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Onda nera sulla Germania in crisi

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 Non hanno apparentemente avuto effetto le grandi manifestazioni – alcune delle quali hanno riunito centinaia di migliaia di persone – organizzate nei mesi scorsi contro l’estrema destra.

Neanche la decisione del governo di centrosinistra di indurire le misure contro l’immigrazione alla vigilia del voto, rimpatriando per la prima volta in Afghanistan alcune decine di rifugiati, ha potuto evitare il montare dell’onda nera che ha sommerso due importanti Land della Germania orientale alle regionali del primo settembre e che ora minaccia di estendersi al resto del paese.

È rimasto inascoltato anche l’inconsueto appello di grandi gruppi industriali e finanziari tedeschi – da Deutsche Bank a BMW, da Mercedes Benz a Volkswagen, da Bayer a Deutsche Bahn, da BASF ad ADIDAS fino a PORSCHE – che si sono pubblicamente rivolti agli elettori chiedendo di «difendere i valori democratici» e gli interessi dell’economia tedesca facendo diga contro la destra estrema.

L’onda nera
In Turingia, infatti, “Alternativa per la Germania” ha conquistato la prima posizione con il 32,2%, staccando di parecchi punti i democristiani, mentre in Sassonia la formazione si è piazzata in seconda posizione (30,6 contro 31,9%) subito dopo la CDU, il principale partito di centrodestra del paese.

Ad essere puniti sono stati i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz, ma soprattutto i suoi alleati, i Verdi e i Liberali, ridotti al lumicino. Un risultato significativo tenendo anche conto del fatto che in entrambe le regioni la partecipazione ha superato il 73%, invertendo la tendenza registrata negli ultimi anni.

Anche la sinistra, tradizionalmente molto forte nei territori dell’ex Repubblica Democratica ha subito una forte emorragia di voti, soprattutto a vantaggio della nuova formazione socialdemocratica e populista fondata solo otto mesi fa da Sahra Wagenknecht, ex dirigente proprio della Linke. In Sassonia l’Alleanza che porta il suo nome ha preso l’11,8%, piazzandosi in terza posizione, e in Turingia ha fatto ancora meglio con il 15,8%.

La formazione dei governi regionali sarà complicata e potrebbero vedersi coalizioni inedite, visto il “cordone sanitario” che tutte le altre formazioni hanno promesso di mantenere nei confronti dell’estrema destra. Ma il dato politico resta, e l’esclusione dal potere di una formazione che ha ottenuto un terzo dei voti potrebbe fornire agli “alternativi” nuovi argomenti.

Nazionalismo, xenofobia, negazionismo e nostalgie neonaziste
Fondata nel febbraio del 2013 da alcuni settori ultraconservatori indipendenti e interni alla CDU, Alternative für Deutschland nei primi anni di vita ha concentrato i propri strali contro una presunta generosità tedesca nei confronti dei partner dell’Unione Europea, in particolare quelli mediterranei. Passando per scissioni (soprattutto moderate) e vari cambiamenti del gruppo dirigente, Afd si è presto affermata elettoralmente trasformandosi in un partito ultranazionalista, reazionario e xenofobo, attenuando le critiche nei confronti dell’UE. In politica estera sostiene la presenza della Germania nella Nato e l’alleanza con Washington, ma auspica buone relazioni con Mosca, schierandosi contro un sostegno occidentale all’Ucraina giudicato controproducente per gli interessi tedeschi. Paradossalmente, pur comprendendo ambienti apertamente antisemiti, Alternative für Deutschland è maggioritariamente schierata al fianco di Israele.

Durante la pandemia ha cavalcato la propaganda antivaccinista ed ha assunto toni negazionisti anche nei confronti dell’emergenza globale generata dal riscaldamento globale. Nel partito convivono, spesso in maniera burrascosa, correnti conservatrici, ambienti sciovinisti e gruppi nostalgici quando non apertamente neonazisti.

