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“Necessario l’ingresso dello Stato. Sull’ex Fiat non c’è strategia”. L’economista Brancaccio: “L’azienda ha divorato risorse ma l’esecutivo crede alla fiaba del libero mercato”

“Necessario l’ingresso dello Stato. Sull’ex Fiat non c’è strategia”. L’economista Brancaccio: “L’azienda ha divorato risorse ma l’esecutivo crede alla fiaba del libero mercato”

“Serve l’ingresso dello Stato. Sull’ex Fiat non c’è strategia”. Per Brancaccio "l’azienda ha divorato risorse ma l’esecutivo crede alle fiabe"

Continua lo scontro tra Stellantis e il governo. Il ceo dell’azienda Carlos Tavares sostiene che l’Italia dovrebbe fare di più per proteggere i posti di lavoro nel settore automobilistico, anziché attaccare Stellantis per il fatto che produce meno nel nostro Paese. Ne parliamo con l’economista Emiliano Brancaccio, che sulla crisi dell’industria automobilistica sostiene da tempo una posizione originale.

Professore, Stellantis dice che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in l’Italia. Che ne pensa? Sente puzza di ricatto?
“Non è un ricatto, è il capitalismo contemporaneo, che ormai ha fatto del sostegno pubblico ai profitti una pratica abituale. I grandi conglomerati industriali cercano di ampliare i margini in tutti i modi, e per questo scopo non si fanno scrupolo a pretendere anche sussidi pagati dai contribuenti. Tantomeno la ex Fiat, che per decenni si è avvalsa di erogazioni statali per rivitalizzare i bilanci aziendali”.

Il governo replica che “se Tavares o altri ritengono che l’Italia debba fare come la Francia, che recentemente ha aumentato il proprio capitale sociale all’interno dell’azionariato di Stellantis, ce lo chiedano”. Secondo lei lo Stato dovrebbe entrare nell’azionariato di Stellantis? E se sì, con quali modalità?
“Anche solo considerando la quantità di risorse pubbliche già erogate a favore dell’azienda, l’ingresso dello Stato nel capitale di Fiat e oggi di Stellantis dovrebbe esser considerato una cosa abbastanza ovvia. Il problema è entrare per fare cosa. Su questo punto sembra che il governo non abbia una strategia”.

Nelle audizioni presso il vecchio comitato “Industria 2015” istituito dal ministero dello sviluppo allora guidato da Bersani, e in vari suoi interventi polemici ai tempi di Marchionne, lei ha sempre sostenuto la necessità di un “piano pubblico” per impedire la scomparsa dell’industria automobilistica nel nostro paese. Ci può spiegare?
“L’industria automobilistica è un settore maturo, e come tutti i settori maturi tende a gestire i suoi eccessi di capacità produttiva con un processo competitivo che si definisce di ‘centralizzazione del capitale’, dove il pesce grosso mangia il pesce piccolo. Vale a dire, le aziende deboli vengono eliminate o assorbite dalle aziende più forti, che diventano quindi sempre più grandi e ramificate a livello internazionale. Il risultato di questa grande partita sono lunghe scie di licenziamenti, bancarotte, desertificazioni di intere aree a tradizione industriale. La violenza del fenomeno è tale che persino i capitalisti, di tanto in tanto, sostengono l’opportunità di concordare una regolazione. Basti ricordare che durante la crisi dell’eurozona fu persino il ‘liberista tutto d’un pezzo’ Marchionne a invocare un intervento della Commissione europea per ‘razionalizzare’ il settore, cioè per impedire a Volkswagen e agli altri produttori più forti di continuare con strategie di prezzo finalizzate a distruggere i concorrenti. Ebbene, quando parlo di ‘piano pubblico’ intendo proprio la necessità che il ritmo e le traiettorie di questo micidiale meccanismo di centralizzazione venga regolato politicamente, in modo da non lasciarlo né agli esiti incontrollati della lotta feroce tra capitali privati né alle improvvise folgorazioni di qualche liberista redento”.

In che modo la partecipazione azionaria dello Stato italiano potrebbe aiutare?
“Nel caso di Stellantis il discorso è persino più semplice, perché lo scontro principale è interno al gruppo. Il punto è che la struttura produttiva è già fortemente sbilanciata a favore degli impianti esteri, soprattutto francesi, che sono implicitamente tutelati anche dal fatto che lo Stato francese è azionista dell’azienda. L’ingresso dello Stato italiano sarebbe la condizione minima per ridurre questo sbilanciamento, riformulando i piani industriali in modo da calibrare le chiusure e gli investimenti tra i due paesi, anche attraverso un rilancio delle produzioni a minor impatto ambientale sul nostro territorio. Tecnicamente è ancora tutto realizzabile. Si tratta però di un’iniziativa ambiziosa, di ‘regolazione politica della centralizzazione’. Difficile che possa venire da questo governo, che al di là delle polemiche di giornata mi pare affezionato alle antiche fiabe sulle magnifiche sorti del libero mercato e delle privatizzazioni”.

Infatti quella di una partecipazione pubblica in Stellantis pare contraddire il piano di privatizzazioni che ha in mente il governo. Che ne pensa del progetto dell’esecutivo di mettere sul mercato Poste, Eni, Ferrovie?
“Il governo sostiene che bisogna incassare dalle privatizzazioni per accrescere le entrate e ridurre il debito pubblico. Ma anche questo è un mito ideologico smentito dai fatti. Se lo Stato cede una sua partecipazione, è vero che oggi incassa dalla vendita ma è altrettanto vero che domani non otterrà più le entrate che derivavano dagli utili aziendali. Tra maggiori entrate oggi e minori entrate domani, è facile che per il bilancio pubblico il risultato netto della privatizzazione si riveli modesto, o addirittura negativo”.