Oltre 100.000 israeliani avrebbero smesso di presentarsi al servizio di riserva. Sebbene le ragioni siano diverse, la portata dimostra il declino della legittimità della guerra in corso a Gaza, Cisgiordania, Libano e Siria. L’inchiesta denuncia di ‘+972 e Local call’: «notizie dall’altro Israele».
Numeri segreti della vergogna
Nessuno può fornire numeri precisi. Nessun partito o leader politico lo chiede esplicitamente. Ma chiunque abbia partecipato a proteste antigovernative o abbia utilizzato i social media in lingua ebraica nelle ultime settimane sa che è vero: rifiutarsi di presentarsi per il servizio militare in Israele sta diventando sempre più legittimo, e non solo tra la sinistra radicale, avverte Meron Rapoport
Fine del volontariato
Nel periodo precedente la guerra, la «cessazione di offrirsi volontari per le riserve» era diventato parte delle proteste contro la riforma giudiziaria del governo. Nel luglio 2023, oltre 1.000 piloti e militari dell’Aeronautica dichiararono che non si sarebbero più presentati in servizio se la riforma non fosse stata sospesa, con l’allarme di alti ufficiali militari e del capo dello Shin Bet.
La destra feroce israeliana
La destra israeliana continua a sostenere ancora oggi che quelle minacce di rifiuto non solo avrebbero incoraggiato Hamas ad attaccare Israele, ma indebolirono anche l’esercito. in realtà, tutte le minacce svanirono il 7 ottobre, con i manifestanti che si offrirono volontari in modo schiacciante.
Risposta di massa al 7 ottobre
Per 18 mesi, la stragrande maggioranza della popolazione ebraica israeliana si è radunata attorno alla bandiera a sostegno dell’attacco a Gaza. Ma soprattutto dopo la decisione del governo di revocare il cessate il fuoco il mese scorso, hanno iniziato ad apparire grosse crepe.
Dopo la rottura del ‘cessate il fuoco…’
Nelle ultime settimane, i media hanno riportato un calo significativo delle presenze dei soldati in servizio di riserva. I numeri esatti sono un segreto ben custodito, ma a metà marzo l’esercito ha informato il Ministro della Difesa Israel Katz che il ‘tasso di partecipazione’ si fermava all’80% rispetto al 120% subito dopo il 7 ottobre. Secondo Kan, l’emittente nazionale israeliana, quel numero era una falsificazione: il tasso reale è più vicino al 60%. Altri rapporti parlano di tassi di partecipazione del 50% o inferiori.
«Il rifiuto arriva a ondate, e questa è l’ondata più grande dalla prima guerra del Libano nel 1982», ha detto a ‘+972’ Ishai Menuchin, uno dei leader del movimento del rifiutato ‘Yesh Gvul’ (C’è un limite) fondato durante quella guerra.
Militare a 18 anni e riserva sino a 40
Coscrizione nelle forze armate a 18 anni, ed è obbligatorio per gli israeliani prestare servizio nelle riserve fino ai 40 anni (anche se questo può variare a seconda del grado e dell’unità). In tempo di guerra, l’esercito dipende fortemente da queste forze. All’inizio di questa guerra, l’esercito dichiarò di aver reclutato 295.000 riservisti, oltre ai circa 100.000 soldati in servizio regolare. Se i dati di una presenza del 50-60% tra i riservisti sono corretti, significa che oltre 100.000 persone hanno smesso di presentarsi al servizio di riserva.
Dichiarazioni di rifiuto
«È un numero enorme -ha osservato Menuchin-. Significa che il governo avrà difficoltà a continuare la guerra». Tra chi sfida gli ordini di arruolamento primi cosiddetti «rifiutatori grigi» –non una vera obiezione ideologica alla guerra, ma stanche o stufe del fatto che si trascini da così tanto tempo. Accanto una piccola ma crescente minoranza di riservisti che si rifiutano per motivi etici. Renitenti ideologici dall’ottobre 2023.
Haaretz tra i pochi
La scorsa settimana, Haaretz ha pubblicato un editoriale scritto da un soldato anonimo: «L’attuale guerra a Gaza ha lo scopo di comprare la stabilità politica con il sangue. Non vi prenderò parte». In una recente intervista, l’ex giudice della Corte Suprema Ayala Procaccia ha invocato la ‘disobbedienza civile’. Il 10 aprile, quasi 1.000 riservisti dell’Aeronautica Militare hanno pubblicato una lettera aperta chiedendo un accordo con ostaggi che avrebbe posto fine alla guerra
«La legittimità del regime è in pericolo»
Yael Berda, sociologa dell’Università Ebraica e attivista di sinistra, cita un sondaggio del Servizio per l’Impiego israeliano, secondo cui il 41% dei riservisti ha dichiarato di essere stato licenziato o costretto a lasciare il lavoro a causa dei lunghi periodi trascorsi nella riserva. Menuchin: «C’è un senso di abbandono: vedono le famiglie degli ostaggi fare ‘crowdfunding’ solo per sopravvivere. Il punto è che lo Stato non c’è davvero, e questo sta diventando chiaro a sempre più israeliani».
Disperazione per assenza di futuro
«La gente non sa dove stiamo andando. Si vede la corsa ai passaporti stranieri – anche prima del 7 ottobre – e la ricerca di posti ‘migliori’ in cui emigrare. C’è un crescente ripiegamento sulla preoccupazione per i propri interessi. E soprattutto, gli ostaggi non vengono riportati indietro». Per il rifiuto ideologico, «’Quello che ho visto a Gaza’, ma si tratta di una minoranza».
Disgusto per l’estrema destra
Infine, «il disgusto per il discorso del sacrificio» dell’estrema destra religiosa, guidata da Ben Gvir e Smotrich. «Una reazione alla narrativa dei coloni secondo cui è giusto sacrificare la propria vita per qualcosa di più grande», ha spiegato Berda. «La gente reagisce all’idea che la collettività sia più importante dell’individuo dicendo: ‘Gli obiettivi dello Stato sono importanti, ma io ho la mia vita’».
Ora è la guerra di Netanyahu
Dopo il crollo del cessate il fuoco, l’intero movimento di protesta si oppone alla continuazione della guerra, sostenendo che si tratti della guerra di Netanyahu. «Non c’è mai stata una rottura così radicale, in cui la legittimità del regime sia in pericolo. Alla luce dello scandalo ‘Qatargate’, la gente è convinta che Netanyahu sia disposto a distruggere lo Stato per il suo tornaconto personale».
24/04/2025
da Remocontro