28/10/2025
da Il Manifesto
Diritto alla casa. I dati del Viminale sugli sfratti: a Milano +1000% nel 2024.
Mentre prosegue il tira e molla nel governo per trovare i fondi per il «Piano casa», proposto dal leader leghista Salvini e di cui finora non si sono visti che annunci, e l’aumento della cedolare secca per gli affitti brevi si appresta a scomparire nella discussione parlamentare, in Italia nel 2024 sono stati emessi 81mila provvedimenti esecutivi di sfratto. Di questi ne sono stati poi portati a termine dall’ufficiale giudiziario 21mila: i dati sono forniti dal Viminale che ogni autunno pubblica le proprie tabelle statistiche.
È il quadro della «Repubblica degli sfratti a getto continuo», come la ha definita Usb nell’elaborare i dati forniti dal ministero dell’Interno: se il numero delle operazioni concluse è del tutto analogo a quello del 2023 (una diminuzione dello 0,04%, appena otto sfratti in meno), quello delle richieste esecutive è aumentato di quasi il 10% e nelle principali città da Nord a Sud la fotografia è quella di un sostanziale aumento dell’emergenza abitativa. La metà dei provedimenti presentati agli ufficiali giudiziari è motivato infatti da morosità, ovvero nella maggioranza dei casi l’impossibilità per lavoratori e famiglie di pagare l’affitto e sostenere il resto delle spese contemporaneamente. A Napoli sono stati eseguiti 1115 sfratti, un aumento del 10% rispetto all’anno precedente; a Roma 1724, dato in calo del 16% rispetto all’anno precedente. Ma il boom lo si legge a Milano, la città del modello verticale capitale della modernizzazione e della finanziarizzazione: stando al Viminale, nel capoluogo meneghino in un anno sono state avanzate 14mila richieste di liberazione di un immobile, con una crescita del 3400% rispetto al 2023. Di queste ne sono state compiute 1597, che fanno segnare sulla tabella un +1100%. Sintomo che dopo il blocco degli sfratti messo in campo nel corso della pandemia e perdurato fino alla fine del 2021, il fenomeno è ripreso con gradualità ma anche sonori strappi.
Nell’ultimo rapporto sulla povertà in Italia, pubblicato lo scorso giugno, la Caritas indicava che delle 277mila persone assistite nel 2024 un terzo manifestava disagi abitativi: uno su cinque presentava problemi di esclusione gravi, come la mancanza di un alloggio o un provvedimento di sfratto pendente; uno su dieci invece riportava di essere in difficoltà a pagare affitto e bollette. Ancora più di recente, lo scorso 17 ottobre, la Caritas lombarda ha presentato il proprio rapporto sull’abitare nella regione, dove viene eseguito uno sfratto su cinque del totale nazionale. Secondo i dati raccolti dalle diocesi della regione, quasi la metà delle persone intervistate ha raccontato che il pagamento dell’affitto e delle altre spese assorbiva oltre il 40% del reddito, ben oltre la soglia di sostenibilità che è convenzionalmente fissata al 30%.
«Dove ci sono casi di vulnerabilità è giusto che vengano offerte dal welfare territoriale delle soluzioni diverse di sistemazione di bambini, anziani, famiglie, indigenti. Ma un problema sociale e pubblico non può essere scaricato sulla proprietà privata» ha detto ieri su La7 il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, commentando i dati sugli sgomberi eseguiti dall’inizio del suo mandato. Quello dell’emergenza abitativa, ha sottolineato Piantedosi, è un tema che «impegna tutte le amministrazioni pubbliche» a fare «tutti gli sforzi possibili», eppure «questo non significa che bisogna però sopprimere la proprietà privata e quindi immaginare che non siano da eseguire provvedimenti che sono determinati dall’autorità giudiziaria dopo lunghi percorsi

