24/10/2025
da Remocontro
A sorpresa l’apertura Usa sulla possibile liberazione israeliana di Barghouti, il Mandela della Palestina. Netanyahu costretto a fare marcia indietro su ordine del tycoon, scrivono in molti, ma il suo governo traballa tra coloni mobilitati e dichiarazioni elettorali. E il solito ministro Smotrich che schernisce i sauditi: «cavalcate i cammelli sullo Stato di Palestina».

Tra il male e il peggio
Michele Giorgio ci avverte: «Bezalel Smotrich ha detto ad alta voce quello che pensano un po’ tutti nel governo Netanyahu: la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia saudita è importante, ma dovrà avvenire categoricamente alle condizioni di Israele, quindi senza alcun riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere uno Stato indipendente. Altrimenti non se ne fa niente. Ma in pubblico non è riuscito a nascondere la sua idea degli arabi e delle monarchie del Golfo».
«Se l’Arabia saudita vuole normalizzare in cambio di uno Stato palestinese, amici no grazie. Continuate a cavalcare cammelli nel deserto».
A destra di Netanyahu
Ciò sembra sfuggire al ministro delle Finanze israeliano candidato ad un giudizio da parte della corte penale internazionale, è che le ricche monarchie del Golfo sono partner centrali di un uomo di affari come Donald Trump che a novembre prevede di ospitare alla Casa Bianca il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman. Lui, sovranista ebraico messianico cita la Bibbia, Trump mercante immobiliare guarda subito ai soldi anche perché l’America è messa male. Di fatto, insiste Michele Giorgio sul manifesto, «Smotrich non ha capito che il presidente americano più amico di Israele, che ha bombardato le centrali atomiche iraniane, sanzionato i giudici delle corti internazionali dell’Aja, che disprezza l’Onu e la legalità internazionale, ha chiuso in un cassetto il suo progetto di espulsione dei palestinesi da Gaza e si è messo in testa di poter ‘realizzare la pace in Medio oriente’».
Oltre il piano americano
«Certo, i 20 punti del piano americano, vago e confuso, non porteranno da nessuna parte, tantomeno ad uno Stato palestinese. Però il tycoon più passa il tempo e più ci crede». Lo dimostra il viavai di esponenti di punta dell’Amministrazione Usa in Israele: appena partito da Tel Aviv il vicepresidente Vance – che prima di decollare ha detto di ritenere possibile la ricostruzione della città di Rafah in due o tre anni -, ecco che atterra il Segretario di stato Marco Rubio, senza dimenticare i consiglieri del presidente Witkoff e Kushner. E tutti hanno chiesto a Israele di rispettare il cessate il fuoco a Gaza e l’accordo firmato a Sharm el Sheikh. Non semplici richieste di cortesia. «Washington sa che Netanyahu e i suoi ministri di ultradestra, ora che gli ostaggi israeliani vivi sono tornati a casa, riprenderebbero volentieri l’offensiva contro Gaza usando come pretesto il disarmo di Hamas, ma…». Qualcosa dal tono delle ‘perorazioni Usa’ deve essere stato ‘molto contincente’. Dopo l’incontro con Rubio ieri sera a Gerusalemme, Netanyahu ha usato toni concilianti «Ora ci aspettano giorni decisivi. Vogliamo promuovere la pace». «Abbiamo ancora molto lavoro da fare, ma siamo molto ottimisti. Stiamo facendo buoni progressi», ha aggiunto Rubio. Conversioni politiche in corso.
Barghouti, il Mandela della Palestina
«Trump, si fa fatica a crederlo, comincia a rappresentare un problema per il governo Netanyahu». Il presidente Usa ha anche fatto sapere che sta valutando la possibilità di chiedere (imporre) la scarcerazione di Marwan Barghouti, il Mandela della Palestina con un ampio livello di consenso popolare, che Tel Aviv vorrebbe tenere in una cella fino all’ultimo dei suoi giorni. La Casa Bianca, a quanto pare (e non solo), considera Barghouti il leader di grado di guidare tutti i palestinesi e, di conseguenza, di facilitare il percorso del suo piano in Medio oriente. Mentre i messaggi anche indiretti Usa si moltiplicavano. Sul Time Magazine l’intervista in cui Trump ha escluso categoricamente che Israele possa annettersi la Cisgiordania così come prevede la legge israeliana approvata mercoledì alla Knesset in prima lettura. «Non accadrà. Ho dato la mia parola ai paesi arabi, e non si può tornare indietro. Abbiamo avuto un grande sostegno dal mondo arabo», ha dichiarato il presidente.
Tra petrodollari e Israele
Qualsiasi tentativo di annessione, ha minacciato, «farebbe perdere a Israele tutto il sostegno degli Stati uniti». Il presidente Usa ha anche affermato di aver impedito a Netanyahu di combattere a Gaza una guerra che, a suo dire, senza il suo intervento sarebbe andata avanti per anni. «Avrebbe continuato a combattere, sarebbe andato avanti per anni. Ma l’ho fermato, e tutti si sono uniti quando l’ho fermato» ha raccontato. Trump come sempre ‘io, io, io’, ma dopo le sue parole Netanyahu ha ordinato di congelare «le proposte riguardanti l’applicazione della sovranità in Cisgiordania fino a nuovo avviso» e ha descritto la legge in discussione «una provocazione». Poco dopo il ministro degli Esteri Gideon Saar ha confermato che il governo non intende sostenere il voto parlamentare di due giorni fa.
Presidente del ‘Consiglio per la pace’
Trump ha anche annunciato che potrebbe visitare Gaza e confermato che sarà lui a presiedere il Consiglio per la Pace, l’organismo al quale il suo piano assegna un ruolo fondamentale nella gestione futura di Gaza e del presunto «processo di pace» avviato nella regione mediorientale. «Mi hanno chiesto di essere il presidente. Non era qualcosa che volessi fare, credetemi, ma il Consiglio per la Pace sarà un gruppo molto potente di persone, e avrà molta influenza in Medio oriente», ha affermato Trump descrivendo il consiglio come un mezzo per consolidare il cessate il fuoco. Quindi si è riferito ai leader di Hamas: «Possono anche opporsi, va bene, e allora nessuno avrebbe nulla in contrario se intervenissimo per rimetterli al loro posto». Ha aggiunto che se «Hamas non consegnerà le armi bisognerà entrare a Gaza».
Ma qualcuno crede davvero a Netanyahu?
«È arduo credere che Netanyahu accetti di presentarsi alle elezioni del prossimo anno con addosso l’immagine del leader che prima ha distrutto Gaza e bombardato mezzo Medio oriente e poi ha accettato il piano di Trump che non esclude uno Stato palestinese. Non mancherà di cogliere la prima buona occasione per aggirare i progetti di Trump», l’ultimo ammonimento di Michele Giorgio. Per il momento lascia fare alla Casa Bianca che prevede la prossima normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia saudita e annuncia che Riyadh aderirà agli Accordi di Abramo entro la fine dell’anno. Netanyahu ora studia il piano provvisorio di Kushner per dividere Gaza in due aree, una sotto il controllo israeliano e l’altra sotto il controllo di Hamas, con la ricostruzione che partirebbe solo dal lato israeliano.
Ne ha riferito il Wall Street Journal. L’altro giorno Kushner aveva affermato che «i fondi per la ricostruzione non andranno nelle aree controllate da Hamas». È evidente che una soluzione del genere porterebbe al controllo di fatto permanente di Israele sul 53% della Striscia che già occupa.

