02/10/2025
da La Notizia
Dal “weekend lungo” alla minaccia di precettazione: la propaganda riduce il diritto costituzionale dello sciopero a disservizio.
Lo sciopero generale del 3 ottobre, indetto dopo l’attacco israeliano alla Global Sumud Flotilla e la gestione del governo Meloni, è già diventato terreno di battaglia politica. Giorgia Meloni ha liquidato la protesta con una battuta («weekend lungo e rivoluzione non stanno insieme»), mentre Matteo Salvini ha minacciato la precettazione sostenendo che «non esiste diritto al caos». Nelle stesse ore, da Forza Italia a Azione, si è ripetuto il mantra della farsa e dell’inutilità, riducendo la mobilitazione a un fastidio per chi lavora o a un gesto velleitario “contro Netanyahu”.
Un secolo e mezzo di delegittimazioni
Il copione non è nuovo. Da oltre un secolo e mezzo ogni sciopero viene delegittimato evocando i disagi per i cittadini, come se l’esercizio di un diritto costituzionale dovesse essere innocuo e invisibile. Già negli anni Cinquanta lo strumento fu bollato come “arma di minoranze”, negli anni Settanta come “ricatto delle piazze”, e oggi torna la versione aggiornata: un atto che disturba la normalità.
L’articolo 40 della Costituzione definisce lo sciopero un diritto individuale, non un favore concesso dal governo di turno. Ed è la stessa giurisprudenza a ricordare che anche lo sciopero politico, volto a incidere sulle scelte di governo e sulle politiche pubbliche, è legittimo se rispettoso dei limiti di legge. La propaganda di queste ore finge di non sapere che esistono regole precise: nei servizi essenziali la legge 146 del 1990 impone preavvisi, rarefazioni e servizi minimi. Trenitalia ha già pubblicato la lista dei treni garantiti, smentendo la narrazione del caos generalizzato.
Sciopero, il bersaglio è il governo, non Netanyahu
Un altro passaggio chiave riguarda il tentativo di spostare l’obiettivo della protesta. A destra si ripete che scioperare contro Netanyahu non ha senso, ma è un espediente retorico: le proclamazioni ufficiali parlano chiaramente del governo italiano. La Cgil ha definito l’attacco alla Flotilla «un colpo all’ordine costituzionale» e «un attentato all’incolumità dei cittadini italiani», chiamando alla mobilitazione in difesa della democrazia e del diritto internazionale. L’Usb ha parlato di «complicità politica del governo Meloni» e di responsabilità dirette nell’avere abbandonato gli attivisti in mare. In questo quadro, ridurre lo sciopero a un’iniziativa “contro Israele” serve a depotenziarne il messaggio e a costruire un alibi politico.
La posta in gioco democratica
Il diritto di sciopero non è un orpello né un rituale folkloristico: è la più antica forma di conflitto sociale, strumento con cui lavoratori e cittadini possono opporsi a decisioni che li riguardano direttamente. Presentarlo come un capriccio da weekend lungo, come ha fatto la presidente del Consiglio, significa rimuovere le ragioni di chi protesta e ribaltare le responsabilità.
Così come brandire la precettazione come arma politica è una forzatura: la legge la prevede solo in casi eccezionali, quando uno sciopero mette in pericolo diritti fondamentali e sempre dopo il pronunciamento della Commissione di garanzia. È un meccanismo di equilibrio, non uno strumento di intimidazione. Ed è bene ricordare che ogni abuso di questa minaccia indebolisce la stessa architettura democratica: se il diritto di sciopero diventa oggetto di propaganda e non di tutela, la Costituzione rischia di ridursi a una cornice ornamentale.
Domani 3 ottobre i cittadini che scioperano non saranno “contro Netanyahu”, come sostiene la destra, ma contro un governo che ha scelto di voltarsi dall’altra parte. Ed è questa la verità che si cerca di oscurare: trasformare la legittima protesta in un diversivo, fingendo di non sapere che la posta in gioco non è il traffico del venerdì, ma la tenuta di un diritto costituzionale. E quando un governo prova a minimizzare o a ridicolizzare l’uso di quello strumento, non colpisce solo i sindacati ma la società nel suo complesso, perché nega la possibilità stessa di conflitto come motore di cambiamento.