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Meloni furiosa verso l’astensione nel Consiglio Ue

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CLANDESTINA. La premier, esclusa dall’intesa sugli incarichi di vertice, attacca in parlamento: «La logica del consenso scavalcata dai caminetti»

Furiosa come non la si era mai vista e non solo per l’influenza che la rende febbricitante. Nelle aule di camera e senato per la tradizionale relazione alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo Giorgia Meloni non nasconde massima irritazione e del resto se anche ci provasse non ce la farebbe.

Antonio Tajani

Per garantire la stabilità serve aprire un confronto con i Conservatori. Non faremo mai accordi con i Verdi. Con i Verdi per noi diventa difficile votare

L’umiliazione che ha subìto per la seconda volta consecutiva in Europa brucia troppo. «La logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti nei quali alcuni pretendono di decidere per tutti. Una sorta di conventio ad excludendum in salsa europea che non intendo accettare», dichiara a spada sguainata. La minaccia è esplicita: «Ci sono tre partiti che si considerano maggioranza in Europa e distribuiscono incarichi apicali. Lo vedremo in Parlamento col tempo». E, rispondendo a un intervento dell’opposizione: «Dite che la maggioranza esiste e resiste? Che resista è certo, se esiste lo vedremo col tempo». A Strasburgo una maggioranza stabile non esiste. Si forma per lo più sui singoli voti e ciò lascia ampio spazio di manovra a un gruppo forte e in grado di fare sponda con il resto della destra. La minaccia della Giorgia furiosa non è priva di fondamento.

Non sono i contenuti a mandare la premier fuori di sé. Da quel punto di vista potrebbe dirsi soddisfatta. Le è stato promesso un commissario di serie A con tanto di vicepresidenza esecutiva e non è mai successo che a un partito esterno agli accordi di maggioranza venga assegnato il ruolo esecutivo. Nell’impostazione strategica la politica dell’immigrazione, per come è stata illustrata ieri nella lettera di von der Leyen, potrebbe averla dettata direttamente lei. Sulla guerra in Ucraina l’intesa è totale e anche il passo indietro sul green deal non manca.

IL PROBLEMA È LA FORMA, che in questi casi diventa però sostanza. Per prassi al terzo gruppo per numero di eurodeputati spetta l’Alto commissariato per la politica estera e la Pd Madia, con una topica, rivendica il merito democratico di questa logica. «Peccato che il terzo gruppo sia quello dei Conservatori», replica Meloni. Il quale gruppo stavolta non è stato preso in considerazione neppure per un consulto. I sei negoziatori che, giocando d’anticipo rispetto al Consiglio di oggi, hanno deciso la ripartizione dei top jobs martedì pomeriggio in videoconferenza sono anche i capi di governo dei principali Paesi dell’Unione. L’Italia, terzo Paese per importanza, è stato avvertito solo a cose fatte. «Briciole di un pranzo già pronto», sibilano a palazzo Chigi. È anche uno sgarbo all’Italia che non va giù neppure a Mattarella. Nel pranzo con premier e ministri, di prammatica prima dei Consigli europei, accetta di far filtrare la sua posizione: «Dall’Italia non si può prescindere». Nel lessico della diplomazia europea è un segnale forte diretto alle cancellerie.

OGGI LA PREMIER DEVE decidere che seguito concreto dare, nel Consiglio, all’esplosione verbale di rabbia. È una scelta ancora in bilico, le trattative informali con von der Leyen proseguono e proseguiranno sino all’ultimo. Però tutto indica che alla fine l’Italia si asterrà. Non è una mossa leggera. È successo molto raramente che un candidato alla presidenza della Commissione non fosse indicato all’unanimità. Von der Leyen passerà lo stesso, la maggioranza qualificata di 15 capi di governo in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione della Ue dovrebbe essere garantita. Ma l’astensione equivale a revocare in dubbio il voto nell’europarlamento a favore della candidata, che entrerebbe così in area a massimo rischio di siluramento.

VA DA SÉ CHE la premier italiana userà la minaccia per strappare quanto più possibile in termini di concessioni. Ieri in aula ha detto apertamente di mirare a una posizione più importante di quella che spettava all’Italia nella commissione uscente e, trattandosi del commissario all’Economia, non è un traguardo facilmente raggiungibile. Ma soprattutto quel che la presidente di Ecr vuole per lavare l’onta è una sorta di riconoscimento politico che però costerebbe a von der Leyen l’appoggio di una parte del Pse. Pd incluso. Schlein in aula lo ha detto senza perifrasi: «Non siamo disponibili ad alleanze con le destre estreme e non lo saremo mai». In compenso il soccorso verde toglierebbe alla candidata il voto di una parte del Ppe. «Per noi votarla con i verdi diventerebbe molto difficile», anticipa Tajani. La partita a Bruxelles si preannuncia dunque tanto tesa quanto difficile. Per la nuova legislatura europea il viatico sarebbe tra i peggiori.

27/06/2024

da Il Manifesto

Andrea Colombo

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