24/10/2025
Maurizio Acerbo Segretario PRC
Documento approvato dal CPN del 23 ottobre 2025
L’ascesa della destra autoritaria e la nostra alternativa
La tendenza globale alla fascistizzazione che emerge nel nostro paese, in Europa come in America Latina e soprattutto negli Stati Uniti, ha raggiunto i caratteri più estremi proprio in Israele e non a caso l’internazionale nera trumpiana ha fiancheggiato Netanyahu e ha scelto come nemico il movimento di solidarietà con la Palestina. L’israelizzazione dell’Occidente è un pericolo reale.
Il quadro globale è sempre più caratterizzato dall’ascesa di una destra autoritaria che presenta elementi di fascismo. In alcuni paesi l’estrema destra sta scalzando il ruolo assunto tradizionalmente dalla destra conservatrice, in altri è lo stesso partito della destra tradizionale ad inglobare temi e obbiettivi delle forze più reazionarie, in altri ancora si assiste ad una progressiva convergenza tra forze conservatrici tradizionali con settori più o meno apertamente neofascisti. Un avvicinamento che risulta evidente anche nella politica della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e si evidenzia persino nella concessione del Nobel per la “pace” attribuito all’estremista di destra venezuelana Corina Machado.
Questa destra riprende, seppure evidentemente in forma aggiornata, molti dei temi che hanno caratterizzato l’ideologia del fascismo degli anni ’20 e ’30 e in molti casi ne costituisce una diretta erede: nazionalismo sciovinista a sfondo razzista, concezione gerarchica della società e rimessa in discussione degli equilibri e delle garanzie degli assetti democratici e delle libertà fondamentali. Inoltre vengono attaccate le acquisizioni e le conquiste dei movimenti sociali che hanno cambiato in meglio la società negli ultimi decenni: femminismo, antirazzismo, LGBTQI+ e così via. Vengono radicalizzati tutti i caratteri antipopolari e antisociali del capitalismo neoliberista: smantellamento delle tutele del lavoro, attacco al ruolo e alla funzione dei sindacati, privatizzazioni e meccanismi fiscali sempre meno progressivi ed equi, delegittimazione della stessa democrazia costituzionale. A questo si aggiunge il negazionismo verso il cambiamento climatico il cui impatto è sempre più evidente e le cui conseguenze possono assumere in tempi relativamente brevi conseguenze catastrofiche.
Se è indubbio che alcuni di questi obbiettivi si innestano su politiche portate avanti anche da governi centristi o di centro-sinistra siamo in presenza ormai di un mutamento sostanziale rispetto alla fase politica precedente che vedeva prevalere una convergenza attorno al paradigma neoliberista delle forze politiche classiche di centrodestra e di centrosinistra. La stessa destra oggi punta a polarizzare le società attorno alla propria visione reazionaria del mondo per consolidare un blocco sociale ed elettorale organico. Per questo le operazioni politiche centriste stanno fallendo così come è stata sconfitto il “renzismo”.
La situazione europea si caratterizza in particolare per una costante estensione dei governi diretti o egemonizzati dalla destra più reazionaria. Nell’arco dei prossimi anni potremmo dover registrare l’arrivo di forze ultrascioviniste o neofasciste al governo di Francia, Spagna e Gran Bretagna. Nella stessa Germania potrebbe cadere il “muro tagliafuoco” che per ora ha reso impossibile alleanze tra i conservatori e l’AfD.
La base strutturale dei mutamenti in corso nei diversi sistemi politici si ritrova nello spostamento a destra di parti significative della classi dominanti capitalistiche in molti paesi. Questo avviene, in parte per opportunismo (come nel caso di alcuni grandi padroni delle Big Tech) ma in molti casi per una reale convinzione politica e ideologica di questi settori del grande capitale. Si pensi a personaggi come Musk, Thiel, Ellison o Bolloré in Francia. Le classi capitalistiche dominanti, che pure già disponevano di un potere economico e politico spropositato, cercano di rispondere, in questo modo, alle contraddizioni interne al capitalismo globalizzato e finanziarizzato. Questa ascesa della destra autoritaria con elementi di fascismo attraversa la divisione tra Stati o tra coalizioni di Stati e quindi è riscontrabile sia nei paesi del blocco occidentale che in quella realtà che viene etichettata come Sud globale (pensiamo all’India di Modi).
