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L’Islamic State non fa differenza tra Russia e Occidente

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I quattro presunti autori dell’attentato a Mosca, già ieri in tribunale. Uno di loro, originario del Tagikistan, «ha ammesso pienamente la sua colpa». Un secondo ha rivendicato l’attacco, denunciandosi. Il Tagikistan è un’ex repubblica sovietica dell’Asia centrale a maggioranza musulmana.
Il nemico russo, ma non soltanto. La fuga americana dall’Afghanistan, e il territorio in cui crescere. Le ‘guerre grandi’ che travagliano iI mondo, l’occasione insperata per un terrorismo sconfitto di trovare spazi di disattenzione dove tornare e colpire. Ovunque nel mondo.

Stragisti con nome e cognome, moventi incerti

Undici le persone arrestate per la strage al Crocus di Mosca, quattro i presunti autori diretti della strage.  Secondo le agenzie di stampa russe, i primi due sospettati dell’attacco, Dalerdzhon Barotovich Mirzoyev e Rachabalizod Saidakrami Murodali, cittadini tagiki che lavoravano a Mosca, avrebbero rivendicato l’attacco dichiarandosi colpevoli. Il terzo e il quarto sospettati, Shamsidin Fariduni, e Muhammadsobir Fayzov, non parlano e non confessano.

A Mosca solo il più recente degli attacchi ex Isis

Quello al teatro a Mosca è il più recente di una serie di attacchi che prescindono dalle divisioni e guerre a cui siamo abituati, e che accrescono le preoccupazioni di analisti e agenzie di sicurezza. Sebbene l’ISIS non sia stato citato dal presidente russo Putin nel discorso al Paese, lo Stato Islamico aveva rivendicato l’attacco con la sua agenzia di stampa non ufficiale ‘al Amaq’, che domenica ha anche pubblicato dei video realizzati dagli uomini armati mentre inseguono gli spettatori nel teatro.

L’attentato e le tensioni tra Russia e Occidente

Una parte delle prime riflessioni sull’attentato si è concentrata su un aspetto che le recenti tensioni tra i paesi occidentali da una parte, e la Russia, la Cina e l’Iran dall’altra, avevano fatto passare in secondo piano: per lo Stato Islamico, che combatte altre guerre, non sembra esserci molta differenza tra una parte e l’altra. Ed alcuni delle molte agenzie di Intelligence statunitensi, avevano già attribuito l’attacco al gruppo ISIS-K (o ISKP, Provincia del Khorasan dello Stato Islamico), affiliato all’ex ISIS e attivo principalmente tra Afghanistan e Pakistan di popolazione ‘pastun’, la più numerosa tra le molte etnie di quella popolazione.

La scia di sangue IS Khorasan

L’ultima volta in cui si era parlato dell’ISIS-K prima dell’attacco a Mosca era stato a gennaio, ci ricorda il Post, quando aveva compiuto la strage in Iran, vicino alla tomba del generale Suleimani (ucciso da un drone Usa in Irak), in cui erano state uccise 84 persone e ne erano state ferire 300. Dopo l’attentato a Kerman in Iran, lo Stato Islamico, attraverso l’agenzia al Furqan, uno degli organi centrali della sua propaganda, aveva i sollecitato alla nuova guerra: «Uccideteli ovunque li troviate». Il comunicato si concentrava sulla guerra tra Gaza e Israele, ma riprendendo alcuni punti fermi delle battaglie del gruppo.

Una campagna militante mondiale contro ebrei, «infedeli e crociati occidentali», e attribuiva all’Iran – sostenitore di Hamas – un progetto di espansionismo sciita giudicato per l’Islam sunnia non meno pericoloso di Israele.

Terrorismo globalizzato

Nel comunicato in cui rivendicava l’attacco a Mosca, l’agenzia al Amaq lo ha descritto il massacro come parte di una più estesa «guerra tra lo Stato Islamico e i paesi che combattono l’Islam». Secondo diversi analisti la strage nel teatro fornisce ulteriore sostegno a preoccupazioni cresciute molto nelle ultime settimane, sulle capacità dello Stato Islamico di ricostituirsi come organizzazione terroristica influente in tutto il mondo, dopo un periodo di relativa debolezza, in un momento in cui attenzioni e risorse sono concentrate sulle guerre a Gaza e in Ucraina.

