Occhi puntati sulle banche centrali di Usa e Ue che stanno preparando il tanto atteso e annunciato taglio dei tassi d’interesse. Il governatore della Fed, Powell, ha lasciato intendere che potrebbe avvenire alla prossima riunione e gli esperti prevodono che sarà dello 0,25%. A ruota la Bce sotto la presidenza di Christine Lagarde, lascia trasparire un piano di cinque mini-riduzioni da qui a fine anno.
Tassi d’interesse, tra crescita e inflazione
I taglio dei tassi d’interesse fa parte delle tecniche di politica monetaria, in questo caso espansionistiche. Ovvero, i tassi si abbassano per stimolare la crescita economica e permettere a imprese e famiglie di effettuare investimenti mediante l’accesso al credito a costi inferiori. Obbiettivo: evitare rischi di recessione. Ma attenzione perché la condizione principale per effettuare il taglio dei tassi è un’inflazione bassa e sotto controllo.
Pochi soldi in cassa, ma se cresce l’economia…
Sia in America che in Europa la politica sta cavalcando il possibile e imminente annuncio delle Banche Centrali, come una spinta e un’iniezione di fiducia alle proprie politiche di bilancio. Tradotto: ci sono pochi soldi in cassa, ma ora spingiamo l’accellaratore sull’economia e il denaro arriverà dall’aumento del Pil.
Salvo inflazione e troppe furberie
Gli indizi che non possa andare come ci dicono sono più di uno. L’inflazione, innazitutto, che resta in agguato sia in Usa e soprattutto in Europa. In America c’è persino un problema con la speculazione sul settore alimentare, tanto che la candidata Kamala Harris ha prospettato di applicare sanzioni alle aziende che gonfiano artificialmente i prezzi. In Europa, i dati Eurostat sull’inflazione sono ben poco incoraggianti: calano i prezzi energetici, ma aumentano quelli dei servizi e alimentari. Il rischio è quindi che una diminuzione dei tassi, senza un controllo sull’andamento dei prezzi, possa far ripartire l’inflazione.
Troppo debito pubblico e spesso mal speso
Secondo indizio: la combinazione di debito pubblico con deficit non sostenibili. Il debito Usa e quello europeo di Italia e Francia, in primis, è a livelli stratosferici. Il decifit delle manovre economiche dei governi è quasi sempre insostenibile. Ricordiamo che il deficit è la differenza negativa tra entrate e uscite dello Stato.
Trucco, monetizzare il debito
Il rischio in questo caso si chiama “monetizzazione del debito”. Ovvero, le banche centrali sono costrette a creare nuova moneta. E quando le necessità di finanziare il debito pubblico o il deficit di bilancio diventano così pressanti, le politiche della Banca centrale e quindi anche il taglio dei tassi diventano inefficaci. In America si stampano dollari e in Europa si fa “whatever it takes” (cit. Mario Draghi), cioè la Bce acquista titoli di Stato dei paesi in difficoltà. I tassi bassi servono in questo caso a finanziare il debito e non a rilanciare l’economia.
Sempre gli Usa a ‘comandare’
Come al solito bisognerà rivolgere lo sguardo agli Stati Uniti perché il tasso dei fondi federali è un parametro cruciale non solo per l’economia Usa , ma per il mondo intero poiché questo tasso determina il costo al quale le banche si prestano il denaro a vicenda per brevi periodi. Il tasso americano influenza tutti gli altri tassi d’interesse, essendo il dollaro la valuta di riserva principale delle economie mondiali. Parte da qui e non solo dall’Europa, l’effetto sui tassi del mutuo delle nostre case o delle nostre carte di credito.
Storia dei tassi d’interesse: interesse di chi?
Infine, può essere utile uno sguardo alla storia. Dal dopoguerra agli anni ’80, eventi come la guerra di Corea, il Vietnam e la grande crisi petrolifera provocarono un lungo periodo d’incertezza con inflazione a doppia cifra e tassi in continuo rialzo per abbassarla. Nei vent’anni successivi, dall’ 80 al 2020 l’economia americana ha vissuto una lunga fase opposta: tassi bassi e inflazione sotto controllo. Ciò è stato reso possibile dalla globalizzazione che ha contribuito a mantenere ridotti i i costi di produzione e alla tecnologia che ha migliorato la produttività. Oggi, il contesto assomiglia maggiormente alla prima fase, anche se partendo da livelli di inflazione più bassi. Dopo anni di pasti (quasi) gratis pare che la globalizzazione stia presentando il conto.
Geopolitica all’altezza?
La geopolitica è tornata centrale per la sorte economica di Usa ed Europa. La domanda sorge spontanea: la politica sta sovrastimando il peso della politica monetaria? Sì, a fini elettorali in Usa e sì, per spirito di sopravvivenza politica, in Europa. La politica monetaria espansionistica non è garanzia sufficiente per lo stimolo dell’economia. Il taglio dei tassi può alleviare i sintomi, ma non cura la malattia.
05/09/2024
da Remocontro