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Ondate di caldo e aziende fossili: lo studio che accusa anche Eni

Ondate di caldo e aziende fossili: lo studio che accusa anche Eni

Ambiente

26/09/2025

da Valori

Maurizio Bongioanni

Uno studio su Nature collega ondate di caldo mortali alle emissioni di 180 aziende fossili, incluse Eni e ExxonMobil, aprendo scenari di giustizia climatica

Nell’estate del 2003, mentre l’Italia soffocava sotto un caldo estenuante e oltre 20mila persone morivano, nessuno avrebbe potuto immaginare che dietro quella tragedia ci fossero anche decisioni prese in consigli di amministrazione a migliaia di chilometri di distanza. Oggi, però, la scienza dell’attribuzione non lascia più spazio ai dubbi. Un nuovo studio pubblicato su Nature dimostra che colossi come ExxonMobil, Saudi Aramco, Shell ed Eni hanno reso più probabili e più intensi 213 episodi di caldo estremo tra il 2000 e il 2023.

           

                                                        Crescita delle emissioni di CO2 dei principali settori fossili © InfluenceMap via Carbon Majors

Le 180 aziende fossili responsabili delle ondate di caldo

La scienza dell’attribuzione è una branca che tenta di stabilire legami certi tra i singoli eventi meteorologici estremi e il riscaldamento globale. Oggi, per la prima volta viene tracciato un legame puntuale tra ondate di caldo mortali e le emissioni di 180 specifiche aziende produttrici di combustibili fossili e cemento.

I ricercatori hanno analizzato 213 ondate di caldo avvenute tra il 2000 e il 2023 in tutti i continenti, selezionando gli episodi che hanno causato vittime, perdite economiche o richiesto aiuti internazionali. Il risultato è inequivocabile: le emissioni di queste imprese – definite carbon majors – hanno reso più probabili e più intense le ondate, in misura crescente nel tempo. Tra il 2000 e il 2009, gli eventi sono stati 20 volte più probabili a causa del riscaldamento globale; nel decennio successivo, il fattore di probabilità è salito a 200.

Il caso italiano: Eni e l’ondata di caldo del 2003

Secondo i dati, le 180 aziende considerate sono responsabili del 60% delle emissioni cumulative di CO2 dal 1850 a oggi. Quattordici di loro, tra cui Saudi Aramco, Gazprom ed ExxonMobil, hanno contribuito da sole quanto le restanti 166 messe insieme. Persino il contributo dei soggetti più piccoli non è trascurabile: il minore tra i carbon majors, il produttore russo Elgaugol, avrebbe comunque causato almeno 16 ondate di caldo.

Se si getta uno sguardo alle più conosciute, il bilancio è incredibilmente drammatico: le emissioni della sola TotalEnergies sono state sufficienti a rendere possibili 50 delle 213 ondate di caldo analizzate tra il 2000 e il 2023 (comprese quelle del luglio 2006 e del giugno-luglio 2019 in Francia). A 50 ondate hanno contribuito le emissioni della spagnola Repsol (incluse quelle di agosto 2003, luglio-agosto 2006 e maggio-settembre 2022 che si sono verificate in Spagna); 51 invece sono quelle a cui hanno contribuito Shell, Bp, Chevron ed ExxonMobil.

Non poteva mancare Eni, trentaquattresima nella lista delle 180 aziende responsabili. Secondo i calcoli dello studio, le emissioni della compagnia italiana hanno contribuito da sole ad almeno 50 ondate di caldo in diverse aree del mondo. Una di queste è la devastante estate del 2003 in Italia, quando, tra il 16 luglio e il 15 agosto, morirono oltre 20mila persone, secondo il database internazionale EM-DAT.

Mezzo milione di morti legati alle aziende fossili

Quasi mezzo milione di persone è morto per il caldo tra il 2000 e il 2019 e molte di queste morti possono essere direttamente attribuite ai cambiamenti climatici. Ora, come sottolinea Cassidy DiPaola, portavoce della campagna Make Polluters Pay, è possibile attribuire questi lutti e le perdite economiche a decisioni precise prese «nei consigli di amministrazione delle aziende». «Quando le emissioni di queste aziende scatenano ondate di caldo che altrimenti non si sarebbero verificate parliamo di persone reali che sono morte, di coltivazioni reali che sono fallite e di comunità reali che hanno sofferto».