Questa onda autoritaria e di capitalismo illiberale e antidemocratico, che si esprime nel rafforzamento delle sue componenti più reazionarie e socialmente regressive, riesce a consolidarsi grazie ad una effettiva capacità egemonica e di costruzione de consenso che utilizza discorsi demagogici che contrappongono tra loro i diversi settori di classi popolari ad alimentano conflitti a base etnica, religiosa e identitari. Incorpora anche pezzi importanti di ceti medi che reagiscono all’acutizzarsi delle contraddizioni del capitalismo rifugiandosi in una visione autoritaria della società che alimenta la ricerca del “nemico” interno da combattere.
In Italia questa onda autoritaria, con una base sociale di massa, si è costruita attraverso vari passaggi politici e sociali, dal populismo berlusconiano, al razzismo leghista, fino al tentativo in corso di smantellamento della cultura popolare antifascista di cui si fa interprete soprattutto Fratelli d’Italia. A fronte di tutto questo il perseguimento da parte dei governi del centro-sinistra e di unità nazionale di politiche neoliberiste e di accettazione dell’austerità hanno portato ad una perdita di credibilità tra i settori popolari di qualsiasi politica alternativa. E’ certamente questa una delle ragioni che alimentano la sfiducia e l’astensionismo elettorale.
Il governo Meloni ha dovuto muoversi in questa prima fase con una certa prudenza, adattandosi supinamente a tutti i poteri esterni (Washington o Bruxelles) e facendo di tutto per certificare la propria affidabilità nei confronti delle classi dominanti. Disponendosi per questo anche a rinunciare ad alcune delle posizione demagogicamente sostenute quando si trovava all’opposizione. Restano però evidenti due direttrici di fondo: la restrizione degli spazi di pluralismo e il tentativo di imporre nel paese una ideologia e un senso comune reazionari. Pensiamo al pesante intervento censorio che si vuole imporre a tutto il mondo dell’istruzione e delle Università lungo una linea razzista, sciovinista e di revisionismo storico, contro il quale si sta attivando una importante opposizione interna al mondo educativo che come Rifondazione Comunista appoggiamo pienamente, il costante attacco alla stessa legittimità dell’esercizio del diritto di sciopero e del conflitto sociale, l’occupazione della Rai e le intimidazioni verso il mondo della cultura e dello spettacolo.
Questa situazione pone al nostro partito il compito di contrastare questa destra che cerca di rafforzare la sua presa nel paese attraverso l’esercizio del governo, l’occupazione dello stato, lo strapotere mediatico, il consolidamento di un blocco sociale, il tentativo di riscrivere la storia e affermare la propria egemonia in netta rottura con lo spirito della Costituzione. Un tentativo che trova ulteriore impulso da un contesto di rafforzamento della destra estrema a livello globale. Per Rifondazione Comunista è necessaria ed urgente sviluppare un fronte di opposizione, sociale e politica, costituzionale, antifascista, pacifista, popolare che sia in grado di imporre un’agenda di reale alternativa all’estrema destra al governo che oggi gode del sostegno di tutti i “poteri forti” e i gruppi capitalistici a livello nazionale e internazionale. Un fronte che consolidi e unifichi i vari momenti di mobilitazione alla cui estensione e rafforzamento abbiamo partecipato in questi mesi.
La mobilitazione sociale e la prospettiva politica
Il movimento che si è sviluppato per fermare il genocidio in corso a Gaza ha avuto in questi due anni dimensioni planetarie e in Italia ha assunto nelle ultime settimane un’ampiezza straordinaria. Le caratteristiche della mobilitazione dell’ultimo mese richiedono una riflessione approfondita e non improvvisata. L’indignazione è stata l’elemento unificante di una partecipazione imponente alle manifestazioni e agli scioperi generalizzati in cui hanno assunto un peso enorme le nuove generazioni. Nel corso degli ultimi due anni è cresciuta una consapevolezza collettiva, grazie a un lavoro molecolare di controinformazione e autoformazione di massa, che ha incrinato la narrazione dei media filo-israeliani.
