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L’Italia ripudia la guerra, ma chi prova a ricordarlo rischia: ritorsioni contro chi si rifiuta di lavorare per il business bellico

L’Italia ripudia la guerra, ma chi prova a ricordarlo rischia: ritorsioni contro chi si rifiuta di lavorare per il business bellico

Dai porti ai terminal, chi rifiuta di caricare armi subisce misure disciplinari e sanzioni. Spesso nel silenzio delle istituzioni

“Noi non lavoriamo per la guerra”. Lo slogan è chiaro, ripetuto, inciso nei presidi e nei comunicati sindacali. Ma per chi lo pronuncia in fabbrica, al porto o in aeroporto, può costare il posto. In Italia, lavoratori civili vengono sempre più spesso coinvolti in operazioni logistiche legate al traffico di armi: e se osano opporsi, scattano sanzioni, sospensioni, minacce di licenziamento. È successo a Montichiari, succede a Genova, a Livorno, a Pisa. Eppure le istituzioni tacciono.

Montichiari, il delegato scomodo

Luigi Borrelli è delegato USB e rappresentante per la sicurezza di una società che opera all’aeroporto di Montichiari. Il suo ruolo gli impone di segnalare ogni rischio per i lavoratori. Quando si accorge che nello scalo atterrano carichi militari – pacchi sospetti, movimentazioni in zone isolate, nessuna informazione né formazione per chi li maneggia – chiede spiegazioni. Nessuna risposta. Allora denuncia pubblicamente. A quel punto parte la rappresaglia.

Il 9 luglio riceve una nuova contestazione disciplinare, dopo multe e sospensioni già accumulate in precedenza. L’accusa? Aver diffuso “notizie che mettono in pericolo la sicurezza dell’aeroporto”. Non per aver detto il falso, ma per aver detto il vero. Borrelli ha rivelato che il 25 giugno era previsto il transito di un carico di missili. Il giorno prima, USB aveva proclamato uno sciopero per impedire il carico. Lo sciopero ha avuto successo. E il prezzo lo paga lui.

La guerra “servizio essenziale”

A colpire non è solo la reazione dell’azienda. Il 25 giugno, alle 8:24, la Commissione di Garanzia sugli scioperi invia una comunicazione urgente: lo sciopero va revocato. Motivo? Il traffico di armi sarebbe assimilabile a un servizio pubblico essenziale. Una lettura mai vista prima. Una decisione che, secondo USB, “militarizza il diritto di sciopero” e subordina la libertà dei lavoratori alle esigenze della filiera bellica.

Nonostante tutto, nessuna risposta ufficiale arriva dal Governo. Né dai ministri competenti – Crosetto, Tajani, Salvini – destinatari di interrogazioni parlamentari. Il silenzio, in questo caso, è assenso.

Genova, dal porto al tribunale

Diversa la scala, identico il meccanismo. A Genova, il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (CALP) ha bloccato più volte il carico di armi su navi dirette in Arabia Saudita e Israele.  Parte l’inchiesta giudiziaria per “associazione per delinquere”, accusando i portuali non solo di proteste, ma di essere un’organizzazione criminale.

Nel 2025, un’azione coordinata tra i portuali francesi e quelli italiani riesce a bloccare il trasferimento di 14 tonnellate di munizioni su una nave israeliana. L’operazione riesce, la nave riparte senza armi. Ma chi organizza queste azioni, rischia in prima persona. Anche sul piano giudiziario.

Pisa e Livorno: quando la protesta funziona

Nel marzo 2022, all’aeroporto di Pisa, i lavoratori scoprono che le casse da caricare, ufficialmente destinate a “aiuti umanitari”, contengono armi. Si rifiutano di toccarle. Il sindacato denuncia pubblicamente. Il Comando interforze non nega, minimizza. Ma la mobilitazione è tale che Toscana Aeroporti promette: “Non succederà più”.

A Livorno, portuali e osservatori indipendenti segnalano da anni transiti regolari verso Camp Darby, la base Usa: anche lì le proteste costano richiami e pressioni informali sui lavoratori.

Lavoratori, sentinelle della legalità

La legge italiana, in teoria, è dalla parte di chi denuncia. La 185/90 vieta l’esportazione di armi verso Paesi in guerra o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Eppure, in nome della “ragion di Stato”, chi prova a farla rispettare viene isolato e colpito.

Il rifiuto di maneggiare armi non è solo una scelta etica, ma una legittima autotutela. Il codice civile permette al lavoratore di sospendere la prestazione se l’azienda è inadempiente o se l’ordine ricevuto è contrario alla legge. Ma questo diritto, nei fatti, non viene riconosciuto. E chi lo esercita, come Borrelli, ne paga le conseguenze.

Le ritorsioni contro chi si oppone alla guerra raccontano una verità più ampia. Nei porti e negli aeroporti italiani si combatte una battaglia silenziosa: da un lato l’opacità delle operazioni militari, dall’altro la coscienza dei lavoratori. Chi denuncia, rischia. Chi tace, sopravvive. Ma a quale prezzo? In un Paese che ripudia la guerra, l’unico atto sovversivo sembra essere ricordarlo.

12/07/2025

da La Notizia

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