Distrutte 9 case, 6 grotte abitate, 10 cisterne d’acqua, 4 stalle, una cabina elettrica, l’impianto solare e il centro comunitario. Restano in piedi solo 3 strutture e la scuola
A inizio settimana le ruspe israeliane hanno cancellato il villaggio di Khalet Dabaa. Hanno abbattuto e schiacciato tutto, tranne la scuola e tre piccole strutture. L’azione distruttrice è andata avanti mentre gli abitanti cercavano di recuperare ciò che potevano dalle loro semplici abitazioni, fatte in gran parte solo di lamiere, legno e stoffa. Adesso 107 uomini, donne e bambini sono in strada, i più fortunati sotto tende. Khalet Dabaa è uno dei dodici piccoli insediamenti palestinesi nella regione meridionale di Hebron, noti collettivamente come Masafer Yatta, una delle aree a maggior rischio di espulsione della popolazione in tutta la Cisgiordania. La storia di Masafer Yatta è stata raccontata dal film No Other Land, che ha vinto un Oscar due mesi fa.
«È un trauma per tutti quelli che vivono a Masafer Yatta. La demolizione di Khalet Dabaa è stato un segnale molto chiaro: Israele intende completare le distruzioni in tutte le nostre comunità» dice Eid Suleiman, attivista e abitante di Um Al Khair, uno dei villaggi più a rischio. «C’è stata un’accelerazione dei piani di demolizione, lo dimostrano anche i raid dei coloni israeliani, sempre più frequenti nei nostri villaggi» aggiunge l’attivista. «A Um Al Khair, nei giorni scorsi, abbiamo subito una delle incursioni più pericolose e violente degli ultimi tempi. I coloni ci urlavano di andarcene, perché le nostre case sarebbero state distrutte e loro avrebbero preso il nostro posto». Suleiman spiega che un nuovo pericolo è rappresentato dai cosiddetti “coloni-pastori”: «Spingono il gregge fin dentro i nostri villaggi, le pecore mangiano le coltivazioni nei nostri campi, spaccano recinti, danneggiano le abitazioni. In questo modo riducono le possibilità di resistenza delle nostre comunità».
A Khalet Dabaa, l’altro giorno, denunciano gli abitanti, oltre ai funzionari dell’Amministrazione Civile (responsabile per conto dell’esercito israeliano dei civili palestinesi in Cisgiordania), c’erano anche uomini armati in abiti civili – coloni – assieme a soldati e poliziotti. Nessuno ha ascoltato le ragioni della comunità, che ha invano chiesto di fermare i bulldozer. I funzionari si sono limitati a esibire una sentenza di demolizione emessa da un tribunale israeliano, con la solita motivazione: Khalet Dabaa si trova in quella che le forze israeliane hanno proclamato, unilateralmente, una zona per esercitazioni militari. Tutte le famiglie palestinesi al suo interno, perciò, dovranno andarsene o saranno sfrattate con la forza, malgrado vivano lì da prima dell’occupazione militare israeliana cominciata nel 1967. Da decenni lottano per rimanere. Nel 2000 hanno presentato una petizione alla Corte Suprema israeliana. Ventidue anni dopo, quella petizione è stata respinta.
Lunedì sono state abbattute nove abitazioni a Khalet Dabaa e chiuse sei grotte che per generazioni avevano fatto da rifugio ad altrettante famiglie. Sono state distrutte anche dieci cisterne d’acqua, quattro stalle, una cabina elettrica, l’intero impianto solare e il centro comunitario. Rimane in piedi la scuola, ma chi potrà ancora frequentarla? Khalet Dabaa era sotto pressione da tempo. Gruppi di coloni avevano spesso impedito ai contadini di accedere ai loro campi e, in un’occasione, avevano anche appiccato il fuoco a una delle abitazioni. «La nostra vita è diventata una lotta quotidiana per sopravvivere», ha raccontato Umm Salim a un giornalista palestinese. La donna, 60 anni, ha visto la sua casa demolita per la seconda volta in due anni. «Avevo salvato i pannelli solari la scorsa volta. Li abbiamo rimontati da soli. Ora non c’è più nulla. Nemmeno l’acqua». L’acqua, in tutta Masafer Yatta, è un bene molto prezioso. Le cisterne distrutte erano fondamentali per l’abbeveraggio degli animali. La pastorizia e l’agricoltura di sussistenza sono l’unica fonte di reddito per queste comunità.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni unite per gli Affari Umanitari (Ocha), le autorità israeliane nel 2023 hanno demolito oltre 1.400 strutture palestinesi in Cisgiordania, lasciando senza un tetto più di 2.300 persone. Nella zona di Masafer Yatta, si contano oltre 500 demolizioni dal 2022. Israele giustifica le operazioni con motivazioni tecniche – costruzioni non autorizzate, zone militari, mancanza di permessi –, ma ai palestinesi i permessi vengono negati sistematicamente. In parallelo, la Knesset approva leggi che legalizzano gli avamposti coloniali israeliani.
Così, il paesaggio di Masafer Yatta si trasforma. Le colline, un tempo punteggiate da tende e stalle palestinesi, ora mostrano nuove strade asfaltate, torri di sorveglianza, barriere, insediamenti che crescono senza sosta. Eppure, la popolazione resiste. «Questo pozzo – ci dice Eid Suleiman – è stato scavato da mio nonno, le pietre delle nostre case raccontano storie più antiche dell’occupazione. Non andremo via».
09/05/2025
da Pagine Esteri