La Flotilla ha fatto da catalizzatrice di un sentimento diffusissimo che è andato di gran lunga oltre le organizzazioni politiche, sociali e politiche. La parola d’ordine ‘blocchiamo tutto’ lanciata dai portuali ha reso sociali e generalizzati gli scioperi con modalità finalmente simili alle dinamiche francesi. Le potenzialità di questa presa di coscienza collettiva sono tali che richiedono umiltà, ascolto, analisi, spirito unitario non la reiterazione di lotte per l’egemonia che rischiano di dividere e isterilire un movimento che ha caratteristiche inedite. Proprio la forza del movimento ha imposto la convocazione contemporanea di uno sciopero generale da parte di sindacati di base e Cgil ed è un elemento che va valorizzato nell’interesse delle classi lavoratrici. Di fatto la polarizzazione che si è creata nella politica italiana sul genocidio a Gaza ha prodotto una spaccatura nel paese in cui per una volta è diventata chiara la distinzione tra destra e sinistra.
E’ assolutamente sbagliato cercare di calare su questa grande ondata di partecipazione lo schema del “campo largo” quanto tentare di arruolarla con operazioni avanguardistiche. La politicità del movimento sta nelle questioni che ha posto e la sua autonomia è condizione di una persistenza della mobilitazione dopo la fase più alta. Il movimento di solidarietà ha espresso una critica di massa alla narrazione che ha accompagnato più di due decenni di guerre umanitarie e che sorregge le tendenze guerrafondaie e suprematiste prevalenti nel blocco occidentale, negli USA e nella stessa Unione Europea.
Questo movimento non va isolato o contrapposto ad altri momenti di mobilitazione e di attivazione che si sono registrati nel corso di quest’ultimo anno. Abbiamo contribuito ad un movimento significativo contro il cosiddetto “DL Sicurezza” in difesa degli spazi di libertà e di conflitto sociale che il governo Meloni cerca progressivamente di restringere.
Si è riuscito a costruire un primo momento unitario e di massa contro il riarmo nel giugno scorso. La Marcia Perugia-Assisi ha riscontrato una partecipazione straordinaria con una forte presenza del mondo cattolico e una composizione in parte diversa dalle manifestazioni per la Palestina ma con una ispirazione convergente sui temi di fondo. E non possiamo cancellare i 12 milioni di voti favorevoli nel referendum promosso dalla CGIL. Tutti momenti e dinamiche alle quali il nostro partito ha pienamente contribuito con spirito unitario. Il metodo e la pratica della convergenza sono indispensabili per la crescita dei movimenti ed è un dovere per Rifondazione continuare a praticarli e proporli. Il nostro compito in questa fase è aprire una prospettiva politica unitaria che tenga insieme due obbiettivi fondamentali: la costruzione di una coalizione sociale maggioritaria in grado di cacciare la destra dal governo del Paese e contemporaneamente di imporre un programma di rottura con le politiche perseguite negli anni scorsi anche dai partiti di centrosinistra che hanno aperto la strada all’ascesa prima di Salvini e poi di Giorgia Meloni.
Non ci può essere pace in Palestina senza l’autodeterminazione del popolo palestinese: Libertà per Marwan Barghouti
Le macerie di Gaza testimoniano di cosa è capace un Occidente che ha scelto la via della militarizzazione e della guerra per riaffermare il proprio predominio planetario. Il Partito della Rifondazione Comunista ha espresso un giudizio positivo sulla firma dell’accordo per il cessate il fuoco con l’auspicio che esso possa segnare l’interruzione del massacro a Gaza, ma respinge ogni tentativo di presentare questo passo come la vittoria della “pace”. L’accordo per il cessate il fuoco è una vittoria del popolo palestinese, dei movimenti di solidarietà a livello internazionale, compreso quello italiano, e di chi nella società israeliana si è mobilitato per la fine del massacro e la liberazione degli ostaggi, tra cui in prima fila il partito comunista con il fronte Hadash. Abbiamo condiviso la felicità di chi ha potuto riabbracciare i propri cari attraverso lo scambio tra coloro che erano ancora detenuti da Hamas e una parte dei prigionieri illegittimamente imprigionati da Israele nelle proprie carceri. Senza dimenticare che ve ne sono ancora 9.000, vittime di continui abusi e torture.
