10/09/2025
da Remocontro
È Sébastien Lecornu, già ministro della Difesa, il nuovo premier incaricato da Macron. ‘Non sappiamo quanto durerà ma sappiamo che avrà la missione impossibile di governare la Francia’, avverte il Corriere. ‘Maggioranze introvabili, vasta contestazione popolare, debito pubblico fuori controllo, crescita dell’estremismo di destra e di sinistra, le condizioni difficilmente sormontabili’, elenca Massimo Nava.
Immobilismo e instabilità
La Francia è miscela tossica di immobilismo e instabilità, cui i mercati finanziari guardano con crescente preoccupazione. E non da oggi. Troppo grande per fallire? La Francia non è la Grecia, ma la sirena dell’allarme ha lo stesso suono. La crisi politica appare come l’anticamera di una crisi istituzionale. Il populismo, la miccia accesa sotto le democrazie, avanza qui come ovunque nel mondo.
Niente dimissioni o elezioni
Tuttavia, il presidente Emmanuel Macron sembra escludere soluzioni drastiche, ossia le proprie dimissioni e lo scioglimento dell‘Assemblea. È il settimo premier, il quarto in meno di tre anni e mezzo (De Gaulle ne nominò tre, Mitterrand sette, ma in quattordici anni, Chirac quattro, Hollande tre), un record negativo in cui si possono leggere sia il bilancio politico dell’Eliseo sia il logoramento del semipresidenzialismo francese che non garantisce più l’alternanza fra destra popolare e sinistra riformista e tantomeno la governabilità.
Crisi del semipresidenzialismo
A differenza della mozione di censura, che richiede la maggioranza assoluta all’Assemblea, il voto di fiducia richiedeva la semplice maggioranza. Il primo ministro Bayrou ha scelto di andare alla conta, pur con la consapevolezza di avere scarse possibilità di uscirne indenne. Per molti, un suicidio politico, per altri un estremo tentativo di portare la Francia sulla strada del risanamento finanziario, con la speranza che i francesi ascoltassero il suo grido di dolore. I suoi predecessori non avevano chiesto un voto di fiducia dopo la loro dichiarazione di politica generale. Nessun governo era caduto dopo un voto di fiducia durante la V Repubblica. Bayrou è stato il primo.
Futuro incertissimo
La destra gollista, dopo qualche apertura, ha escluso di potere appoggiare un governo a guida socialista. Ma la destra gollista, a sua volta, non avrebbe candidati disposti ad immolarsi. D’altra parte, soltanto le estreme puntano a capitalizzare elezioni anticipate. Gollisti, «macronisti» e socialisti fanno anche i conti con quel che resterebbe dei loro seggi. Quindi potrebbe prevalere lo stallo, almeno fino alle elezioni amministrative di primavera. In mezzo, tanto per appesantire il clima, ci sarà il processo d’appello contro Marine Le Pen per la vicenda degli impieghi fittizi che l’ha condannata all’ineleggibilità per cinque anni. Anche da questa sentenza potrebbero scaturire un rimescolamento delle carte e ulteriori tensioni di piazza.
Problemi reali ed errori politici
A quanto pare, gli amplissimi poteri di cui il presidente dispone non garantiscono governabilità e scatenano rabbia sociale e vecchi riflessi rivoluzionari, per cui anche per Macron si vorrebbe una simbolica ghigliottina. Va detto che pur con non poche attenuanti (l’eredità dei predecessori, la pandemia, il conflitto in Ucraina e la fattura energetica) il presidente ci ha messo del suo per fare evaporare quel consenso che lo aveva visto arrivare trionfalmente all’Eliseo nel 2017, ammirato anche per la sua giovane età. In questi anni, la Francia è diventata più vulnerabile sul piano finanziario, il debito pubblico è cresciuto di mille miliardi, le questioni dell’immigrazione e dell’ordine pubblico hanno fatto diventare l’estrema destra il primo partito all’Assemblea, la rabbia sociale ha fatto crescere l’estrema sinistra.
‘Macronia’ senza sostanza
Di fatto, la «macronia», il partito del presidente che ha pescato a destra e a sinistra e in tanti ambiti della società civile, si è fortemente ridotta. Inoltre la Francia ha perso influenza in Africa e Medio Oriente e pesa sempre meno sulla scena mondiale, nonostante l’attivismo frenetico e un po’ velleitario del presidente. In realtà, la Francia non è sola a dovere affrontare la questione del debito, la differenza con altri Paesi sta nella cacofonia di ricette più ideologiche che economiche e nell’antagonismo sociale che impedisce soluzioni praticabili e soprattutto concertate. Si riproduce a ondate la conflittualità fra la piazza e il centro del potere.
Riformismo vò cercando
Il tramonto di Macron conferma che in Francia il riformismo è concetto molto dibattuto, ma poco seducente per gran parte delle forze politiche. Anche per questo, estrema destra ed estrema sinistra sono maggioritarie. L’altro aspetto che paralizza il processo decisionale rimanda alla qualità e alla funzione dello Stato francese che è quasi una forma di socialismo applicato in democrazia, nel senso che garantisce ampie protezioni dalla culla alla tomba a costi molto alti per le casse pubbliche.
La riduzione delle spese è stato il mantra che ha azzoppato anche il premier Bayrou, il quale, come i predecessori, ha tentato un’impossibile ripartizione della fattura. Purtroppo per gli europei, la debolezza di Macron e la crisi francese pesano anche sui destini della Ue. Difficilmente in queste condizioni, l’Europa sarà in grado di cambiare la narrativa del proprio destino.