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Meno petrolio estratto a far salire i prezzi: sauditi in grandi opere

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‘Opec Plus’, l’associazione allargata dei Paesi produttori di petrolio, ha deciso di prolungare i tagli all’estrazione di greggio fino agli ultimi mesi del 2025. Partita dare avere tra chi il petrolio lo ha e chi lo deve comprare. Prezzo non troppo su e non troppo giù, altrimenti saltano delicatissimi equilibri economici e di scambio. Ma la geopolitica planetaria in continua mutazione non ci annuncia tempi più facili vicini

‘Opes Plus’, ma non troppo

I Paesi produttori di petrolio dell’Opec Plus si erano impegnati a ‘congelare’ la produzione solo per il 2024, e tenere alti i prezzi del greggio sul mercato internazionale. Ma, visto che la domanda, considerata ‘fiacca’, ha tenuto il costo al barile intorno alla soglia degli 80 dollari (cioè, almeno 10 in meno di quanto i produttori sparavano), hanno deciso di intervenire. Gli effetti non si scaricheranno subito sui consumatori. Tuttavia, si tratta di una presa di posizione che potrebbe avere, a catena, un certo impatto sul costo dell’energia.

Sceicchi e Russia assieme

È stata l’Arabia Saudita, a spingere gli altri partner a riunirsi, per motivi legati ai suoi faraonici programmi di sviluppo sociale e infrastrutturale, racchiusi nel progetto «Vision 2030». Gli sceicchi hanno bisogno di soldi. Immediatamente. Su questa linea li ha seguiti anche la Russia, da sempre favorevole a tagli che facessero aumentare il costo del petrolio. Mosca, infatti, ha preso questo impegno, ma ha anche trovato il modo di aggirarlo con ‘prezzi di favore’ per aggirare le sanzioni occidentali. Nel vertice dei produttori, si è discusso anche di questo: Russia, Irak e Kazakistan hanno prodotto rispettivamente, 200 mila, 240 mila e 75 mila barili di petrolio in più al giorno. Almeno, quelli che sono stati contabilizzati in modo ufficiale.

Vertice a Riad da Bin Salman

I vertici dell’Opec, normalmente, si tengono a Vienna; ma questa volta, vista l’urgenza manifestato dai sauditi, l’incontro è stato organizzato a Riad. I ministri di bin Salman avevano così premura di arrivare a un accordo, che alcuni delegati si sono dovuti collegare a distanza, on-line, pur di garantire una ‘deliberazione urgente’. In sostanza, rispetto agli ultimi tagli decisi dall’Opec, il mercato petrolifero è rimasto fermo per i prezzi, che si sono cristallizzati.

Il Brent del Mare del Nord quota intorno agli 83 dollari e il West Texas Intermediate sui 79. Gli economisti sauditi hanno detto subito che le entrate previste non bastano a finanziare ‘Vision 2030’.

La concorrenza dell’amico Biden

In parte, i piani dei produttori sono stati ostacolati da Biden, che nonostante la sua ‘anima verde’, ha impartito direttive precise, e cioè di produrre petrolio americano a tutto spiano. E di venderlo. Lo stesso, il Presidente Usa, ha fatto con il Gas naturale liquido. Bloccato quello russo, con le buone o con le cattive (gasdotto Nord Stream), sta esportando GNL a stelle e strisce in mezzo pianeta. E anche se può sembrare strano, proprio al gas naturale e alle energie rinnovabili hanno cominciato a guardare anche i sauditi. Il taglio alla produzione di petrolio non è solo una mossa tattica, di breve periodo, ma coinvolge una vera e propria strategia di sviluppo, che punta su rifornimenti energetici sicuri.

Nuove strategie di sviluppo

Ecco spiegato perché, dicono gli analisti, Riad ha scelto di rinunciare all’obiettivo dei 13 milioni di barili di petrolio prodotti ogni giorno. La diversificazione energetica e, quindi, anche un nuovo ruolo per l’Opec, fanno parte del sofisticato disegno di Vision 2030. E se questa è la strada che sta battendo l’Arabia Saudita, è probabile che anche altri grandi produttori di greggio la seguiranno. Secondo gli analisti di Al Monitor, «la programmata elevata crescita dell’economia saudita richiede forniture assai maggiori di elettricità, che siano affidabili, convenienti e sostenibili. Come gli impianti di desalinizzazione».

Il think tank, specializzato nella geopolitica mediorientale e del Golfo Persico, spiega che l’obiettivo di bin Salman è quello di arrivare a produrre, entro il 2030, elettricità con un ‘pacchetto’ che contempli un 50% di gas naturale e un 50% di energie rinnovabili.

Petrolieri ecologisti

Si diceva della fame di capitali, che in questo momento ha il regno hascemita. Ieri, con un altro colpo a sorpresa, gli strateghi finanziari degli sceicchi hanno messo sul mercato l’1% di Aramco, il gigante petrolifero di Stato. Che dovrebbe fruttare qualcosa come 12 miliardi di dollari, tutti da reinvestire in Vision 2030. L’anello di congiunzione, che lega le strategie di sviluppo saudite al prezzo del petrolio, ce lo chiarisce il Wall Street Journal:

«Il regno si è imbarcato in una serie di megaprogetti, tra cui una città multimiliardaria nel deserto e in una compagnia aerea globale. Per gli osservatori del mercato, ha bisogno di petrolio a quota 90 dollari, per finanziare le sue ambizioni». E noi aggiungiamo, «almeno 90 dollari». Perché la situazione di marasma geopolitico internazionale, rende impossibile fare qualsiasi previsione.

03/05/2024

da Remocontro

Piero Orteca

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