«Anche se vediamo grandi divisioni tra Pechino, Mosca e Washington, loro ci guardano tutti come un bersaglio», ha detto al Wall Street Journal l’analista statunitense Colin Clarke, direttore della società di consulenza sulla sicurezza Soufan Center.

Verso un nuovo 2017?

In Occidente il 2017 fu l’anno con più attacchi rivendicati dallo Stato Islamico: tra questi l’attentato al concerto della cantante statunitense Ariana Grande a Manchester, nel Regno Unito, in cui furono uccise 22 persone, e l’attacco sulla Rambla a Barcellona, in cui un uomo alla guida di un furgone investì la folla uccidendo 13 persone. Da allora lo Stato Islamico ha rivendicato altri attacchi mortali, perlopiù accoltellamenti e sparatorie, in Belgio, Francia e Austria. Via via, episodi più sporadici. A luglio 2023 un’operazione antiterrorismo in Germania, Belgio e Paesi Bassi aveva catturato una rete dell’ISIS-K, nove militanti originari del Tagikistan, del Turkmenistan e del Kirghizistan, che stavano pianificando un attacco in Germania.

Russia bersaglio già dall’Unione sovietica

Anche la Russia è da anni l’obiettivo di attacchi dello Stato Islamico. Nel 2015 il gruppo rivendicò la responsabilità dell’esplosione di un aereo passeggeri russo partito dall’Egitto e precipitato nel deserto del Sinai. Nell’attentato tutte le 224 persone a bordo morirono. Nel 2022 un attacco all’ambasciata russa a Kabul uccise due diplomatici russi e quattro afgani. Le ragioni della conflittualità islamista contro la Russia risalgono storicamente all’occupazione sovietica dell’Afghanistan negli anni Ottanta e alla repressione delle rivolte in Cecenia nei primi anni di governo di Putin.

Cecenia dopo l’Afghanistan

Tra il 1994 e il 2009 l’esercito russo combatté contro i separatisti ceceni, a maggioranza musulmani, che volevano l’indipendenza della regione del sud della Russia (attualmente governata da una leadership filorussa). Insieme all’Iran, la Russia sostiene da anni e in più forme il regime del presidente Bashar al Assad in Siria, dove si è combattuto a lungo contro lo Stato Islamico anche attraverso i mercenari del gruppo paramilitare russo Wagner. Ha infine rafforzato in Afghanistan i legami con il governo dei talebani, al potere dal 2021 e da tempo rivali dell’ISIS interni all’Islam.

Terroristi cresciuti in casa

Molti combattenti dell’Asia centrale catturati in Siria e Iraq durante l’allora ‘governo dello Stato Islamico’ dissero di essersi radicalizzati nei cantieri edili e nei dormitori dei lavoratori nelle città russe, ha scritto il Wall Street Journal. A rendere i lavoratori attualmente più influenzabili dai predicatori, secondo l’ex ambasciatore del Kirghizistan negli Stati Uniti Kadyr Toktogulov, contribuisce il fatto che in molti casi parlano poco o per niente il russo, e la polizia fa regolarmente irruzione nei loro dormitori e nei loro luoghi di lavoro per convincerli ad arruolarsi nell’esercito russo in Ucraina.

Il sud dell’ex impero sovietico nuovo ‘Stato Islamico’?

L’obiettivo dell’IS-K era e resta, fondare un califfato nell’Asia meridionale e centrale, su cui imporre un’interpretazione estremamente rigida della sharia, la ‘legge islamica’, così come aveva fatto il gruppo principale in Siria e in Iraq. Ormai allontanato da quei paesi, il nucleo forte della nuova Isis si è radicato nel sud musulmano ex sovietico, attualmente una delle più importanti ‘province’ dello Stato Islamico, insieme a una sezione nell’Africa occidentale che controlla ampi territori di diversi paesi, come il Mali, in cui mercenari russi operano da anni a combatterli chiamati dai governi in difficoltà.

26/03/2024

da Remocontro

Remocontro

 

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