Il Mediterraneo è sempre più caldo: l’autunno 2025 potrebbe portare eventi estremi, piogge torrenziali e medicane. Ecco cosa sta succedendo
Immergersi nelle acque dei mari italiani, quest’estate, è per molti un’esperienza piacevole. Nessun brivido entrando in acqua, ma piuttosto la sensazione di una brodaglia calda, come se ci si trovasse ai tropici. Succede soprattutto nel Mar Adriatico, che essendo un mare chiuso tende ad accumulare più calore, ma anche negli altri mari, comprese aree solitamente più fredde come quelle intorno alla Sardegna o alle isole minori del Mar Tirreno.
L’acqua calda, però, porta con sé tanti problemi, a cominciare da quelli più evidenti: l’eutrofizzazione con la fioritura di alghe nell’alto Adriatico e l’invasione di specie aliene, per citarne due. Ma a essere particolarmente preoccupati sono meteorologi e climatologi, che oggi osservano con attenzione un fenomeno relativamente nuovo: le ondate di calore marino.
Ondate di calore marino: cosa sono e perché preoccupano
Analogamente alle ondate di caldo, anche quelle marine indicano periodi in cui la temperatura superficiale del mare resta molto più alta del normale per diversi giorni consecutivi. Più in dettaglio, si parla di ondata di calore marino quando, per almeno cinque giorni di fila, l’anomalia di temperatura superficiale del mare (SST anomaly, anomalia di temperatura superficiale del mare) supera il 90° percentile rispetto alla media storica del periodo. Il periodo di riferimento varia a seconda degli enti che elaborano i dati o degli scopi delle pubblicazioni scientifiche. Tipicamente si considera l’intervallo 1991-2020.
Il termine “ondata di calore marino” (marine heatwave, MHW) è stato formalmente definito nel 2016 da uno studio di Hobday e altri, intitolato “Un approccio gerarchico alla definizione delle ondate di calore marino”.
Un fenomeno globale: le ondate di calore marino nel mondo
Le ondate di calore marino sono state osservate in quasi tutti i mari e oceani, ma alcuni ne sono particolarmente colpiti. Il Mar Mediterraneo ne è un esempio. Essendo un bacino quasi chiuso e poco profondo – specialmente in alcuni settori come l’Adriatico – si riscalda velocemente e trattiene il calore più a lungo. Un’altra zona critica sono le fasce tropicali: il Golfo del Messico e il Mar dei Caraibi registrano frequentemente ondate di calore marino, con effetti diretti sull’intensità degli uragani. Altre zone colpite sono l’Oceano Pacifico nord-orientale, al largo delle coste occidentali di Stati Uniti e Canada, l’Oceano Indiano occidentale e, ultimamente, anche l’estremo nord dell’Atlantico. Quest’ultima area si contrappone alla nota “cold blob”, la zona fredda a sud della Groenlandia, e il contrasto tra le due masse d’acqua ha ripercussioni importanti sull’AMOC e sulla corrente del Golfo, con impatti sulla circolazione generale dell’atmosfera a livello globale.
Negli ultimi decenni, le ondate di calore marino sono diventate più frequenti, durature e intense, anche nel Mediterraneo. Le conseguenze non riguardano solo l’ambiente e gli ecosistemi marini, ma hanno anche un impatto meteorologico: un mare molto caldo può contribuire a intensificare fenomeni meteorologici estremi.
Temperature record: cosa dicono i dati da boe e satelliti
Nell’ambito della lotta ai cambiamenti climatici, alle ultime COP sono state fatte pressioni e prese alcune decisioni – spesso in documenti secondari – che, pur non riguardando direttamente la riduzione dei gas serra, rivestono un ruolo importante per la scienza del clima, in particolare per quanto riguarda l’osservazione e il monitoraggio. Tra queste, ha preso forma il concetto di “servizi climatici”: strumenti pensati per monitorare il clima e fornire informazioni tempestive e accessibili al pubblico, ai decisori politici e alla protezione civile. È in questo ambito che è sorto, per esempio, il servizio climatico europeo Copernicus, che fra le sue attività fornisce anche datimeteorologici e marini ricavati da modelli e satelliti.
Fra gli altri, il sito Sub-regional Mediterranean Sea Indicators pubblica mappe dettagliate basate sui dati del Copernicus Climate Service. Da queste mappe emergono segnali preoccupanti riguardo alla situazione attuale del Mar Mediterraneo nell’estate 2025. L’intero bacino registra temperature nettamente al di sopra della media stagionale, ma alcune aree – come il Mar di Sardegna, le Baleari, il Mar Ligure, il Tirreno, parte del Canale di Sicilia e l’Adriatico – rientrano nella categoria di “estremamente caldo”, con valori superiori al 90° percentile.
Ondata di calore marina estrema: il Mediterraneo sopra ogni soglia
In pratica, siamo nel pieno di un’ondata di calore marino estremo: già a giugno le temperature del mare superavano i valori tipici di luglio e agosto. In ampie aree del Mediterraneo e dell’Adriatico le anomalie termiche superano i +3/+4 gradi centigradi. Le zone con temperature nella media o leggermente inferiori – come alcune aree intorno alla Grecia – risultano invece molto più limitate e marginali.
