ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

ATTUARE LA COSTITUZIONE PER CAMBIARE L'ITALIA

Non solo Gaza: coloni squadristi e ladri della Cisgiordania

Non solo Gaza: coloni squadristi e ladri della Cisgiordania

Attacchi continui, spedizioni punitive, saccheggi sistematici, ulivi sradicati, bestiame ucciso. La quotidianità per i palestinesi della Cisgiordania occupata. E non è iniziato il 7 ottobre 2023, precisa InsideOver, ma da quella data ha subito un’escalation brutale, con livelli di disumanità senza precedenti. Nel suo ultimo rapporto, l’OCHA, ‘Nazioni Unite per gli affari umanitari’, ha documentato oltre 220 feriti da gennaio 2025.

 

Cisgiordania occupata che chiamano Giudea e Samaria

«Nessun arabo è al sicuro in Cisgiordania. Contadini, allevatori, autisti di autobus, commercianti, bambini intenti a giocare sulle colline di Hebron: tutti diventano bersagli di violente rappresaglie razziste, compiute da chi vorrebbe la West Bank come parte del ‘Grande Israele’. Non a caso, i coloni la chiamano con i nomi biblici di Giudea e Samaria», denuncia Claudia Carpinella.

‘Comunità in fuga dai coloni”

Il 24 maggio, tutti i residenti di Mughayyir al-Deir, un villaggio a est di Ramallah, sono stati costretti ad abbandonate case e zona agricola per sfuggire alla furia dei coloni che avevano aggredito dodici palestinesi, tra cui un ragazzo di quattordici anni. Ad oggi, le 125 persone della comunità beduina di Mughayyir al-Deir non sono ancora tornate al loro villaggio dove i coloni vi hanno piantato le loro tende grandi tende per trasformarlo in un nuovo avamposto. In tutto questo, lo Stato di Israele non solo permette ai coloni di agire impunemente, senza alcuna conseguenza legale, ma li asseconda apertamente con 22 nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, con i ministri della Difesa, Israel Katz, e delle Finanze, Bezalel Smotrich, che di descrivono come assaggio di un piano a lungo termine per la crescita degli insediamenti.

‘Gazificazione della Cisgiordania’

Dal 21 gennaio è in corso l’Operazione ‘Muro di Ferro’, definita dal quotidiano Haaretz come un processo di «gazificazione della West Bank». In poco più di quattro mesi, l’esercito israeliano ha demolito migliaia di abitazioni e devastato interi campi profughi. Tra tutti, spicca quello di Jenin, simbolo della resistenza palestinese. Delle oltre 3.200 unità abitative non resta più nulla: Jenin, che aveva accolto 20mila profughi espulsi da Israele nel 1948, oggi è un quartiere fantasma. Poi è toccato a Tulkarem, dove, tra demolizioni e attacchi da parte dell’IDF, i palestinesi hanno dovuto assistere impotenti all’innalzamento della bandiera israeliana sulla cupola della moschea di Abu Bakr al-Siddiq.

Truppe d’occupazione

Attualmente, l’esercito israeliano sta concentrando le sue operazioni nel campo profughi di Al-Far’a e nella vicina città di Tammun, nel Nord della Cisgiordania occupata. Anche in questo caso, lo schema è lo stesso: incursioni domiciliari, decine di arresti, strade, abitazioni e scuole rase al suolo dai bulldozer. I residenti non possono fare altro che allontanarsi, e farlo nel minor tempo possibile. A tal proposito, si legge nel rapporto dell’OCHA, i profughi di Tulkarem e di Nour Shams hanno avuto solo tre ore di tempo per raccogliere i propri effetti personali, quelli di una vita intera, prima di assistere alla demolizione definitiva delle loro case.

Palestina e democrazia israeliana le vittime

Alcune considerazione da Ugo Tramballi sulla metamorfosi ormai compita di un Paese e forse dal suo stesso popolo. «Israele dovrebbe comportarsi diversamente. Ma non lo fa: precipita con la sua spietatezza nel biasimo globale, chiamandolo antisemitismo. È la parola magica che, ne sono convinti gli israeliani e molti ebrei della diaspora, giustifica i comportamenti dello stato ebraico e dei suoi soldati. L’invasione di migliaia di giovani estremisti israeliani nei vicoli dei quartieri arabi della vecchia Gerusalemme, l’altro giorno, ricordava un passato doloroso. Quello delle incursioni antisemite nelle comunità ebraiche dell’Europa orientale. Quei ragazzi estremisti, tutti vestiti allo stesso modo, in camicia bianca, così pieni di odio per chi non era come loro, sembravano dei piccoli cosacchi del Don».

Altra storia, altri leaders alle spalle

Il 7 giugno 1967, in piena guerra dei Sei Giorni, Moshe Dayan aveva ordinato ai parà che avevano appena conquistato Gerusalemme, di togliere la bandiera d’Israele issata sulla Spianata del Tempio. Qualche giorno fa Itamar Ben Gvir, ministro razzista è salito con i suoi accoliti sulla Spianata a provocare l’intero mondo islamico.
Nel 1982, durante l’invasione del Libano, l’esercito israeliano ebbe gravi complicità nel massacro in due campi profughi palestinesi a Beirut, Sabra e Chatila, compiuto dai falangisti cristiani. Per protestare contro le responsabilità del loro governo, 400mila israeliani scesero in piazza a Tel Aviv: più del 10% della popolazione d’allora.
Le manifestazioni di oggi non sono lontanamente paragonabili. Non solo per numero di persone, molto inferiore, ma anche per scopo: gli israeliani che vi partecipano, la parte più sensibile e democratica del paese, chiedono la liberazione della cinquantina di ostaggi ancora nelle mani di Hamas, ‘addirittura’ disposti a fare la pace con i terroristi. «I pochi che hanno il coraggio di unire i due drammi sono insultati, ostracizzati, aggrediti. A volte arrestati dalla polizia. Vengono chiamati dalla maggioranza ‘ebrei che odiano gli ebrei’».

  • «Non è dunque il mondo ad essere infettato da una nuova pandemia di uno dei peggiori virus prodotti dal genere umano: l’antisemitismo (sebbene qualcuno lo sia). È Israele che è pericolosamente cambiato, a sua volta aggredito da un altro agente patogeno: l’occupazione della terra di altri».

Intanto a Gaza

                       

07/06/2025

da Remocontro

rem

share