Tre mesi dopo, Israele non trova la via d’uscita dal labirinto della Striscia, l’analisi diffusa, mentre la democrazia che resiste sotto i colpi del governo Netanyahu, scopre vergogne indicibili. Ad esempio, che l’attacco di Hamas era stato previsto un anno prima dall’intelligence militare israeliana
«La dinamica dell’attacco sferrato sul territorio israeliano da Hamas il 7 ottobre scorso era descritta, con molti particolari e dettagli, in un documento ‘Top secret’ dell’intelligence militare israeliano redatto nell’autunno del 2022 dalla ‘Divisione Gaza’, il comando che gestisce il controllo dei confini con la Striscia».
Vittime sacrificali della guerra etnica in Cisgiordania
La dinamica dell’attacco di Hamas il 7 ottobre scorso era descritta, con particolari e dettagli, in un ‘Top secret’ dell’intelligence militare israeliano dell’autunno del 2022 dalla ‘Divisione Gaza’, il comando che gestisce il controllo dei confini con la Striscia. Giornalismo serio che lì ancora resiste, e copia del rapporto con tanto di grafici e mappe, e la disposizione delle varie unità di Ezzedin al-Qassam, l’ala militare di Hamas e l’addestramento di 2.400 uomini scelti dopo una severa selezione.
Operazione Nukhba
Il rapporto dell’intelligence militare prevedeva che l’attacco avrebbe visto la distruzione dei reticolati e degli ostacoli di confine e l’ingresso rapido dei miliziani nel territorio di Israele con l’impiego di pick-up e motociclette per raggiungere rapidamente i kibbutz vicini al confine. Il documento sottolineava che l’obiettivo di Hamas era la «penetrazione massiccia in territorio israeliano con un assalto simultaneo, per espugnare basi militari e kibbutz facendo strage di soldati e civili e catturando ostaggi».
Hamas agli ordini di chi?
Polemiche nel governo d’emergenza israeliano. Il 5 gennaio il leader dell’opposizione ed ex ministro della Difesa Benny Gantz, sostenuto dal capo di Stato maggiore della Difesa, generale Herzl Halevi, aveva chiesto una commissione d’inchiesta per far luce «a tutti i livelli, compreso il governo», sui fallimenti che hanno portato al 7 ottobre. Reazione furente dei ministri del Likud e dei partiti confessionali dell’estrema destra che temono venga aperta un’inchiesta parlamentare che li coinvolga.
Oltre il macello Gaza e il Far West Cisgiordania
Tre mesi di guerra, e altrettante fasi. Dopo quello dei bombardamenti a tappeto subito dopo il massacro, e l’attualità dei raid mirati -dentro e fuori dalla Striscia- e la riorganizzazione delle truppe sul terreno. Il ritiro di cinque brigate dal nord dell’enclave, e questo, invece di tranquillizzare, aumenta la paura. Con Netanyahu che per salvare se stesso dalla galera farebbe guerra al diavolo, e guarda a nord verso il confine con il Libano dove, non a caso, vengono ricollocate le truppe in uscita da Gaza.
Omicidi mirati a far saltare tutto
L’omicidio a Beirut del numero 2 di Hamas, Saleh al-Arouri, mentre, giorni dopo, l’esercito di Gerusalemme aveva attaccato un centro di comando Hazbollah in Libano ottenendo in cambio il lancio quaranta razzi. Nessuno s’è fatto male, ma è l’occasione per una ritorsione. Il rappresentante Ue, Borrell, in viaggio in Libano, chiede moderazione, ma non è certo l’Europa a traino Usa ad aver voce in capitolo. Come sta capendo Blinken nella sua ‘via crucis’ mediorientale di cui ci racconta tra poco Piero Orteca.
A Gaza intanto, macelleria continua
Meno truppe inviate a nord, ma più bombe aeree sull’area meridionale dove sarebbero fuggiti i vertici di Hamas. Ma dove sono certamente sfollati i 2,3 milioni di abitanti, ammassati in uno spazio limitatissimo. Scontata la strage per l’uso noto e più volte denunciato di bombe ad alto potenziale che fanno il vuoto attorno. Bilancio vittime all’assurda quota di 22.700. Forse non sarà ancora ‘genocidio’, denuncia del Sudafrica, su cui dovrà decidere presto la Corte dell’Aja, ma vi assomiglia molto.
Il crimine di ‘domicidio’
Secondo l’esperta di Shelter Cluster, Balakrishnan Rajagopal, si configurerebbe un nuovo tipo di crimine: il ‘domicidio’, ovvero la sistematica e deliberata devastazione di case e infrastrutture di base in modo da renderle inabitabili, denuncia Avvenire. Se Gaza paga il prezzo più alto, l’impatto della ‘guerra lunga’ è forte anche su Israele, sottolinea Lucia Capuzzi. «Almeno 175 soldati di Tsahal sono morti nell’enclave, dove 132 ostaggi continuano ad essere prigionieri».
Israele non sa come uscirne
«Il punto è che Israele non sa come uscire dal conflitto. Perciò va avanti», sottolinea Yonatan Mendel, dell’Università Ben-Gurion e tra i più accreditati studiosi di Gaza. «Il gruppo islamista è un’idea, non solo un movimento. E, paradossalmente, la guerra l’ha fatta espandere». Accade in Cisgiordania. Secondo il ‘Palestinian centre for policy’, nei Territori, il sostegno alla formazione ha raggiunto il 70%, «più come alternativa all’inerzia dell’ANP di Abu Mazen, che per adesione ideologica».
Palestina e Israele, problema di leadership politica
«Palestina e Israele condividono un analogo problema di leadership. I palestinesi della Cisgiordania non si sentono rappresentati da Abu Mazen. Come nello Stato ebraico, Netanyahu col suo governo religioso integralista e razzista, già screditato prima del 7 ottobre». L’offensiva contro Hamas gli ha consentito di ‘congelare’ la questione palestinese e per questo ha la necessità di prorogarla quanto più possibile. Per salvare sé stesso e rendere davvero irrisolvibile il conflitto israelo-palestinese.
08/01/2024
da Remocontro