Proprio l’attuale leader del partito in Turingia, Björn Höcke, è uno dei capofila dell’ala più estremista della formazione, condannato più volte per aver utilizzato simboli e slogan tipici del periodo nazionalsocialista. Höcke è tra i leader di un movimento estremista denominata Der Flügel (“L’Ala”) che fino al 2020 era una corrente organizzata all’interno di Afd e che poi ha continuato ad esistere presentandosi come realtà teoricamente autonoma, attirando l’attenzione dell’Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione – i servizi d’intelligence di Berlino – che la considera pericolosa, come del resto Junge Alternative, il movimento giovanile della formazione. Alla guida di Der Flügel, oltre a Höcke, c’è anche Andreas Kalbitz, leader del partito nel Brandeburgo ed ex esponente di formazioni neonaziste.

Prima del voto per il rinnovo dell’Eurocamera del 9 giugno scorso, “Identità e Democrazia”, uno dei gruppi più a destra dell’emiciclo di Strasburgo guidato da Marine Le Pen e Matteo Salvini, ha espulso la delegazione tedesca dopo le dichiarazioni del capolista di Afd – Maximilian Krah – che durante la campagna elettorale aveva affermato che «non tutti gli appartenenti alle SS erano dei criminali».

Qualche tempo fa l’attuale eurodeputato della Sassonia Siegbert Droese si fece fotografare con una mano sul cuore all’interno della cosiddetta “Tana del lupo”, il bunker utilizzato come base da Adolf Hitler, mentre nel 2016 circolava su un’automobile la cui targa richiamava proprio il fuhrer.

“Pulizia etnica”
All’inizio di quest’anno, poi, il media d’inchiesta Correctiv ha pubblicato dei documenti che dimostrano che nel novembre del 2023 alcuni importanti dirigenti di Alternative für Deutschland si erano riuniti a Postdam (vicino a Berlino) con alcuni imprenditori e vari esponenti delle organizzazioni neonaziste per pianificare la deportazione nei loro paesi o in paesi terzi di due milioni tra migranti, richiedenti asilo e cittadini tedeschi definiti “non integrati”.

Tra i partecipanti alla riunione c’erano la deputata Gerrit Huy, il capo del gruppo parlamentare regionale di Afd in Sassonia-Anhalt, Ulrich Siegmund, e l’assistente personale della leader del partito Alice Weidel, Roland Hartwig. La proposta, volta a “ripulire etnicamente” i paesi di lingua e cultura tedesca, sarebbe arrivata dall’austriaco Martin Sellner, leader di un gruppo di estrema destra noto come “Movimento Identitario”,

Fortunatamente, secondo le inchieste demoscopiche, solo una piccola minoranza degli elettori di Afd si considera di estrema destra o addirittura nostalgico, mentre la maggior parte si percepiscono come centristi. Eppure la propaganda xenofoba e il complottismo utilizzato dai leader della formazione fanno sempre più breccia all’interno di un elettorato sempre più sensibile a certi argomenti e alla ricerca di un capro espiatorio alla portata.

L’immigrazione, in particolare, viene descritta come un pericolo estremo per la grandezza e la stabilità della Germania e come responsabili dei mali che affliggono il paese. A spingere molti elettori nelle braccia dell’ultradestra – e nel nuovo movimento di Sahra Wagenknecht, che lei stessa ha definito di “sinistra conservatrice” – è anche il timore che lo scontro geopolitico e militare tra occidente e Russia affondi definitivamente la locomotiva tedesca.

Sullo striscione, una foto e una citazione di Bjorn Hocke

La locomotiva tedesca è in crisi
Gli effetti della crisi economica e d’egemonia che il paese sta affrontando da due anni, in effetti, sono da considerare il principale detonatore della polarizzazione politica in atto nel paese e soprattutto dell’auge di Alternativa per la Germania.