Il grafico giornaliero dettagliato relativo al 2025 è ancora più allarmante: mostra come la temperatura del Mediterraneo occidentale sia rimasta quasi costantemente al di sopra del 90° percentile rispetto al periodo climatico di riferimento. Nel frattempo, proprio mentre scriviamo questo articolo, nel sito di Copernicus è uscita la notizia che conferma le analisi sopra citate.

Caldo atmosferico e marino: un ciclo che si autoalimenta
Tra il 17 giugno e il 2 luglio 2025, l’Europa occidentale è stata colpita da due ondate di caldo eccezionali. Con punte fino a 46 gradi centigradi in Spagna e Portogallo. L’intero mese si è confermato come il giugno più caldo mai registrato nella regione, superando – seppur di poco – il famigerato giugno del 2003.
Il caldo in atmosfera ha avuto ripercussioni anche sul mare, e viceversa, in un subdolo e spietato fenomeno di amplificazione a catena. Una grave ondata di calore marino ha investito l’intero Mediterraneo, con temperature dell’acqua superficiale superiori di oltre +5 gradi centigradi alla media in alcune zone, come il Mar Ligure, contribuendo ad aggravare il disagio termico e compromettendo gli ecosistemi marini. Va ricordato che proprio sul Mar Ligure, in determinate condizioni, si forma la cosiddetta “Genova Low”. Ovvero la depressione responsabile di alcune tra le più gravi alluvioni che hanno colpito l’Italia.
Come il riscaldamento del mare altera gli ecosistemi
Le conseguenze di questo surriscaldamento marino preoccupano fortemente naturalisti, biologi marini e anche pescatori. I primi a preoccuparsene, però, dovrebbero essere i politici, gli amministratori pubblici e i decisori. Ma come al solito, le azioni preventive e lungimiranti scarseggiano, mentre si corre ai ripari con provvedimenti di emergenza, quando il problema ormai è esploso.
Temperature del mare così alte alterano profondamente l’equilibrio degli ecosistemi e la biodiversità marini, favorendo fenomeni come l’eutrofizzazione. Nell’Adriatico, in particolare, il riscaldamento anomalo delle acque, combinato con l’apporto di nutrienti trasportati dai fiumi, crea le condizioni ideali per massicce fioriture algali. Queste proliferazioni riducono l’ossigeno disciolto nell’acqua, soffocano la fauna marina e rendono la balneazione poco piacevole. Anche se formalmente la qualità delle acque risulta ancora conforme agli standard.
Sulle spiagge dell’Alto Adriatico, ormai, il passaggio delle ruspe all’alba per ripulire e lisciare le spiagge ricorda quello dei gatti delle nevi sulle piste da sci in inverno. E proprio come le piste innevate sono sempre più spesso coperte da neve artificiale, anche le spiagge sono ormai fortemente artificializzate. La sabbia viene spesso trasportata da altrove, con camion e, incredibilmente, anche tramite sabbiodotti.
Per quanto riguarda la biologia marina, il problema delle specie aliene di origine tropicale è ormai noto. Il caso del granchio blu ne è un esempio. Pesci e molluschi provenienti da aree tropicali raggiungono il Mediterraneo per diverse vie – traffici commerciali, trasporto navale, passaggio attraverso il Canale di Suez – e, grazie all’aumento delle temperature marine, riescono a insediarsi con facilità, minacciando gli habitat autoctoni. Non si tratta quindi solo di “acque calde da bagno”, ma di un campanello d’allarme per l’intero bacino mediterraneo. E non è tutto.
Estate e mare caldo: aumentano i temporali estremi
Distinguiamo in due categorie gli impatti meteoclimatici del mare bollente. Il primo riguarda gli effetti a breve termine, ovvero ciò che può succedere nel corso dell’estate. Il secondo, di cui parleremo a seguire, riguarda le possibili conseguenze più dirompenti attese in autunno e persino durante l’inverno.
Abbiamo già parlato in vari articoli di eventi meteo estremi e di come il mare caldo agisca da vero e proprio carburante per la loro intensificazione. Le acque marine surriscaldate modificano profondamente il comportamento delle perturbazioni, amplificando gli effetti dei fronti freddi che, a tratti, riescono a fare incursione nell’anticiclone africano.
Questo sistema barico ha ormai rimpiazzato il più tranquillo anticiclone delle Azzorre di bernacchiana memoria. Quando dominava l’anticiclone azzorriano, le estati erano più dolci: il caldo si concentrava per lo più nell’ultima decade di luglio e nella canicola di inizio agosto, mentre le ondate di caldo a giugno erano rare, e praticamente inesistenti a maggio. Settembre, inoltre, segnava già l’inizio dell’autunno, con temperature fresche e un clima più instabile. Oggi, invece, anche questo mese è sempre più spesso caratterizzato da temperature elevate.
