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Per l’Iran una vittoria d’immagine in vista dei colloqui con l’Europa

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Iran/Italia Teheran fa segnare un punto all'Italia, senza irritare i suoi irriducibili. E si prepara al negoziato con gli europei il prossimo 14 maggio. Intanto, però, condanna a morte un'attivista curda

Gli iraniani hanno concesso una vittoria al governo italiano, ora aspettano che Abedini venga rilasciato. Gli italiani hanno raggiunto un accordo con Trump. Basta che gli americani introducano qualche elemento amministrativo nella pratica che l’organo giudiziario italiano consideri non plausibile per l’estradizione. Così né il governo né i giudici italiani perderanno la faccia quando Abedini verrà messo in libertà, poiché l’estradizione sarebbe stata evitata per motivi amministrativi piuttosto che politici. Questo si sussurra tra gli analisti iraniani.

Dopo il viaggio della presidente Meloni a Mar-a-Lago, il caso ha acquisito slancio negli ultimi giorni. Lunedì la Repubblica islamica ha cambiato la sua versione attraverso il portavoce del ministero degli esteri, Esmail Baghaei, che ha dichiarato che l’arresto di Cecilia Sala non era legato ad Abedini, l’ingegnere iraniano arrestato il 16 dicembre a Milano su richiesta degli Stati uniti.

LA CONFERMA ufficiale è arrivata il giorno seguente da Fatemeh Mohajerani, portavoce del governo, che auspicava che il caso venisse «risolto rapidamente». A Teheran alcune voci parlavano dell’uscita di Sala dall’isolamento e del suo probabile rilascio già martedì sera, evento che si è effettivamente verificato ieri mattina.

La quasi totale censura della notizia in Iran ha dato la possibilità all’amministrazione di gestire il caso senza una ripercussione significativa. Anzi, il rilascio apparentemente senza condizioni ha spiazzato i media di opposizione di lingua persiana, trasmessi all’estero, che nelle ultime settimane hanno fortemente enfatizzato i metodi crudeli che la Repubblica islamica impiega per difendersi e che prevedevano lunghi tempi per il rilascio di Sala. Il ministero degli esteri iraniano ha affermato che non c’è stato alcuno scambio. Tuttavia, molti osservatori iraniani sostengono che ciò non sarebbe stato possibile senza un impegno del governo italiano per il rilascio di Abedini o altri tipi di concessioni, non ancora chiare al momento.

«È ingenuo pensare che la giornalista italiana sia stata liberata per galanteria. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che i servizi e i loro strateghi nel nostro Paese hanno una capacità di manipolazione straordinaria, sia all’interno che all’esterno. Dopo tutto, competono con le più grandi agenzie di spionaggio del mondo, la Cia e il Mossad», dice Amir, giornalista iraniano che ha seguito il caso di Cecilia Sala.

Quale sia l’accordo tra iraniani, governo italiano e amministrazione entrante americana non è al momento chiaro, né se riguardi effettivamente il caso di Abedini o altre concessioni. Qualunque apertura sia stata fatta, è stata possibile solo grazie all’impegno diretto del governo italiano: Teheran non nutre alcuna fiducia negli americani in generale e, in particolare, in Trump.

IERI Ali Khamenei, leader della Repubblica islamica, ha chiesto alle autorità iraniane di non «considerare in alcun modo le richieste di America e Israele». La politica conflittuale nei confronti degli Usa è stata più volte criticata nel paese, considerata la causa principale dei conflitti e delle sanzioni contro l’Iran. Khamenei ha accusato i suoi critici di essere «intimiditi dalle politiche americane», pur enfatizzando l’importanza dei negoziati con i paesi europei. Questo avviene a cinque giorni dalla ripresa di un nuovo round di colloqui tra l’Iran e tre paesi europei. Secondo il vice ministro degli esteri iraniano, i colloqui si terranno il 14 gennaio a Ginevra, in Svizzera. Si tratterà esclusivamente di colloqui e consultazioni, non di negoziati formali.

La notizia del rilascio della giornalista italiana è stata accolta con soddisfazione dai giornalisti e dagli attivisti iraniani che hanno seguito il caso. Tuttavia, poche ore dopo il rilascio, una brutta notizia ha offuscato la soddisfazione: la Corte suprema ha confermato la condanna a morte di Pakhshan Azizi, assistente sociale e attivista civile, accusata di «ribellione armata».

Il suo avvocato, Amir Raisian, ha sottolineato che diverse obiezioni, tra cui la mancanza di documentazione sufficiente per sostenere le accuse contro Azizi, sono state ignorate. Secondo Raisian, le attività della sua cliente nel nord della Siria si limitavano al soccorso e al lavoro umanitario nei campi profughi della guerra contro l’Isis e non avevano alcun legame con attività militari.

09/01/2025

da Il Manifesto

Francesca Luci

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