L’accordo dimostra che la ferocia genocida del governo Netanyahu poteva esser fermata molto prima dagli Stati Uniti senza il cui appoggio Israele non potrebbe proseguire con l’occupazione illegale dei territori, la pulizia etnica, l’apartheid. Ci sono volute centinaia di migliaia di vittime e la sollevazione dell’opinione pubblica mondiale, compresa quella degli Stati Uniti, per indurre la Casa Bianca a intimare a Netanyahu di fermare una carneficina che passerà alla storia per la sua infamia. Ed è una gravissima responsabilità non solo di Trump ma anche della precedente amministrazione Biden quella di avere alimentato con armi e finanziamenti la politica criminale israeliana. Bisogna anche dire chiaramente che non si può considerare quello di Trump un accordo di pace, perché questa sarà possibile solo quando saranno riconosciuti i legittimi diritti del popolo palestinese. Lo stesso cessate il fuoco è ancora precario ed è quotidianamente violato da Israele, con i più diversi pretesti, così come continuano tutte le forme di violenza e persecuzione nei confronti dei palestinesi in Cisgiordania, perpetrate dai coloni con la connivenza dell’esercito di Tel Aviv e il sostegno del governo e della maggioranza del parlamento israeliano che perseguono l’obiettivo dell’annessione e apertamente rifiutano la “soluzione due popoli due stati”.
La lunga storia di violazioni degli accordi da parte di Israele insegna che bisogna innanzitutto vigilare affinché sia effettivamente attuato il completo ritiro dell’esercito israeliano da Gaza. Il governo fascista israeliano, ma anche buona parte dell’opposizione “moderata”, continua a perseguire l’obbiettivo della “Grande Israele”, ovvero la totale occupazione di tutta la Palestina storica. Di fronte alla coraggiosa resistenza del popolo palestinese che rifiuta di essere cacciato dalla propria terra e di subire una nuova “Nakba” questo obbiettivo può essere realizzato solo attraverso il genocidio, la pulizia etnica e l’apartheid. Per queste ragioni deve proseguire la mobilitazione internazionale con la richiesta di sanzioni e l’isolamento di Israele fino a quando non cesserà l’occupazione e sarà istituito lo Stato palestinese, così come richiesto anche nel settembre scorso dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Rifondazione Comunista si rivolge a chi è sceso in piazza nelle ultime settimane invitando a mantenere alta l’attenzione perché se i governi complici del genocidio hanno interesse a distrarre l’opinione pubblica con una fittizia promessa pace, non bisogna ora lasciare di nuovo solo il popolo palestinese, adeguando le iniziative di sostegno alla nuova situazione che si è determinata. In questo quadro Rifondazione Comunista ha rilanciato, assieme a tanti e tante altri, la campagna per la liberazione di Marwan Barghouti, il Nelson Mandela palestinese, come una delle condizioni per la costruzione di un autentico processo di pace. Inoltre occorre continuare a chiedere al Governo Meloni, che è stato complice del genocidio e prima ancora alleato e sostenitore attivo della destra fascista israeliana, di compiere tutti gli atti concreti utili a mettere fine all’occupazione: riconoscere immediatamente lo Stato di Palestina, rompere ogni forma di relazione istituzionale, militare, economica e commerciale con Israele, operare nelle sedi sovranazionali, dall’Unione Europea alle Nazioni Unite, per sostenere tutte le iniziative tese a rendere concreto ,il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese.
La campagna di StopRearm
In questi mesi si è accelerato e consolidato il processo di riarmo e di militarizzazione perseguito dalle classi dominanti europee. Ormai si diffondono quotidianamente proposte di spesa che ammontano a migliaia di miliardi, inventandosi nuovi trucchi contabili per violare le stesse norme di bilancio europee e nazionali considerate insuperabili quando si tratta di tagliare la spesa sociale. La scelta delle classi dominanti europee di puntare sul riarmo e la militarizzazione non è solo legata alla tradizionale subalternità agli Stati Uniti, che pure resta ancora un elemento condizionante, ma anche alla volontà di affermare il ruolo dell’Europa come potenza militare, prima ancora che economica. Attraverso il riarmo si spera di rilanciare l’economia europea, soprattutto quella tedesca che è in forti difficoltà, invertendo la tendenza alla deindustrializzazione.