In questo quadro, è normale che ogni 4-5 giorni le Alpi e il Nord Italia risentano della coda delle perturbazioni che transitano sull’Europa settentrionale. Talvolta esse riescono scendere di latitudine fino a interessare il Centro e, più marginalmente, il Sud del Paese. D’altronde, è normale che in estate si verifichino episodi di pioggia: sulle Alpi, in particolare, questa è addirittura la stagione con le precipitazioni più abbondanti dell’anno.
In questo scenario, se oltre a trovare ristagno di aria molto calda e umida nelle pianure e nelle valli, le perturbazioni ricevono contributo del calore marino, ecco che i fenomeni che ne scaturiscono risultano di forte intensità sconfinando spesso nel fenomeno estremo.
Dal tornado al derecho: eventi estremi legati al mare caldo
Due esempi emblematici, ampiamente documentati dalla letteratura scientifica. Studi pubblicati su riviste peer-reviewed dimostrano che sia il tornado di Taranto del 2012 sia il devastante derecho del 18 agosto 2022 sono stati favoriti e intensificati dal calore anomalo del Mediterraneo. In entrambi i casi, la temperatura superficiale del mare era di diversi gradi superiore alla norma. Dalle simulazioni modellistiche risulta che, con un mare a temperature normali, questi eventi o non sarebbero avvenuti o, nel caso, sarebbero stati sì intensi, ma non estremi.
Ecco dunque il motivo per cui, come spesso accaduto negli ultimi anni, quella incorso è un’estate non solo molto calda, ma anche temporalesca. Il mare sempre più caldo a causa dei cambiamenti climatici, è un fattore chiave che amplifica e intensifica i temporali estivi anche in Italia.
Autunno a rischio: le minacce del Mediterraneo bollente
«L’estate sta finendo», recitava il ritornello di una nota canzone di successo degli anni Ottanta. E in effetti, prima o poi – almeno per ragioni astronomiche – il caldo comincerà a cedere, lasciando spazio alle prime irruzioni di aria fredda di origine polare. Un tempo, questo passaggio avveniva solitamente poco dopo Ferragosto: tra il 20 e il 25 agosto una perturbazione marcava la fine dell’estate in modo netto. Negli ultimi anni, però, la tradizionale “burrasca di Ferragosto” ha spesso tardato ad arrivare o si è presentata con maggiore violenza, seguita da nuove, intense ondate di caldo a fine mese o perfino in settembre. In ogni caso, quando queste perturbazioni si presentano, trovano un’atmosfera più carica di calore e vapore acqueo, condizioni ideali per alimentare fenomeni estremi.
Non è finita: a settembre è poi la volta dell’arrivo delle cosiddette tempeste equinoziali. Come suggerisce il nome, si verificano intorno all’equinozio d’autunno, tra il 20 e il 22 del mese, e rappresentano le prime incursioni di aria davvero fredda, proveniente dalle regioni polari o, talvolta, addirittura artiche.
In questo scenario, andrà considerato che con l’aumento delle temperature, l’atmosfera si comporta come una spugna. Ovvero, diventa capace di trattenere circa il 7% in più di vapore acqueo per ogni grado di riscaldamento. Questo fenomeno è noto come relazione di Clausius–Clapeyron. Quando l’aria calda e carica di umidità, alimentata dall’evaporazione di mari straordinariamente caldi come il Mediterraneo, viene trasferita a una perturbazione, si possono generare precipitazioni estreme.
Medicane: i cicloni tropicali del Mediterraneo sempre più intensi
Infine, c’è il fenomeno dei medicane. Il Mediterraneo, per la sua conformazione e la posizione geografica, non è idoneo alla formazione di cicloni tropicali – noti come uragani nell’Atlantico e nei Caraibi, o tifoni nel Pacifico e nell’Oceano Indiano. Tuttavia, non è estraneo a fenomeni simili, chiamati TLC (Tropical-Like Cyclones) o, più comunemente, medicane, crasi tra MEDIterranean e hurriCANE.
Il meccanismo di formazione dei medicane presenta alcune analogie con quello degli uragani, poiché anch’essi traggono energia dal rilascio di calore latente da parte del mare. Tuttavia, le differenze non mancano: l’innesco, per esempio, non è rappresentato da onde tropicali, ma da incursioni di aria fredda su zone di mare caldo. In queste condizioni si sviluppano temporali che si organizzano attorno a un “occhio” centrale, proprio come accade nei cicloni tropicali. Ai medicane è sufficiente una temperatura superficiale marina inferiore rispetto agli uragani, e questo rende il fenomeno preoccupante. Comunque, più caldo è il mare, più intensi possono diventare i medicane.
Insomma, si delinea una fine estate e un autunno ad alto rischio di eventi meteo violenti. Il timore è quello di un autunno con possibili episodi alluvionali. La domanda non è se accadranno, ma quando e dove. E su cosa fare, le risposte le conosciamo già: servono adattamento e mitigazione, gestire l’inevitabile ed evitare l’ingestibile.
02/08/2025
da Valori