La repubblica separatista del Nagorno Karabakh verrà ufficialmente sciolta. Lo ha annunciato il presidente del Karabakh, Sahramanyan, confermando la resa all’Azerbaijan. Il Nagorno Karabakh, il cui nome ufficiale è ancora ‘Repubblica dell’Artsakh’, è una regione che si trova in territorio azero e che fino a pochi giorni fa era abitata principalmente da persone di etnia armena.
I dati forniti dal servizio migrazione e cittadinanza del ministero degli Affari Interni armeno riferiscono, alle 22.00 di giovedì 28 settembre, che 76mila sfollati (più della metà degli abitanti della ragione) hanno attraversato il confine con l’Armenia.
L’attualità degli armeni in fuga dal Nagorno azero dove avevano vissuto per secoli, e su un altro fronte l’ex nazista ucraino esaltato come patriota anti russo in Canada. Mentre Gianni Santamaria su Avvenire si propone un saggio di Stefan Ihrig che ricostruisce il ruolo di politica e stampa tedesca nel fornire ai turchi la giustificazione del genocidio in Anatolia. Un parallelo tra armeni ed ebrei e diverse preoccupanti attualità che si incrociano.
La strage che i turchi rifiutano come genocidio
Sul genocidio armeno del 1915 lo scrittore Franz Werfel scrisse un libro, ‘I quaranta giorni del Mussa Dagh’, apparso nel 1933, che circolò in tutto il mondo, facendo conoscere questa tragedia. Un testo famoso, scrive Gianni Santamaria. «Meno noto è che dall’Ottocento in Germania, già prima dei massacri contro gli armeni perpetrati a fine secolo dal sultano Abdul Hamid II, circolava una pubblicistica periodica e anche una letteratura popolare, di consumo, che dipingeva l’armeno con gli stessi stereotipi usati per gli ebrei».
Gli armeni come gli ebrei
Un campione di questa pratica nefasta fu un ‘long seller‘ dell’epoca, Karl May, il ‘Salgari tedesco’. «Un ebreo inganna dieci cristiani, uno yankee cinquanta ebrei; un armeno inganna addirittura cento yankee… Ovunque ci sia un po’ di malizia e un po’ di tradimento, certo verrà fuori che il naso di falco dell’armeno ne è implicato», si legge in una sua opera.
‘Metz Yeghern’, il Grande Male
Un parallelo storico tra il destino dei due popoli in Germania, ancor prima che in Turchia o Armenia. Ma che ha portata più vasta, perché il ‘Metz Yeghern’, il ‘Grande Male’, la strage di cristiani armeni avvenuta all’inizio del Novecento, «è parte della nostra storia e del nostro patrimonio mondiale ed è forse il peccato originale del XX secolo». Questo prima che il polacco Lemkin arrivasse alla definizione del genocidio nel 1944.
L’idea di sterminio
Il libro, spiega la scrittrice Antonia Arslan, che ne è la curatrice, è «molto importante perché dimostra definitivamente che l’idea di quel tipo di sterminio non è nata improvvisamente nelle menti dei Giovani Turchi, ma era in qualche modo preannunciata da una lunga presenza di odio anti-armeno in tutta la stampa tedesca e nella letteratura». Un’indagine che si collega a quella condotta sulla stampa turca dalla studiosa americana Siobhan Nash-Marshall.
Le letture di Adolf Hitler
Karl May, il ‘Salgari tedesco’, del quale Adolf Hitler fu un vorace lettore, riprendeva quasi alla lettera il ‘racconto del vasaio’, un testo infarcito di descrizioni degli armeni pronti a vendere mogli e figlie, dediti all’usura e via di questo passo, riportato in un articolo dal pastore protestante Friedrich Naumann, dopo un viaggio in Terra Santa al seguito del Kaiser.
Il Kaiser e Bismarck
Il libro, inizia proprio con la politica del Kaiser e di Bismarck che vedevano il problema armeno come una questione interna a un’area geopolitica che consideravano cruciale per la stabilità europea. Il legame tra i due imperi fu forte e incentrato sulla forza militare, ribadisce Avvenire. «Tanto che le truppe turche furono a lungo istruite dal generale Colmar von der Goltz, che ottenne per questo, unico tra i non turchi, il titolo di Pascià».
Il genocidio e le testimonianze
Il genocidio vero e proprio e le testimonianze che arrivavano da diplomatici, missionari e viaggiatori tedeschi. Dopo la dissoluzione degli Imperi c’era un risentimento verso quelli che erano considerati i rispettivi nemici interni, ebrei e armeni. Che porterà come conseguenza l’idea che «il genocidio non era soltanto concepibile nella Germania dell’epoca, ma fu anche ampiamente discusso attraverso il prisma della visione del popolo armeno come uguale, simile o peggiore di quello ebreo». Un parallelo che prosegue nell’immaginario.
Il romanzo di Werfel racconta di un episodio di auto-difesa degli armeni alla Montagna di Mosè (Mussa Dagh), molto letto nei ghetti ebraici. E in Palestina, dove ispirò un piano di resistenza all’avanzata delle truppe di Rommell, trasformando il Monte Carmelo in un Mussa Dagh ebraico.
Filo armeni, anti armeni
Il culmine del filo-armenismo nella stampa tedesca si raggiunse con il processo a Soghomon Tehlirian, che nel 1921 aveva ucciso a Berlino il ministro degli Interni ottomano Talat Pascià. Durante il processo emerse una testimonianza agghiacciante del genocidio armeno che colpì l’opinione pubblica: e anche la corte che assolse l’imputato benché reo confesso. Ma in seguito il partito anti-armeno ebbe la meglio.
I nazisti, poi, «hanno ereditato come accettabile l’idea che un governo con i propri sudditi può fare quello che vuole se li ritiene un pericolo per lo Stato. Indipendentemente dal fatto che siano vecchi, donne bambini innocenti».
Il genocidio armeno e la Shoah
L’autore, in conclusione, apre il discorso all’oggi. Innanzitutto, argomenta, non ha senso stabilire se senza il genocidio armeno la Shoah sarebbe avvenuta o meno, dato che l’odio antiebraico nazista difficilmente avrebbe risparmiato le sue vittime. Il fatto è che i due eventi, «molto vicini nel tempo, furono intimamente e direttamente collegati». Il modo in cui il genocidio armeno venne recepito per motivi legati al nazionalismo e per l’assenza di una condanna.
«Allora – incalza Ihrig – urge domandarsi se, dalla Seconda guerra mondiale il mondo abbia fatto abbastanza per dissuadere gli Stati dal massacrare le popolazioni civili. Qual è il nostro deterrente?».
29/09/2023
da Remocontro