempre vigilato, entrando e uscendo a piacimento dal Paese con le armi, ogni qualvolta l’ha ritenuto necessario.

Oggi, i nodi sono venuti al pettine

Non più tardi di tre settimane fa, è stato ucciso un esponente di spicco delle Forze Libanesi cristiane (FL), Pascal Sleiman. Rapito a nord di Beirut, il suo corpo è stato poi trovato in Siria, in una zona controllata dai governativi di Assad e da Hezbollah.

Dopo le esequie, il leader delle FL, Samir Geagea, ha espresso con durezza il suo pensiero avvertendo: «Lo scontro continuerà». Senza citare le parti che saranno coinvolte, in una tragedia che dura da generazioni. Dove cambiano i protagonisti, ma il copione è sempre quello della guerra. Difficile da capire, impossibile da accettare.

30/04/2024

da Remocontro

Piero Orteca

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