Si tratta evidentemente di un’illusione dato che il riarmo, andando di pari passi con l’ulteriore restrizione dello Stato sociale, ridurrà il mercato interno e, essendo finanziato a debito, dato che non si vogliono intaccare le grande ricchezze, rafforzerà il peso della grande finanza speculativa. Ma è anche un’illusione gravida di pericoli, in quanto il riarmo non ha mai portato alla pace. Al contrario favorisce e accelera il pericolo di un conflitto che, date le nuove caratteristiche assunte dalla tecnologia militare, avrebbe conseguenze devastanti. L’Unione Europea, anziché cercare una soluzione politica e diplomatica del conflitto in Ucraina, nel contesto di una visione della sicurezza condivisa, così come si era espressa nel Trattato di Helsinki, alimenta l’isteria bellica e la russofobia. Senza cancellare le responsabilità di Putin nella scelta del terreno militare, non si possono nemmeno tacere le evidenti responsabilità occidentali nell’aver voluto puntare sull’espansione della NATO, sulla sovrapposizione tra adesione alla NATO e integrazione all’Unione Europea, nell’intervenire pesantemente per un “cambio di regime” in Ucraina e per favorirne la militarizzazione.
E’ risultato a tutti evidente con la complicità dell’UE nel genocidio a Gaza (per due anni si è persino impedito al Parlamento europeo di discutere il tema) come la retorica sulla legalità internazionale e sui diritti umani sia ormai una foglia di fico per legittimare una politica imperialista che ripropone la logica del suprematismo bianco a cui tutto è concesso in nome di “valori” tanto sbandierati nella retorica quanto negati nella realtà. La convergenza nella campagna StopRearm ha consentito di mettere in campo un primo appuntamento nazionale unitario il 21 giugno scorso e altre iniziative a livello locale. Ora si tratta di riprendere con più forza quel percorso, collegandolo alla denuncia delle politiche di riarmo europee alle quali si è adeguato il governo italiano. La recente mobilitazione per la Marcia Perugia-Assisi ha confermato che esiste una grande sensibilità in settori popolari di diverso orientamento culturale per il rifiuto della guerra e della militarizzazione, a partire dalle scuole e dalle Università. Il movimento StopRearm è il cardine attorno al quale sviluppare un più ampio movimento popolare e plurale contro il riarmo e la guerra, coinvolgendo associazioni, reti di movimento, sindacati, partiti.
Contro la politica economica e sociale del Governo Meloni
Il partito deve sviluppare una campagna di massa sui contenuti della prossima legge di bilancio che secondo il Documento Programmatico di Finanza Pubblica 2025 prevede l’aumento della spesa per la “difesa” da 12 miliardi di euro e che non risponde alle emergenze sociali del paese mentre cresce la povertà e i salari continuano a perdere potere d’acquisto. In dieci anni il numero delle persone in povertà assoluta è aumentato di circa un milione e mezzo, da 4,1 a 5,7, mentre il numero delle famiglie povere è passato da 1,55 a 2,22. Le percentuali del Mezzogiorno sono sempre le più alte e l’incidenza è aumentata ovunque, ma nel Nord la crescita è stata maggiore. In un decennio il numero dei poveri assoluti residenti al Nord è aumentato di quasi un milione di persone. Al di là delle polemiche che servono a distrarre l’opinione pubblica. la manovra economica del governo Meloni, conferma la completa genuflessione ai poteri forti a cui ci hanno abituato i finti sovranisti. Si veda il teatrino messo in campo con le banche alle quali si chiede di decidere se e quanto sarebbero disponibili a concedere una piccola quota dei loro esorbitanti profitti.
