Truppe cinesi presto nell’isola di Cuba, a 100 miglia dalle coste americane. Capovolgendo quello che finora è stato, l’utilizzo americano di Taiwan. Ora sono i cinesi a cercare di trasformare Cuba in una sorta di ‘Taiwan dei Caraibi’. Certo, i soldati cinesi non saranno come i missili balistici di Kruscev, che nel 1962 ci fecero rischiare la guerra nucleare, ma hanno un loro pesante significato geopolitico.
La ‘Taiwan dei Caraibi’
Rivelazioni di fonte spionistica del Wall Street Journal. Una nuova NIE, National Intelligence Estimate, che, come dice il WSJ, «è frammentaria ma convincente, tale da suscitare diversi livelli di allarme». La Cina si appresta a trasferire sull’isola truppe di terra e specialisti, che all’inizio dovrebbero avere funzioni di addestramento. Ma alla Casa Bianca e al Pentagono temono ben altro. La base militare cinese di fronte alla Florida, in mezzo ai Caraibi, il cuore geopolitico dell’America centrale e meridionale, può essere considerata, a tutti gli effetti, una vera e propria ‘testa di ponte’. Gli analisti della Difesa Usa, parlano di una base che rientra nel ‘Piano 141’, tecnicamente definito come «un’iniziativa dell’Esercito popolare di liberazione, per espandere la sua base militare globale e la rete di supporto logistico». Vero o esagerato da chi all’interno delle troppe agenzie di intelligence Usa volesse seminare altra tensione.
Caso Cuba e Nato asiatica
Siamo ancora alle mosse geopolitiche preliminari, ma il ‘caso Cuba’ appare la più evidente risposta di Pechino alla Nato che gli Usa stanno cercando di esportare nell’Indo-Pacifico arruolando Giappone e Corea del Sud. Con valutazioni critiche sulla politica Usa in perenne fibrillazione elettorale. Pare proprio di poter dire che, ogni volta che si addolcisce il dialogo tra Cina e Stati Uniti, succede qualcosa. Pare che qualcuno goda (abbia interesse) a mettersi di traverso. Così, dopo incontri ravvicinati nello Stretto di Taiwan, violazioni più o meno reali delle sanzioni anti-russe e palloni-spia che sorvolano da sempre mezz’America, ora viene reiterato con lo ‘sbarco cinese’ a Cuba. Secondo funzionari del Pentagono «che hanno familiarità con la questione» (la formula d’uso per indicare le spie che vogliono far trapelare qualcosa utile a loro), la Cina ha già consolidato degli scali portuali a Gibuti (Corno d’Africa), in Cambogia e, addirittura, negli Emirati Arabi Uniti. Adesso, la preoccupazione della Casa Bianca è che le basi di Cuba possono servire come trampolino di lancio, per stabilire nuove presenze militari di Pechino nei Paesi dell’America Latina più disponibili. Un esempio c’è già, e può essere letto benissimo come un inizio di ‘interferenza’ diplomatica in questo emisfero che l’America insiste a considerare suo.
Usa in Asia, Cina in America latina
Un esempio c’è già, e può essere letto benissimo come un inizio di ‘interferenza’ diplomatica in questo emisfero che l’America insiste a considerare suo. Proprio l’altro giorno, il governo cinese ha dato la sua solidarietà a quello argentino sull’annosa questione delle isole Falkland, per le quali venne combattuta una breve ma cruenta guerra all’inizio degli anni Ottanta. Così come non è da escludere un rafforzamento, sempre più pronunciato, dei rapporti con il Brasile di Lula. Proprio quello che gli Stati Uniti vorrebbero evitare: cercando di allontanare la possibilità che i Paesi ‘Brics’ vengano a imporre il loro punto di vista di non allineamento anche nel continente americano. Di fatto la mossa di Pechino ha indispettito la Casa Bianca. E qualcuno pensa che, ad accelerare le mosse cinesi quasi fatte trapelare da Pechino, ci sia l’ennesimo scivolone diplomatico di Biden, che proprio l’altra sera ha definito Xi Jinping ‘dittatore’, a far saltare il poco che con fatica il suo ministro degli esteri aveva ottenuto nella difficile visita di Stato in Cina.
La tela di Penelope, chi tesse, chi disfa e i Proci attorno
Il Segretario di Stato, intervistato dalla CBS e dal network NBC, ha ammesso di avere sollevato la questione Cuba, le parte nota della ‘centrale di ascolto’, nel suo colloquio con Xi. Ma, pare di capire, che non abbia avuto grandi risultati.
Anche perché, come scrive WSJ, mentre i cinesi in America Latina ancora non hanno nemmeno un soldato in divisa (dicono loro), gli americani, nell’area dell’Indo-Pacifico, hanno la bellezza di 350 mila uomini in divisa e con molte armi. Logica stretta non solo cinese, se i numeri hanno un senso, «diventa difficile sostenere che i guerrafondai siamo noi. L’Indo-Pacifico è casa nostra».
22/06/2023
Abbiamo ripreso l'articolo
da Remocontro