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L’Ue taglia le stime sulla crescita italiana: Roma tornerà fanalino di coda. Fallita la scommessa del Pnrr

L’Ue taglia le stime sulla crescita italiana: Roma tornerà fanalino di coda. Fallita la scommessa del Pnrr

17/11/2025

da Il Fatto Quotidiano

Chiara Brusini

La Commissione europea taglia ancora le stime sulla crescita italiana e certifica che, una volta esaurita la spinta del Recovery plan, Roma tornerà fanalino di coda in Europa. A dimostrazione del fatto che la scommessa su cui si fondava il Pnrr – portare l’Italia fuori dal circolo vizioso dello “zero virgola” e mettere in sicurezza la sostenibilità del debito – è stata persa. Nelle previsioni economiche d’autunno Bruxelles rivede al ribasso il Pil di quest’anno (+0,4%, contro lo 0,7% indicato in primavera) e del 2026, che dovrebbe chiudersi a +0,8% dallo 0,9% precedente. Quella stima è lievemente migliore di quella inserita dal governo nel Documento programmatico di finanza pubblica, ma peggio farà solo l’Irlanda (+0,2%). E il valore atteso per il 2027, primo anno post-Recovery, accende un allarme rosso: quell’ulteriore +0,8% è il dato più basso dell’intera Ue che nel complesso viaggerà tra +1,4% (Eurozona) e +1,5% (Ue a 27).

L’Italia rientra nel circolo vizioso

Il commissario agli Affari economici Valdis Dombrovskis ha spiegato che la dinamica “modesta” dell’Italia è oggi sostenuta soprattutto dai consumi delle famiglie e dagli investimenti pubblici di cui il Recovery resta il “principale motore“. Con i vincoli del nuovo Patto di stabilità che irreggimentano la politica di bilancio del governo Meloni – che quel Patto l’ha sottoscritto – la scadenza del Piano rimetterà a nudo l’atavico problema della bassa produttività – e di conseguenza bassa crescita – che gli investimenti e le riforme del Pnrr avrebbero dovuto risolvere.

Tentativo fallito, evidentemente, causa dispersione delle risorseritardi nello spendere davvero i soldi, burocrazia e rendicontazioni che hanno finito per contare più dei risultati. Così, nonostante l’attesa di “una ripresa dei finanziamenti e degli investimenti per la coesione” anticipata dallo stesso Dombrovskis e nonostante le facility che dovrebbero consentire di spendere fino al 2029 le risorse residue del Pnrr, riecco il circolo vizioso. Alimentato anche da consumi delle famiglie molto deboli, come ha spiegato il commissario, e “un ulteriore aumento del risparmio precauzionale”. Senza i miliardi di prestiti e sovvenzioni a fondo perduto in arrivo dalla Ue, quest’anno l’Italia sarebbe finita in recessione. A valle del Pnrr tornerà in un equilibrio di bassi stipendi e bassa produttività. A dirlo è il governo stesso: nel Documento programmatico di finanza pubblica i tecnici del Mef stimano la crescita potenziale media nel periodo 2026-2041 (quella che l’Italia può ottenere strutturalmente, al netto del ciclo economico) allo 0,6%, meno dello 0,8% previsto solo un anno fa nel Piano strutturale di bilancio di medio termine previsto dalle nuove regole europee.

“Il governo Meloni ci riporta fanalino di coda in Europa”, attacca l’eurodeputato M5S Pasquale Tridico, parlando di “bocciatura senza appello delle ricette economiche dell’esecutivo” compresa l’ultima “legge di bilancio da ragioneria“. “Non serve a nulla uscire dalla procedura d’infrazione“, la chiosa, “se si lascia il Paese in rovina”. La Commissione vede infatti il deficit italiano al 3% nel 2025, al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027, esattamente come indicato dal governo nel Dpb. E in aprile, dati definitivi alla mano, Bruxelles deciderà sull’eventuale chiusura della procedura per deficit. Propedeutica all’attivazione della clausola di salvaguardia che consente di aumentare gli investimenti in difesa senza impatto sul disavanzo rilevante agli occhi della Commissione.

Il confronto europeo

Tornando alla crescita, il confronto europeo è impietoso. Quest’anno Roma fa meglio solo di Finlandia (+0,1%) e Germania (+0,2%). Nel 2026 sarà penultima, davanti alla sola Irlanda. Nel 2027 chiuderà la classifica, dietro la Francia (1,1%) e la Germania (1,2% come Austria e Finlandia). Berlino, dopo un quinquennio di crescita debole, tornerà a muoversi più rapidamente dell’Italia. A sostenere la ripresa tedesca saranno l’espansione della spesa pubblica, la tenuta dei consumi e gli investimenti in edilizia e infrastrutture trainati da una politica di bilancio vistosamente espansiva: deficit al 4% nel 2026 e debito in crescita verso il 67% del Pil. Mentre le esportazioni continueranno a soffrire per dazi, incertezze globali e domanda estera debole.

Sul fronte opposto della graduatoria si conferma la Spagna, che continua a essere la grande economia dell’Eurozona con il passo più rapido. Bruxelles ha rivisto al rialzo le stime: +2,9% nel 2025 e +2,3% nel 2026, con una crescita sostenuta dalla domanda interna, dalla solidità del mercato del lavoro e dal contributo degli investimenti. Il previsto aumento dell’occupazione, sottolinea Bruxelles, è attribuibile principalmente al continuo afflusso di migranti, che sta ampliando notevolmente la forza lavoro e accelerando il ritmo di creazione di posti. Il tasso di disoccupazione continuerà quindi a scendere: 10,4% nel 2025, poi sotto il 10% nel 2026 e nel 2027. Livelli che la Spagna non vedeva da oltre un decennio, anche se restano tra i più alti della Ue.

I rischi legati a dazi e “bolla dell’AI”

Il quadro tracciato dalla Commissione resta come sempre esposto a rischi significativi. Al netto della geopolitica, i principali sono legati a dinamiche che hanno origine oltreoceano. “A livello globale, le barriere commerciali hanno raggiunto massimi storici”, ha ricordato Dombrovskis. A pesare sono ovviamente i dazi di Donald Trump, pur sub iudice da parte della Corte suprema, e “le risposte da altri attori chiave come la Cina”. Gli esportatori europei continuano a scontare condizioni penalizzanti: “L’aliquota tariffaria media affrontata dagli esportatori Ue verso gli Usa si attesta intorno al 10%”, cioè “significativamente sopra i dazi medi prima che l’amministrazione Trump entrasse in carica”. Un contesto che pesa su un’economia “altamente aperta”, “suscettibile alle continue restrizioni commerciali e all’incertezza”. Sul fronte finanziario, un altro fattore di instabilità arriva da Wall Street. “La correzione del prezzo dei rischi nei mercati azionari, specialmente nel settore tecnologico statunitense, potrebbe impattare sulla fiducia degli investitori e le condizioni di finanziamento”.

 

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