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L’immobiliare della guerra: arma, distruggi, ricostruisci

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Trump, di professione immobiliarista, insiste con l’idea di trasformare Gaza in una Riviera del Medio Oriente. Il ministro israeliano Israel Katz –analogo sensibilità etico-morale, se non peggio-, vuole una ‘città umanitaria’ sulle macerie di Rafah. Per fortuna c’è ancora un giornalismo pur minoritario che ancora si occupa di certi temi. Come si guadagna sull’urbanistica.

Avvenire e la urbanista

Elena Granata, professoressa di Urbanistica al Politecnico di Milano su Avvenire, il giornale dei vescovi. «Da urbanista sono abituata a riconoscere nelle immagini satellitari la forma degli edifici, la trama delle strade, la densità dell’urbanizzato. Ma a Gaza è la devastazione a prevalere, un vuoto che non richiama più nulla di ciò che, fino a pochi mesi fa, era un tessuto urbano vivo. Qualcuno parla di ‘urbicidio’ o di ‘ecocidio’, perché anche la natura è stata annientata, ma forse queste parole non dicono abbastanza. La scrittrice palestinese Zena Agha parla di ‘disinvenzione’: la volontà sistematica di cancellare l’esistenza stessa di un luogo dalla memoria collettiva. Come se quel luogo non fosse mai esistito».

Memoria storica e ‘tabula rasa’

Nei ricordi dei nostri vecchi restano ancora vive le immagini di Milano bombardata nel ‘43, così come quelle di Roma o Dresda, introduce Elena Granata. «A Milano morirono sotto le bombe circa mille persone. A Roma, tremila. Oggi, a Gaza, i numeri sono di tutt’altra scala e la distruzione è totale. Una vera e propria tabula rasa. E la tabula rasa è la condizione ideale di un certo immaginario immobiliare, lo stesso che anima il presidente Trump, che aspira ad operare in contesti svuotati di ogni memoria, su cui impiantare un nuovo potere economico e una nuova estetica del lusso. La spirale del ciclo bellico-immobiliare ha purtroppo una sua coerenza – arma, distrugge, ricostruisce, guadagna – e gli interessi di chi distrugge convergono con quelli di chi ricostruisce».

  • La guerra è seguita dalla ricostruzione, presentata come atto di speranza, di pace, di solidarietà internazionale. Ma dietro la retorica della rinascita si celano logiche di profitto che più cinico non si può.

Il mercato delle guerre

Così le guerre moderne, ce lo spiega da anni inascoltato l’economista della pace Raul Caruso, generano un continuum di guadagni, con la produzione e la vendita di armi, la ricostruzione affidata ad agenzie statali o imprese private, il controllo politico ed economico delle aree devastate. In questo quadro si muoverebbero anche le 60 aziende denunciate da Francesca Albanese, relatrice Onu per Gaza (Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio)».

Follia criminale tragicamente reale

Il 4 febbraio scorso Trump ha rilanciato l’idea di trasformare Gaza in una Riviera del Medio Oriente, reinsediando altrove i palestinesi, e molti l’hanno liquidata come una boutade. «Eppure, oggi quel progetto appare meno occasionale di quello che si poteva credere: il clima di Gaza è simile a quello della Florida, e l’inviato di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, è un imprenditore immobiliare di lungo corso. Peace to Prosperity, il piano commissionato da Trump nel 2020, già parlava di Gaza come di un’area dal ‘potenziale straordinario’: un processo di pacificazione con le fattezze di un’operazione immobiliare».

L’architetto e la città prigione del ministro

Da anni l’architetto israeliano Eyal Weizman denuncia l’uso dell’urbanistica come arma di guerra: ‘che separa ciò che sta sopra da ciò che sta sotto, chi può volare da chi è confinato al suolo, chi controlla le risorse naturali da chi ne è privato. Che progetta un futuro fatto di resort di lusso e campi di concentramento, separati da muri’. «Di cosa parla infatti il ministro israeliano Israel Katz quando annuncia la costruzione di una “città umanitaria” sulle macerie di Rafah, destinata a ospitare l’intera popolazione superstite di Gaza? Viene alla mente una città-prigione o forse, come ha osservato recentemente Raniero La Valle, una tonnara, un luogo dove i tonni vengono spinti e ammassati prima della mattanza. E l’aggettivo umanitaria suona davvero sinistro».

‘Paradigma immobiliare’ di Zelensky

In altri luoghi e con altre forme il paradigma immobiliare ispira altre ricostruzioni. In Ucraina, le Conferenze internazionali propongono partenariati pubblico-privati, grandi fondi, riforme di mercato. La ricostruzione diventa vetrina, assume il linguaggio dell’immobiliarista, come se quelle terre non fossero ancora intrise di morte e sofferenza. «Restiamo allibiti dinanzi alla retorica di siti come AdvantageUkraine.com dove è lo stesso Zelensky a vendere la ricostruzione come ‘la più grande opportunità per l’Europa dalla Seconda guerra mondiale’. Restituiamo alla parola ricostruzione il suo senso più profondo, il suo intrinseco e umano pudore: è un processo di pacificazione, di giustizia, di ascolto delle comunità, di restituzione e riparazione».

‘AdvantageUkraine’

Non può bastare ricostruire i monumenti, regalarsi a imprese estere, ingaggiare le università. Restituire vita a una comunità richiede di dare voce a chi ha vissuto e sofferto, sostenere piani che nascano dalle vittime. Per questo servirebbe un ministero della Pace credibile. La pace e la ricostruzione possono essere affidate a chi ha armato la guerra?

15/07/2025

da Remocontro

Remocontro

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