L’Ucraina è diventato il secondo più importante cliente dell’industria bellica italiana. La “solidarietà al popolo ucraino” è solo un ormone per gonfiare i bilanci delle industrie delle armi. È scritto nero su bianco. Con buona pace della litania ripetuta sui giornali, in radio e in tivù del “nessuno vuole la guerra”
Ospite due/tre giorni fa di una trasmissione televisiva mentre si discuteva della guerra in Ucraina mi sono ritrovato di fronte alla solita affermazione appoggiata come se fosse definitiva: «nessuno vorrebbe le guerre», mi hanno detto. È falso, falsissimo, da sempre. Le guerre sono il pane per l’industria bellica e per i suoi prodromi nelle istituzioni.
L'altra mattina su Repubblica Gianluca Di Feo smaschera l’Italia “al fianco dell’Ucraina” nelle dichiarazioni ufficiali della presidente del Consiglio, sempre concentrata a simulare un atlantismo e un europeismo che sono la negazione di tutto ciò che ha sempre detto fino a un minuto prima di salire a Palazzo Chigi.
Per semplificare basta sapere che dal 2023 l’Italia ha fornito all’Ucraina solo armi vetuste, poco efficaci e in sensibile calo rispetto agli anni precedenti. Il governo Meloni è tra gli ultimi in Europa nell’invio di armi doppiato addirittura dalla Danimarca.
In compenso l’Ucraina è diventato il secondo più importante cliente dell’industria bellica italiana. Nel 2023 ci sono state forniture per 400 milioni di euro verso Kiev (a pagamento, mica “solidali”) e le spedizioni comprendono anche armi offensive nonostante nessuno in Parlamento abbia mai annunciato il cambio di linea di quel famoso “solo armi difensive” pronunciato tempo fa.
La “solidarietà al popolo ucraino” è quindi solo un ormone per gonfiare i bilanci delle industrie delle armi. È scritto nero su bianco. Con buona pace della litania ripetuta sui giornali, in radio e in tivù del “nessuno vuole la guerra”.
28/04/2024
da Left
Nella foto: la presidente del Consiglio Meloni e il presidente Zelensky, Kyiv, 21 febbraio 2023