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Niente acqua, cibo, tende: Gaza dolente torna a casa

Niente acqua, cibo, tende: Gaza dolente torna a casa

DAVANTI AGLI OCCHI Tra le macerie ancora piene di corpi e le nuove vittime dell'esodo

Sono giorni di lacrime e abbracci tra le rovine di Gaza. Man mano che le distanze vengono colmate, le famiglie si riuniscono e il dolore diventa sollievo. Piangono le madri e i padri che ritrovano i propri figli, i giovani quando scoprono che i genitori sono ancora vivi. In certi casi sono stati lontani mesi, senza sapere se si sarebbero rivisti, ognuno nella sua lotta quotidiana per la sopravvivenza.

I droni si alzano nel nord della Striscia e mostrano la sterminata distruzione prodotta dall’esercito israeliano. Beit Hanoun è una distesa di macerie a perdita d’occhio. Le case sono state sbriciolate, ne restano solo mucchietti di calcinacci. Mohamed è un membro della protezione civile e ha cercato per otto ore la sua famiglia tra le centinaia di persone che stavano tornando al nord. Quando, infine, è rincasato, li ha trovati lì ad aspettarlo. «Perché piangi?» ha detto alla mamma, «Guarda, sto bene». Tra le persone che si sono messe in marcia ci sono bambini, anziani, feriti. Un ragazzo ha filmato una donna camminare curva sul suo bastone: «Ha più anni di Israele», ha esclamato.

Chi arriva al nord lo fa soprattutto a piedi o su carri e veicoli di fortuna. Portano addosso tutto ciò che hanno e hanno lasciato dietro quello che non potevano trasportare, comprese le tende in cui si riparavano. Sperano di trovare se non la propria casa, quella di un parente o di un amico. Haytam Elaia intagliava il legno a Jabalia. Ci ha raccontato che la sua abitazione è stata distrutta in un bombardamento. Suo padre è morto nell’attacco, sua madre e suo fratello sono rimasti feriti. Si sono rifugiati tutti a casa della zia, che era scappata verso sud. Vive ora lì insieme a sua figlia piccola, sua moglie, la madre, le sorelle, i fratelli e i suoi nipoti. Ma due giorni fa sua zia è tornata dal sud e ora Haytam non sa dove andare. «Non abbiamo una tenda» ci ha detto, «non abbiamo soldi, mia figlia è terrorizzata dai forti rumori e mia moglie ha una gamba rotta». Come molti altri a Gaza, ha lanciato una raccolta fondi online e sogna di poter ricominciare a vivere: «Spero solo che questo incubo finisca».

Sono circa 300mila i palestinesi ritornati nel nord di Gaza, ma l’accesso all’acqua e al cibo è estremamente complicato, denuncia l’International Network for Aid, Relied and Assistance. Le strutture sanitarie sono pressoché inesistenti nella zona ma i feriti continuano ad arrivare negli ospedali dell’enclave rimasti parzialmente attivi. Ieri il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid ha dichiarato che chiunque «abbia visto le centinaia di migliaia di gazawi attraversare il corridoio Netzarim e tornare nella Striscia settentrionale ha capito che la guerra è finita».

Eppure, si continuano a contare i morti. 48 negli ultimi due giorni, secondo il ministero della salute di Gaza, di cui 37 recuperati dalle macerie, 80 i feriti. La Mezzaluna rossa palestinese ha fatto sapere di aver trovato dieci corpi in decomposizione proprio vicino al corridoio Netzarim. Lunedì una bambina di cinque anni, Nadia al-Amoudi è stata uccisa nei pressi del campo profughi di Nuseirat, quando l’esercito israeliano ha bombardato il carretto sul quale si trovava con la sua famiglia. Un uomo è morto a Rafah, colpito mentre manovrava una ruspa. L’esercito ha dichiarato di aver preso di mira persone che «rappresentavano una minaccia». Proprio come accaduto ieri all’appaltatore civile israeliano Jacob Avitan, ucciso da “fuoco amico” mentre rimuoveva i detriti per liberare la strada ai mezzi militari.

29/01/2025

da Il Manifesto

Eliana Riva

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