L’Assemblea generale delle Nazioni Unite tornerà a votare oggi, a distanza di più di un mese, la Risoluzione per riconoscere la Palestina «Stato membro effettivo dell’Onu», dall’attuale ruolo di semplice ‘Osservatore’. In attesa di arrivare al Consiglio di Sicurezza e al veto quasi scontato degli Stati Uniti. Salvo improbabili moti di coscenza alla Casa Bianca.
Le vergogne precedenti
In una prima occasione, gli Usa sono furono gli unici a votare contro. E, nonostante si fossero messi in un clamoroso isolamento diplomatico, il Presidente Biden ha scelto di bloccare tutto con il diritto di veto. Cosa accadrà questa volta? Gli scenari politici si sono modificati, nel senso che la posizione della Casa Bianca si è fatta ancora più difficile. Con la protesta studentesca dilagante e i sondaggi sfavorevoli, Biden rischia seriamente di perdere le elezioni di novembre. Nonostante tutto questo: gli Usa bloccheranno, ancora una volta, la legittima aspirazione del popolo palestinese a essere considerato espressione di uno Stato? Sembra proprio che questa sia la strada che continuerà a seguire il Governo federale, almeno a sentire il portavoce della Rappresentanza diplomatica di Washington, Nate Evans.
‘Solo con l’approvazione di Israele’
«Resta l’opinione degli Stati Uniti, secondo cui il percorso verso la statualità del popolo palestinese – ha detto Evans – passa attraverso negoziati diretti. Siamo consapevoli della risoluzione e ribadiamo le nostre preoccupazioni per ogni sforzo che tende a estendere determinati benefici alle entità. Specie quando ci sono questioni irrisolte sul fatto che i palestinesi attualmente soddisfino i criteri previsti dalla Carta dell’Onu». Insomma, Biden non scavalcherà né ora né mai Israele, per dare via libera a uno Stato palestinese. Resta la vecchia dottrina che, senza il totale accordo di Tel Aviv, la situazione potrebbe restare così com’è. Da qui all’eternità. Certo, ognuno la pensa come vuole, ma se a scendere nelle piazze sono i giovani di un Paese, allora la cosa cambia aspetto. Se poi i Paesi diventano tanti e le piazze si moltiplicano, basando i loro nuclei di protesta sui centri del sapere, come le università, allora bisogna riflettere.
La protesta giovanile non più solo americana
Dunque, le rivolte studentesche per il cessate il fuoco a Gaza, mentre ancora stanno mandando in subbuglio il mondo accademico americano, varcano l’Atlantico e sbarcano in Europa. Ieri, scrive il britannico Guardian, 32 studenti sono stati arrestati all’Università di Amsterdam. Un video della Reuters mostra scontri con la polizia che ricordano gli eventi del ’68. Per stigmatizzare gli eccessi dei manifestanti è intervenuto lo stesso Primo Ministro olandese, Mark Rutte, che ha difeso gli ebrei olandesi «estranei a quanto accade a Gaza», mettendo in guardia contro «forme di antisemitismo che dobbiamo contribuire a combattere con forza e chiarezza». Disordini sono anche scoppiati all’università di Utrecht e a quella di Gent, in Belgio, dove le proteste per la crisi mediorientale si sono fuse con le manifestazioni contro il degrado climatico. In rivolta anche le università spagnole, da Valencia alla Complutense di Madrid, dalla Catalogna fino ai Paesi Baschi. Le proteste in Spagna sono state ‘benedette’ perfino dal Ministro della Scienza, dell’innovazione e dell’università, Diana Moran, che ha dichiarato di essere ‘orgogliosa’ della mobilitazione degli studenti.
La politica degli adulti segue e riconosce
«Le università spagnole – ha aggiunto il Ministro – non dovrebbero essere solo un luogo di formazione accademica, ma anche di pensiero critico». In realtà, la presa di posizione spagnola non è nuova e riflette un approccio che il premier socialista, Pedro Sanchez, ha assunto sulla guerra di Gaza e, più in generale, sulla crisi israelo-palestinese. Una scelta che porterà la Spagna a riconoscere lo Stato della Palestina molto presto. Una coraggiosa mossa diplomatica che sarà seguita dall’Irlanda e, molto probabilmente, anche da Malta e dalla Slovenia.
L’Eu meno burocratica e quella ‘americana’
Ecco l’interpretazione che ne fa il Guardian: «Le ultime dichiarazioni di Sanchez, insieme con il suo annuncio che la Spagna intende riconoscere, entro il mese di luglio, uno Stato palestinese, sono significative. Esse sono un ulteriore esempio di come alcuni dei membri dell’UE solitamente più taciturni si siano trovati costretti a parlare apertamente tra le preoccupazioni che il blocco possa non essere all’altezza dei suoi doveri morali, politici e umanitari».
No, non è una bella immagine dell’Europa quella che esce fuori da una crisi che, per incapacità o vigliaccheria, in molti hanno trasformato da guerra senza quartiere a emergenza umanitaria. Fino a farla diventare catastrofe morale.
10/05/2024
da Remocontro