07/11/2025
da Il Manifesto
Emiliano Brancaccio
A conti fatti. La legge di bilancio, attualmente in discussione, è un esempio cristallino di «politica dei forti»
L’Italia è dei forti, e i forti non hanno bisogno di giustizia. Se Giorgia Meloni e soci avessero voglia di raccontare la verità, in questa parafrasi letteraria potrebbero racchiudere l’essenza della loro azione di governo.
La legge di bilancio, attualmente in discussione, è un esempio cristallino di «politica dei forti».
Da lungo tempo l’Italia è uno dei paesi più iniqui al mondo. Stando ai dati della Banca Mondiale, siamo all’82esimo posto assoluto in termini di indici di disuguaglianza, superati anche da moltissimi paesi meno sviluppati: dalla Grecia alla Romania, dalla Tunisia al Bangladesh.
La disuguaglianza nazionale si registra in modo significativo all’interno di ciascuna classe sociale. Per esempio, tra i lavoratori dipendenti, la forbice tra dirigenti e operai è tra le più accentuate nel mondo avanzato.
Ma ancor più rilevante è la divaricazione tra le diverse classi sociali. Dal 1990, in Italia la quota salari e stipendi sul reddito nazionale è precipitata di quasi 10 punti percentuali, a vantaggio di profitti e rendite. Gli ultimi anni d’inflazione hanno contribuito ad aggravare il quadro.
In un tale, pauperistico scenario, l’azione di governo potrebbe essere indirizzata a mitigare le divergenze. Il ministro Giorgetti ha provato a sostenere che esattamente questo sarebbe l’obiettivo della manovra in corso: tutelare le fasce più deboli, mitigare i carichi fiscali sui ceti medio-bassi, rimediare alla perdita di potere d’acquisto causata dal carovita. Verrebbe da credergli sulla parola, se non fosse per il fatto che le sue dichiarazioni confortanti risultano smentite dai dati.
Indicativa, in questo senso, è la valutazione che sta emergendo dalle audizioni parlamentari degli esperti chiamati a commentare la legge di bilancio. Il presidente dell’Istat e il rappresentante di Bankitalia hanno concordato che il beneficio medio delle risorse messe a disposizione dalla manovra è modesto, non superiore all’uno percento del reddito disponibile. Ma soprattutto, hanno segnalato che oltre l’85% delle risorse saranno destinate alle famiglie dei due quintili più ricchi della popolazione. In particolare, il 20% di famiglie più ricche riceverà 411 euro all’anno in più, a fronte di appena 102 euro per il venti percento di famiglie più povere. Per la presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio è possibile individuare in modo ancor più chiaro i beneficiari della manovra. Circa il 50% del risparmio di imposta andrà ai contribuenti più ricchi, che rappresentano l’8% del totale. Suddividendo per mansioni, mentre gli operai guadagneranno appena 23 euro, i dirigenti godranno di uno sgravio di 408 euro all’anno.
Ma c’è anche un aspetto ulteriore, che finora non è emerso dalle audizioni. Si tratta dell’effetto che verrà dagli sgravi sui futuri aumenti contrattuali. Le misure del governo, infatti, non prevedono verifiche sull’entità effettiva degli aumenti salariali. Questo significa che gli imprenditori potranno concedere incrementi retributivi modesti, contando sul fatto che questi saranno poi integrati dalle detrazioni. Per esempio, supponiamo che si trovi un accordo su 100 euro netti di aumento salariale, che in base alle ordinarie imposte corrispondono a 140 lordi. Ebbene, con i nuovi provvedimenti del governo, le imprese potrebbero pagare appena 105 euro lordi, visto che al netto diventerebbero comunque 100. Il risultato finale è che le imprese risparmiano sui rinnovi contrattuali, con un pesante aggravio sul bilancio statale.
Vale a dire, in larga misura, sugli stessi lavoratori dipendenti, che sono i massimi contribuenti del sistema. Un fenomeno simile, ancor più sconcertante, si verificherà sugli sgravi previsti per le ore straordinarie e notturne: i lavoratori accetteranno di lavorare di più e attraverso il bilancio pubblico pagheranno essi stessi la maggior parte della retribuzione aggiuntiva.
In definitiva, in assenza di controlli, ogni trasferimento dal bilancio dello stato a favore di imprese e lavoratori rischia di tradursi in un trasferimento dai lavoratori alle imprese. Di questo tipico effetto perverso della politica fiscale si discute ancora poco.
L’Italia di Meloni è dei forti. Ai deboli tocca il paradosso di farsi sfruttare di più e pagarsi da soli lo straordinario.

