L’invecchiamento della popolazione è una zavorra per i conti pubblici dei Paesi europei. I governi sono a un bivio: senza misure che invertano la tendenza, dai sostegni alla natalità fino a un aumento dell’immigrazione, per rispettare il nuovo Patto di stabilità e far fronte ai costi legati alla demografia dovranno prepararsi a strette fiscali ancora più dure di quanto previsto nei mesi scorsi. È il quadro, politicamente indigesto, che i ricercatori del think tank Bruegel hanno presentato la scorsa settimana ai dieci ministri delle Finanze riuniti a Budapest per un Ecofin poco partecipato.
Il tema migratorio è stato subito respinto al mittente dal padrone di casa, il ministro Mihály Varga. Ma i numeri messi in fila nel paper The effects of demographic change on debt sustainability in European union countries hanno fatto dire a Giancarlo Giorgetti che “il fattore demografico ha implicazioni su moltissimi aspetti comprese produttività e crescita” per cui “è importante che l’emergenza diventi argomento nell’agenda europea” e sia “oggetto di riflessioni e proposte della Commissione“. E non è un caso se negli ultimi giorni si è tornata ad accarezzare l’idea di ridurre le tasse per chi fa più di due figli e si è ipotizzato di tenere al lavoro i dipendenti pubblici fino ai 70 anni in una plateale inversione di rotta rispetto agli anticipi pensionistici promossi finora dal centrodestra. Gli aiuti alle famiglie vanno varati “non per scelta etica ma per necessità economica”, ha chiosato Giorgia Meloni parlando all’assemblea di Confindustria.
Senza migranti, spiega il report, gli abitanti dell’Unione scenderanno nel 2050 a 406 milioni dai 451 milioni del 2022. Il crollo della popolazione in età lavoro sarà ancora più verticale: da 264 a 207 milioni. Al ritmo attuale di arrivi dai Paesi extra Ue, i nuovi arrivati compenseranno meno di metà dell’ammanco. Per l’economia significa da un lato meno pil, dall’altro un aumento della spesa per pensioni, sanità e servizi di assistenza a lungo termine. Fattori che hanno un impatto immediato sulla sostenibilità dei debiti pubblici. E potrebbero comportare “un punto di pil o anche di più” di aggiustamento fiscale aggiuntivo, avvertono gli autori Zsolt Darvas, Lennard Welslau e Jeromin Zettelmeyer, oltre all’austerità già prevista per raggiungere i saldi primari strutturali richiesti nei prossimi anni. Cioè di quanto le entrate dovranno superare le spese pubbliche, al netto degli interessi sul debito e di componenti cicliche e misure transitorie, per garantire che il debito/pil segua un percorso di discesa “plausibile” e che il deficit scenda sotto il 3% del prodotto.
Per il Paese mediano, l’aumento dei costi connessi all’invecchiamento – stimato sulla base delle proiezioni dell’Ageing working group dell’Ue – richiederebbe di tagliare il budget destinato alle altre uscite del 2% tra 2024 e 2052. E nel caso dell’Italia? Nel Piano strutturale di bilancio esaminato martedì in forma di bozza dal cdm, Roma chiede alla Commissione Ue di poter spalmare il proprio aggiustamento su sette anni. Su quell’orizzonte le nuove regole impongono alla Penisola, stando a precedenti calcoli del Bruegel, di raggiungere alla fine del 2031 un saldo primario del 3,3%. La correzione annua media necessaria per arrivarci è dello 0,61% del pil: poco meno di 13 miliardi, in base al pil nominale del 2024. Ma, stando al nuovo studio del think tank, tenendo conto dell’aumento dei costi dell’invecchiamento l’obiettivo sale al 3,8%. Con il risultato che l’austerità richiesta diventa più severa, arrivando allo 0,7% del pil annuo. Quasi 15 miliardi.
Occorrerà quindi compensare tagliando le spese diverse da quelle correlate all’invecchiamento: “Spesa sociale non legata ai cambiamenti demografici, difesa, investimenti in infrastrutture, pubblica amministrazione”, esemplifica il rapporto. Uno sforzo che, per alcuni Paesi in particolare, dovrà continuare ben oltre l’orizzonte del Piano 2024-2031. L’Italia è tra questi: “Francia e Italia dovranno fare i conti con requisiti di saldo primario strutturale più alti di circa l’1% (per l’Italia pari a 21 miliardi, ndr) nel secondo (2031-2038) e terzo (2039-2045) periodo di aggiustamento e poco di meno nel quarto (2046-2052), quando diventerà vincolante la clausola di salvaguardia sul deficit” voluta dalla Germania che impone di ridurre il disavanzo a meno dell’1,5% del pil. Il conto finale è dunque di circa 3 miliardi l’anno.
Il Bruegel passa poi in rassegna alcune ricette per cercare di invertire la rotta: accogliere più immigrati, aumentare il tasso di occupazione dei lavoratori più vecchi, migliorare i servizi pubblici di assistenza all’infanzia e i congedi parentali. Il problema è che su immigrazione e tassi di fertilità la Commissione non si è mai spinta a promuovere specifiche policy perché sono considerati temi “delicati”. Mentre le periodiche raccomandazioni-Paese su temi come le pensioni e l’aumento della produttività sono state fin qui attuate in maniera molto limitata. L’Italia non fa eccezione, con i suoi costosi piani di uscita anticipata dal lavoro come quota 100 e quota 103. Quest’anno, complice la difficoltà, l’antifona è cambiata e pure la Lega di Giorgetti è a favore di interventi che puntino, al contrario, a trattenere i dipendenti in ufficio anche oltre l’età pensionabile.
19/09/2024
da Il Fatto Quotidiano