Dopo anni di promesse altisonanti di FdI e Lega, l’unica spesa che aumenta in maniera consistente è quella per gli armamenti obbedendo agli ordini di Trump e della NATO e condividendone in pieno l’orizzonte politico guerrafondaio. Continua l’austerità con i tagli alla spesa e l’ulteriore innalzamento dell’età pensionabile in completo ossequio alla Commissione Europea di Ursula von der Leyen. La prossima Legge di Bilancio conferma l’adeguamento alla speranza di vita. Si tratta di n meccanismo che farà scattare un progressivo innalzamento sia dell’età per la pensione di vecchiaia sia dei requisiti contributivi per la pensione anticipata. Altro che l’abolizione della Fornero per anni sbandierata dalla Lega. La sanità rimane sottofinanziata e non si tocca neanche la grande marchetta a beneficio della sanità privata perché altrimenti potrebbero far mancare il sostegno alle forze di governo. Niente tasse sugli extraprofitti perché lo ordina la famiglia Berlusconi, insieme a quei pochi che continuano ad avvantaggiarsi della crisi. Non si introduce una patrimoniale, almeno a partire dai due milioni di imponibile, né si fanno pagare aliquote più alte ai ricchi perché loro sono gli unici italiani che contano per la destra. Non si mettono in discussione gli effetti del drenaggio fiscale che hanno portato ad un aumento delle ritenute fiscali per il lavoro dipendente e per i pensionati di 25 miliardi tra il 2022 e il 2024. Per chi non arriva alla fine del mese non sono previste misure per il recupero del potere d’acquisto perso in questi anni se non l’elemosina di 20 euro ai pensionati al minimo. La destra sta dimostrando la sua natura classista e l’incapacità di affrontare i problemi del paese che soffre diversi decenni di stagnazione e nel quale stanno scomparendo interi settori industriali come l’automobilistico e l’acciaio. Diventa sempre più urgente e necessaria una forte opposizione politica e sociale, ampia e plurale, in grado di imporre una svolta e indicare una via d’uscita. Una grande partecipazione alla manifestazione nazionale del 25 ottobre convocata dalla Cgil a Roma è una prima scadenza fondamentale per dire no alla manovra del riarmo. Lavoriamo perché contro questo governo, come per il genocidio a Gaza, si riesca a bloccare l’intero Paese.
L’esito delle elezioni regionali
Nelle ultime settimane si sono svolte diverse elezioni regionali, mentre restano ancora da realizzare i rinnovi dei Consigli regionali di Campania, Veneto e Puglia. Un’analisi dettagliata di questa tornata elettorale dovrà quindi essere fatta dal CPN alla fine del percorso elettorale, anche se alcune considerazioni possono essere anticipate. Il nostro Partito ha affrontato queste scadenze definendo criteri e obbiettivi. Innanzitutto si è dato seguito alla decisione congressuale di riconsegnare la scelta della collocazione elettorale ai territori interessati senza imporre dall’alto uno schema predefinito astratto, basandosi invece su una valutazione differenziata delle forze in campo, della politica perseguita dalle amministrazioni uscenti e della concreta possibilità di influire sulle opzioni programmatiche. Si è trattato in realtà di una articolazione che ha caratterizzato il nostro partito per buona parte della sua storia quando aveva una forza organizzativa e elettorale decisamente maggiore e che è normale prassi per le sinistre radicali in tutta Europa e non solo.
Si è rimossa la precedente rigidità che, nell’ultimo decennio, aveva escluso a priori la possibilità di realizzare accordi anche solo tattici con le forze di centrosinistra, portando alla estromissione del nostro partito da tutti i Consigli regionali, anche per effetto di leggi elettorali sempre più antidemocratiche. La scelta dell’ultimo congresso non è stata certo quella di cadere nella rigidità contrapposta di cercare accordi ovunque anche in assenza di condizioni politiche e programmatiche adeguate. Nessuna illusione si deve avere sul fatto che l’una o l’altra scelta di alleanza elettorale produca di per sé un significativo incremento di consensi. Questo può essere solo il prodotto di una ripresa di iniziativa politica autonoma e di una ricostruzione di quella “presenza permanentemente organizzata” (per usare la formula gramsciana) che è la premessa e la condizione necessaria di un rilancio del nostro Partito. Prioritaria è La piena riconquista dell’autonomia del nostro Partito che il Congresso ha deciso invertendo quel percorso di continua ricerca di nuovi contenitori che ha dissanguato il nostro Partito che ha finito a volte per metterlo a rimorchio di altri soggetti politici. Ci siamo posti come obbiettivo di tornare ad avere una presenza istituzionale ai diversi livelli come condizione necessaria per potere essere un fattore politico significativo nel nostro Paese, recuperare relazioni politiche e sociali diversificate, tornare ad essere percepiti come politicamente utili dalle classi lavoratrici e popolari, oltre che dai movimenti sociali.