Molti cittadini non perdonano a socialdemocratici, verdi e liberali – entusiasti sostenitori dell’escalation bellica promossa dalla Nato – l’adozione di sanzioni economiche contro la Russia che hanno fortemente penalizzato l’industria tedesca.
Il sabotaggio del gasdotto NordStream – che portava in Germania gas russo a buon mercato – e la rinuncia alla maggior parte delle importazioni di idrocarburi prima acquistati da Mosca, hanno provocato un forte aumento del prezzo dell’energia che ha penalizzato il tessuto economico tedesco e fortemente colpito il ceto medio e le classi popolari, generando un’inflazione alla quale la popolazione tedesca non era abituata.

Nel paese la crisi ha galoppato velocemente: il potere d’acquisto di salari e pensioni è diminuito (anche se in maniera minore rispetto ad altri paesi), i consumi sono calati e molte aziende hanno dovuto chiudere, compresi un decimo dei ristoranti esistenti.

Mentre il Pil continua a scendere Volkswagen, alle prese con un calo degli utili, ha annunciato l’intenzione di chiudere uno dei suoi stabilimenti tedeschi per ridurre i costi. Sulla Repubblica Federale, che ha sperimentato la recessione ed è alle prese ormai da cinque anni con una persistente stagnazione economica, pesa un basso tasso di investimenti pubblici, mentre l’industria manifatturiera, colpita anche dall’invecchiamento della popolazione che sottrae alle aziende una manodopera che gli imprenditori cercano ora tra i lavoratori immigrati, patisce la contrazione della domanda asiatica.

Il quadro è aggravato dalla competizione dell’industria automobilistica di Pechino che Berlino – e il resto dell’occidente – tenta di contrastare aumentando i dazi sui veicoli elettrici importati dalla Cina. Ora Berlino cerca di porre rimedio barcamenandosi con provvedimenti parziali e tentando di allentare il dogma del “pareggio di bilancio” che per anni ha impedito di finanziare in deficit i settori poi entrati in crisi.

All’instabilità economica e politica molti cittadini reagiscono puntando il dito contro gli immigrati, considerati dei competitori per l’accesso a risorse descritte come sempre più limitate, mentre alcuni settori economici aumentano i profitti e lo stato tedesco spende centinaia di miliardi per le spese militari e il sostegno bellico all’Ucraina. Per correre ai ripari, nei giorni scorsi l’esecutivo di Olaf Scholz, su pressione dei liberali, ha dovuto annunciare nientemeno che non approverà altri pacchetti di aiuti finanziari e militari a Kiev.

Il disagio della Germania orientale
Paradossalmente nelle regioni tedesche orientali, dove il consenso per l’estrema destra (e per l’Alleanza di Sahra Wagenknecht, pure critica nei confronti del modello “frontiere aperte” che in realtà non esiste) è più forte e radicato, l’immigrazione è presente in maniera assai meno massiccia rispetto a quelle orientali, anche se il numero di lavoratori stranieri è cresciuto velocemente negli ultimi anni, suscitando ulteriore risentimento nei confronti di un sistema che non ha saputo – o voluto – appianare le diseguaglianze con le regioni dell’ovest.

In media, dicono gli studi, all’est i salari sono inferiori rispetto all’ovest del 15%, e il divario pensionistico è ancora più elevato; anche il tasso di precarietà, la disoccupazione e il numero di cittadini che vivono sotto la soglia di povertà sono sensibilmente più alti nell’ex DDR, nonostante dalla riunificazione siano passati ormai 34 anni.
Dal 1990 quasi 4 milioni di abitanti delle regioni orientali si sono trasferiti ad ovest in cerca di condizioni di vita e di lavoro migliori, col risultato che nell’ex Repubblica Democratica la popolazione è mediamente più anziana, conservatrice e sensibile ad un bisogno di sicurezza che l’estrema destra intercetta grazie alla martellante propaganda xenofoba.

Le elezioni per il rinnovo del parlamento federale sono fissate tra un anno, ma non è affatto scontato che il governo Scholz resista fino a quel momento. Il prossimo 22 settembre, infatti, si voterà nel Brandeburgo e anche in questo caso i sondaggi prevedono una netta vittoria dell’estrema destra.

04/09/2024

da Pagine Esteri

di Marco Santopadre

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