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Non rinunciamo mai al dialogo con i ragazzi: salute mentale e malattia sono un continuum

Non rinunciamo mai al dialogo con i ragazzi: salute mentale e malattia sono un continuum

Uccide padre, madre e fratello minore a Paderno Dugnano. Perché? La risposta sta in quegli aspetti psicologici della vita: vissuti emotivi, affetti, aspetti relazionali, che vengono comunemente sottovalutati.

Tutta la sfera emotiva viene spesso liquidata come uno scarto evolutivo che si ostina a manifestarsi a dispetto di ogni logica. Quando avvengono fatti eclatanti come la strage della famiglia operata da un diciassettenne, ci si interroga sui motivi. Si interrogano gli esperti, gli psicologi, psicoanalisti, psichiatri, criminologi, che devono essere pronti, con spiegazioni convincenti che facciano capire quanto sia importante accettare quella parte più istintiva. Quanto sarebbe più utile conoscerla e riconoscerla per renderla costruttiva e funzionale piuttosto che impulsiva e distruttiva.

Agli esperti viene richiesto di fornire strumenti e chiavi di lettura, per riconoscere i segnali che precedono l’esplosione omicida o suicida a seconda dei casi.
Paradossalmente viene richiesto di mettere in luce quello che continuamente e attivamente si cerca di oscurare.

C’è il bisogno di distinguere nettamente tra salute e malattia, tra equilibrio psichico e malattia mentale, per rassicurarsi che certe cose possano succedere solo ad altri. In realtà non c’è una così netta distinzione tra salute mentale e psicopatologia, ma piuttosto si dispongono lungo un continuum. E quella che chiamiamo malattia mentale è a volte il risultato di una lunga storia fatta di cecità e sordità, e che se messi in particolari condizioni tutti noi potremmo sviluppare una patologia e un agito aggressivo.

Spiegazioni che diano la coerenza di quanto è accaduto a Paderno Dugnano, sarebbero possibili solo conoscendo la storia delle persone, della famiglia, cosa abbastanza difficile da risalire con i pochi dati presenti in rete. In generale nella costruzione di una tragedia concorrono più fattori: la storia della famiglia, la storia del ragazzo, i piani di comunicazione, quanto ognuno percepisce l’altro come persona, quanto accoglie le richieste, quanto riconosce le specificità, quanto consente l’affermazione dell’individualità di un figlio adolescente. È per esempio certamente più facile gestire un figlio più piccolo che ancora non manifesta l’oppositività, piuttosto che un diciassettenne che più facilmente contesta, si oppone, protesta e ha più strumenti e forza per farlo.

In adolescenza c’è il problema del passaggio all’atto cioè la tendenza ad agire i disagi che non riescono ad essere verbalizzati.
C’è la tendenza a non riconoscere la presenza di conflitti interiori e a proiettarli sull’ambiente circostante, da qui la difficoltà a elaborare e superare i conflitti stessi e la tendenza a risolvere evitando o eliminando gli ostacoli esterni.

L’agire si manifesta nella quotidianità dell’adolescente la cui forza e attività motoria si sono sviluppate all’improvviso.
La libertà l’autonomia e l’indipendenza per la prima volta acquisite e percepite, favoriscono l’agire.
Le trasformazioni corporee mettono a dura prova il senso di identità che giovane va gradualmente consolidando e sono fonti di attivazioni interne e ancora dell’agire. La spinta alla libertà e all’autonomia porta con sé poi, la paura di rimanere soli, di non poter contare sui familiari se ci si guarda indietro. Questi aspetti possono trasformarsi ed essere percepiti come un senso di esclusione: mentre è lui o lei che si allontana dai genitori e dai familiari, sente di essere escluso e allontanato da loro. Forse è quello che è successo al giovane di Paderno Dugnano.

Quando i genitori gli chiedevano se avesse qualche preoccupazione rispondeva che andava tutto bene. Se c’è qualcosa che si può fare per scongiurare il ripetersi di queste brutte storie è imparare dall’esperienza. Non rinunciare al dialogo con i ragazzi, non accontentarsi delle risposte telegrafiche che possono dare. Non è che non ne vogliono parlare, è che spesso non sanno cosa gli succede, non si capiscono e non sanno cosa rispondere. Aiutiamoli a trovare le risposte accettando anche il rischio di sentirsi dire cose cha mettono in dubbio le proprie capacità educative e stimolano sensi di colpa e inadeguatezza.

07/09/2024

da Il Fatto Quotidiano

Patrizia Mattioli   Psicologa e psicoterapeuta

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