La capacità di eleggere si è finora realizzata solo in Calabria, dove abbiamo anche conquistato al partito una presenza politica e sociale significativa attraverso l’adesione del sindaco di Polistena, il compagno Michele Tripodi e di altre compagne/i che hanno condiviso la sua scelta. Un dato assai positivo è stato ottenuto con la lista Toscana Rossa, in questo caso con una collocazione alternativa al centro-sinistra, dato il netto predominio esistente in quella Regione dei settori centristi del PD, molti di antica e non smentita fede renziana. Non a caso si è trattato di una scelta condivisa da tutto il Partito. Va ringraziata la compagna Antonella Bundu per aver incarnato nella campagna, come nel quotidiano attivismo di lunga data, la proposta di una sinistra autentica radicata nelle lotte e nei movimenti.
Il risultato è certamente positivo, con punte straordinarie, ma deve essere valutato alla luce del contesto specifico: natura fortemente moderata del centrosinistra in cui il PD è la forza di gran lunga dominante e identificazione dello stesso PD con i poteri economici e finanziari. Inoltre le elezioni erano percepite come non competitive e questo ha ridotto il tradizionale richiamo al cosiddetto “voto utile”. Nella precedente tornata, al di fuori del centrosinistra, si erano presentate oltre alla nostra lista, altre due formazioni comuniste, nonché il Movimento Cinque Stelle che avevano ottenuto complessivamente il 12% dei voti. In questa occasione la nostra era l’unica lista disponibile al di fuori del bipolarismo che anche in Toscana continua ad attrarre una parte nettamente prevalente del voto di sinistra. E’ evidente che si tratta di condizioni di contesto che non si presenteranno nelle elezioni politiche del 2027. Tutte le elezioni regionali che si sono svolte a partire dalle elezioni politiche del 2022 confermano che laddove governava la destra e l’elezione si presentava come realmente competitiva, le diverse aggregazioni e liste alternative al bipolarismo, comunque composte, non si sono mai discostate molto dall’1%.
Il fatto che in presenza di amministrazioni regionali di destra, come nelle Marche e in Calabria, l’opposizione non sia riuscita a prevalere, così come la forte crescita dell’astensionismo che si è registrata in molte occasioni, dimostrano che non basta l’unità del cosiddetto “campo largo” per rendere credibile un’alternativa. E’ indispensabile riportare sul terreno politico ed elettorale larghi settori delle classi popolari che sono profondamente sfiduciati e questo non può avvenire senza proposte programmatiche di forte rottura con i comportamenti e i programmi dei governi “tecnici” e del PD. La questione dell’astensionismo richiede da parte del nostro partito un lavoro di analisi, inchiesta e approfondimento. Nel valutare i risultati ottenuti non possiamo che ringraziare le compagne e i compagni per il lavoro svolto in condizioni certamente difficili adattando la proposta del Partito alle concrete situazioni politiche e sociali nelle quali hanno dovuto operare.
L’agenda delle prossime settimane
Il CPN impegna la segreteria, la direzione e tutte le strutture del partito al massimo impegno nelle mobilitazioni contro la manovra del governo Meloni, contro il riarmo, per la Palestina e la liberazione di Marwan Barghouti. A tale fine dà mandato alla segreteria di predisporre i materiali per sviluppare il lavoro di massa. In questa ultima fase dell’anno impegna i comitati regionali, le federazioni e i circoli al massimo impegno ne tesseramento e nella digitalizzazione.
Maurizio Acerbo

