18/1012025
da La Notizia
A Gaza la pioggia è stata più rapida delle risoluzioni. Nelle ultime ventiquattro ore le tende di Khan Yunis e Deir al-Balah sono crollate sotto il vento, i campi dell’Unrwa allagati, diciotto siti dichiarati “inabitabili”. Alla parrocchia della Sacra Famiglia, più di quattrocento persone cercano riparo mentre i vicoli intorno diventano fango. Eppure l’IDF ha confermato nuovi colpi d’artiglieria nella zona centrale: il “cessate il fuoco sostanziale” si incrina fra le sirene e l’acqua che entra dai teloni sfondati.
La situazione sanitaria precipita: l’Oms parla di cinquemila bambini in lista d’attesa per interventi essenziali, gli ospedali da campo giordani ed egiziani sospendono attività per mancanza di carburante, la diarrea infantile supera i diciassettemila casi settimanali. La guerra resta nel corpo dei bambini più di qualunque voto al Palazzo di Vetro.
Dalle carceri arrivano notizie ancora peggiori. Medici per i Diritti Umani–Israele aggiorna a novantotto i morti in custodia dal 2023 e segnala altre quattordici persone scomparse senza notizie alle famiglie. Ex detenuti rilasciati ieri raccontano acqua razionata, luce accesa ventiquattr’ore, numeri al posto dei nomi. Sul piano politico Netanyahuì ha ribadito che Israele manterrà la “responsabilità di sicurezza” su Gaza «per tutto il tempo necessario», smentendo nei fatti l’architettura negoziale in discussione.
Ai valichi, la normalità è l’intermittenza: Kerem Shalom ha aperto solo per sette ore, chiudendo con duecento camion di aiuti bloccati lato egiziano, comprese le macchine destinate alla ricerca degli ostaggi. E l’Europa manda segnali opposti: Berlino riapre all’export militare, mentre Dublino definisce la mossa «incompatibile con le garanzie umanitarie».
In questo scenario, il voto dell’Onu resta un esercizio lontano. La realtà, qui, non aspetta i verbali.

