07/10/2025
da Left
Il caso di Alberto Trentini detenuto in Venezuela senza accuse formali. Il governo ha scelto la “discrezione”, parola che spesso copre l’inazione
La voce di Armanda Trentini pesa più di qualsiasi comunicato della Farnesina. Da quasi un anno suo figlio, cooperante, è detenuto in Venezuela senza accuse formali. In dieci mesi Roma ha ottenuto una telefonata e una visita consolare. Nel frattempo il governo ha scelto la “discrezione”, parola che spesso copre l’inazione.
Tra novembre e gennaio nessuna notizia, nessun contatto, nessuna spiegazione. Quando la famiglia chiedeva aggiornamenti, le risposte: «la diplomazia è al lavoro». Solo a metà gennaio, dopo due mesi di silenzio, Palazzo Chigi convoca l’incaricato d’affari venezuelano. Troppo tardi per una madre che attendeva almeno una voce.
Oggi Armanda Trentini mostra una bandiera: «Alberto Trentini libero». È il simbolo di una solitudine che pesa quanto una cella. In un Paese che si vanta di “riportare a casa gli italiani”, un cooperante dimenticato non fa notizia. Il patriottismo non vale nulla se non diventa tutela concreta dei diritti.
Chiedere è dovere: quali passi, quali date, quali nomi? Perché l’accesso consolare è arrivato dopo dieci mesi? E perché si chiede silenzio ai familiari con risultati minimi? Presidente Meloni e ministro Tajani: questa è la vostra idea di protezione dei cittadini?
La dignità di una famiglia non può essere appaltata alla ragion di Stato. Servono trasparenza, cronologia, responsabilità. Finché quel calendario non sarà pubblico la frase della madre resta l’atto d’accusa più serio: «Speravamo. Poi nessun contatto». E il silenzio dello Stato continua a fare rumore. Ora.