L’aspetto innovativo dello studio sta nell’aver isolato il contributo dei singoli attori. Simulando scenari privi delle emissioni di una determinata azienda, i ricercatori hanno calcolato quanti fenomeni estremi di questo tipo non si sarebbero verificati. «Questo ponte – dagli eventi meteorologici ai cambiamenti climatici, e dai cambiamenti climatici ai singoli emettitori – sta già ridisegnando il modo di intendere la responsabilità», ha commentato Davide Faranda, direttore di ricerca al CNRS e fondatore di Climameter.

Per non parlare dell’aspetto economico: gli eventi meteorologici estremi dell’estate del 2025 hanno provocato danni per almeno 43 miliardi di euro all’economia europea, che potrebbero salire a 126 miliardi entro il 2029.

Europa e Italia: si continua a morire di caldo estremo

Parallelamente, un’analisi condotta da scienziati dell’Imperial College di Londra e della London School of Hygiene and Tropical Medicine conferma quanto pubblicato su Nature, offrendo uno sguardo al bilancio delle vittime della quarta estate più calda mai registrata in Europa, quella appena trascorsa. Una serie di ondate di caldo, infatti, ha colpito diversi Paesi, dall’Italia alla Germania e alla Francia, con temperature che hanno raggiunto i 46 gradi centigradi in alcune località e causato la morte di diversi lavoratori all’aperto. In questo caso, i cambiamenti climatici sono stati responsabili di oltre due terzi delle 24.400 morti dovute al caldo stimate in Europa quest’estate.

I ricercatori avvertono che il risultato è solo un’istantanea del numero di morti legate al caldo estremo, poiché le 854 città europee analizzate (tra cui figurano anche Milano, Roma, Napoli e Torino) rappresentano solo il 30% della popolazione europea. La nuova ricerca fa seguito a uno studio precedente condotto dallo stesso team, secondo il quale i cambiamenti climatici avrebbero potuto triplicare il numero di vittime di un’ondata di caldo di luglio in Europa.

Le città italiane figurano in generale come le più colpite: da giugno ad agosto 2025, a Milano siano decedute 1.156 persone, 835 a Roma, 579 a Napoli e 230 a Torino a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici sulle temperature. Si tratta rispettivamente della prima, della seconda, della quinta città e della decima città nella classifica delle 854 città europee analizzate.

Un precedente che apre la strada alla giustizia climatica

Il lavoro pubblicato su Nature non è soltanto un esercizio scientifico. Le sue implicazioni legali e politiche sono potenzialmente rivoluzionarie. Lo scorso luglio, la Corte internazionale di giustizia – massima istanza giudiziaria delle Nazioni Unite – ha stabilito che le azioni governative che alimentano i cambiamenti climatici violano il diritto internazionale. Una posizione che apre la strada alla possibilità di ritenere responsabili anche le aziende, secondo il principio “chi inquina paga”.

I ricercatori non nascondono che l’obiettivo sia proprio quello di fornire basi scientifiche utilizzabili nei tribunali e nelle arene politiche. «Siamo al punto – spiega Yann Quilcaille, autore principale dello studio – in cui riconosciamo le gravi conseguenze degli eventi estremi per le economie e le società. Le persone si chiedono chi sia responsabile di questi disastri».

Ma se finora la ricerca si era limitata ad analizzare singoli episodi o a quantificare responsabilità collettive di Paesi e popolazioni, il nuovo approccio rappresenta una svolta: mette sotto accusa i grandi inquinatori con nome e cognome. Per Faranda, questo passaggio potrebbe segnare una «pietra miliare» nella costruzione di nuove politiche climatiche e di azioni legali contro i responsabili.

In un’epoca in cui le ondate di caldo sono sempre più frequenti e devastanti – dall’Europa al Mediterraneo, dall’Africa al Sud America – il messaggio dello studio è chiaro: i cambiamenti climatici non sono un fenomeno astratto, ma il risultato di precise scelte industriali e finanziarie. E la responsabilità non è diffusa in modo indistinto, ma concentrata in un numero limitato di aziende che hanno perseguito i propri interessi pur sapendo, da decenni, quali sarebbero stati gli effetti del loro operato.

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