«Per la prima volta, da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, sembra che possa vincere». Più che un parere, sembra una sentenza. Se poi a esprimerla, dedicandole anche una delle sue prestigiose copertine, è l’Economist, allora la cosa fa riflettere ancor di più. Anche perché, finora, proprio gli inglesi erano stati tra i più appassionati sostenitori della causa e delle speranze di Kiev.
Putin e la rivolta del sud del mondo
L’editoriale, che apre l’ampio report che analizza il sanguinoso conflitto, sostiene che il leader del Cremlino ha rafforzato la sua presa del potere, all’interno della Russia. E sta contribuendo «a rivoltare il Sud del mondo contro l’America». Indebolendo, altresì, in Occidente e specialmente in Europa, la convinzione che l’Ucraina possa crescere e modellarsi come una moderna democrazia contemporanea. Insomma, secondo l’Economist, le fortune di Putin e i disastri di Zelensky sono anche la risultante di strategie diplomatiche sbagliate, da parte degli alleati. Così, l’indice accusatorio degli inglesi punta in direzione del Vecchio continente, colpevole di una manifesta e progressiva ‘stanchezza’.
Tanto da far scrivere, nel titolo dell’inchiesta proposta, che «la più grande risorsa di Putin è la mancanza di visione strategica dell’Europa».
Pochi aiuti e troppi errori a Kiev
In sostanza, secondo l’Economist, si fa ancora troppo poco per aiutare l’Ucraina, specie in un momento delicato come quello attuale. La verità, però, è che, nello stesso editoriale, viene citata tutta una serie di fattori che complicano le politiche di sostegno occidentale. A cominciare dalla natura stessa della guerra, che non è più un ‘conflitto di movimento’, ma è di fatto un susseguirsi di ‘battaglie di posizione’, cioè di logoramento difensivo. In situazioni di questo tipo, l’elemento determinante è il tempo e la capacità di sopportazione delle perdite.
Il tempo a favore di Putin
In questo senso, riconosce l’Economist, proprio il tempo lavora a favore di Putin. Un ‘circolo virtuoso’ a suo vantaggio quello che si è innestato: le sanzioni non funzionano (o vanno avanti a scartamento ridotto), l’economia russa regge, il bilancio pubblico anche, e il Ministero della Difesa può pagare salari decenti ai militari che vanno al fronte o indennizzi alle famiglie dei caduti.
La crudele proporzione caduti-popolazione
Nell’attuale offensiva di Avdiivka, si legge ancora nel report della rivista britannica, Putin perderebbe una media di 900 soldati al giorno (cifra ritenuta poco credibile da altre fonti occidentali). Si tratta di cifre importanti, che la Russia si può permettere, perché ha riserve umane consistenti e, soprattutto, ‘controllabili’. Perdite di questa entità e con questi ritmi sono ormai inaccettabili per l’esercito ucraino. Costretto, quindi, a rimandare qualsiasi velleità di controffensiva in grande stile.
Risorse belliche
Oltre a ciò, deve essere sottolineato che, nell’ultimo anno, il sistema di reperimento delle risorse belliche da parte russa è notevolmente migliorato. Grazie agli intensi contatti diplomatici e alle triangolazioni commerciali, sono state importate massicce quantità di droni iraniani e proiettili di artiglieria nordcoreani. A parere dell’Economist, i ‘mercati grigi’ che hanno consentito di aggirare le sanzioni sono stati principalmente quelli della Turchia e del Kazakistan. E anche il ‘tetto’ imposto al prezzo del greggio Urals è servito solo fino a un certo punto. Infatti, nonostante questo limite, il barile di petrolio russo è stato piazzato a 65 dollari, cioè circa il 10% in più di un anno fa.
Il campo di battaglia modella la politica
«Lo slancio influisce sul morale – dice L’Economist – e se l’Ucraina si ritira, il dissenso a Kiev diventerà più forte. Lo stesso vale per le voci in Occidente che sostengono che inviare denaro e armi all’Ucraina è uno spreco». Quindi, di fronte alla situazione interna russa, apparentemente ricompattatasi dopo gli scossoni dei mesi passati, adesso va monitorata quella ucraina, definita dagli inglesi, seccamente, «cupa».
Problemi interni ucraini
Mentre il Presidente Zelensky litiga col generale più importante, Valery Zaluzhny, e i funzionari lottano per guadagnare influenza, i sondaggi indicano progressive spaccature politiche. Corruzione e scandali hanno fatto declinare, nei sondaggi, la popolarità di Zelensky. E il congelamento delle elezioni politiche e presidenziali a data da destinarsi, aggiungiamo noi, farà il resto.
Disaffezione occidentale
Problema esterno denunciato dall’Economist, la crescente disaffezione occidentale per la causa ucraina. Formalmente tutti ripetono il loro impegno, ma dietro le quinte cominciano a gettare la spugna. Gli inglesi, en passant, ricordano come esempio la telefonata-trabocchetto fatta alla premier italiana Meloni, nella quale si manifestava ‘stanchezza’. Ma, più in generale, l’Economist lancia un allarme serio, che finora, probabilmente, è stato sottovalutato.
Europa Von Nato senza ‘piano B’ e senza Biden
Se l’Europa non dovesse elaborare un ‘piano B’ per l’Ucraina, potrebbe ritrovarsi a dover affrontare isolata questa crisi (qualora fosse ancora aperta) nel 2025. Se le Presidenziali americane del prossimo anno, infatti, premiassero Donald Trump, bisognerebbe riscrivere integralmente il dossier Ucraina. «L’America potrebbe improvvisamente smettere del tutto di fornire armi – dicono all’Economist – e l’Europa dovrebbe prepararsi a questa terribile possibilità. Invece i suoi leader si comportano come se il munifico Joe Biden dovesse sempre rimanere al comando».
Ma il vero problema di tutta la spinosa questione, però, l’Economist non lo rivela. E cioè, che il primo a non capire «come si fa a rimanere al comando è proprio lui: Joe Biden». A Kiev come a Gaza.